Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29385 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 13/11/2019), n.29385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7793-2015 proposto da:

GOCCIA DI CARNIA SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO 20, presso

lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SALVATORE CAPOMACCHIA, giusta

procura in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI UDINE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 371/2014 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 22/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. ALDO CRISCUOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

di ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PERSICHELLI che si riporta al

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato FIANDACA che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La GOCCIA DI CARNIA s.r.l. ha impugnato per cassazione la sentenza n. 371/9/14, depositata in data 22.9.2014, con la quale la CTR del Friuli Venezia Giulia aveva respinto l’appello proposto avverso la decisione della CTP di Udine che aveva parzialmente accolto la sua impugnativa di avviso di liquidazione dell’imposta di registro proporzionale ed irrogazione delle sanzioni.

La pretesa impositiva aveva tratto origine da due delibere dell’assemblea dei soci della Nevea (ora GOCCIA DI CARNIA spa) datate, rispettivamente, 6.12.2004 e 24.5.2005, con le quali era stato approvato un finanziamento fruttifero dell’importo di Euro 6.300,00 (delib. del 2.12.2004), poi aumentato a 7.000,00 con la seconda delib. del 24 maggio 2005.

Tali delibere erano state ritenute di natura contrattuale, come tali rientranti tra gli atti da registrare nei termine fisso di 20 giorni ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte prima, art. 9 e pertanto assoggettati all’imposta di registro nella misura del 3% sull’ammontare dei finanziamenti.

Il ricorso è affidato due motivi.

L’AGENZIA DELLE ENTRATE ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso che la presente impugnativa riguarda la seconda delibera, datata 24.5.2005, di aumento a Euro 7.000.000,00 dell’originario finanziamento di Euro 6.300.000,00 autorizzato con la citata delibera del 6.12.2004.

Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per vizio di extrapetizione, per avere la CTR “riformato la decisione di primo grado respingendo il ricorso e convalidando l’avviso di liquidazione impugnato sulla base di un motivo diverso da quelli contenuti nell’atto impositivo o sollevato alle parti”.

In particolare, secondo l’assunto della ricorrente, la CTR nell’argomentare tra finanziamenti erogati da soggetti Iva e finanziamenti erogati da soggetti privati (non Iva), avrebbe fatto riferimento ad una questione di merito sulla quale non si era mai instaurato ii contraddittorio tra le parti.

Il secondo motivo concerne, invece, la ritenuta errata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 2, per avere la CTR ritenuto i dieci finanziamenti contenuti nella delibera intrinsecamente connessi con applicazione dell’imposta “… come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”.

Entrambi i motivi sono fondati nei termini che seguono.

Va premesso, con particolare riferimento al primo motivo, che nell’emettere l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, l’Ufficio Finanziario aveva recepito il verbale della Guardia di Finanza nel quale, peraltro, non vi era alcun riferimento alla distinzione tra soci finanziatori (soggetti Iva o meno), contestandosi esclusivamente, da parte dei verbalizzanti, che l’operazione di finanziamento societario rientrasse nei campo di applicazione dell’IVA e nell’esenzione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, comma 1.

Per questo motivo l’Ufficio non avrebbe potuto introdurre la distinzione tra i soci finanziatori in corso di causa, senza con ciò menomare ii diritto di difesa del contribuente. La Corte di legittimità in plurime occasioni (da ultimo cfr. Ordinanza n. 12467 del 10.5.2019) ha affermato che nel processo tributario d’appello l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento, in quanto il divieto di domande nuove previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Ufficio Finanziario al quale non è consentito, innanzi ai giudice del gravarne, di avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sui piano della “causa petendi”, da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso i quali, necessariamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto impositivo stesso risulta esposto. Ma, neppure, la CTR poteva sostenere l’avviso di accertamento per una ragione diversa da quelle in esso indicate. E ciò non senza considerare come, nella fattispecie in esame, sia stata la stessa CTR a rilevare come, in ogni caso, non fosse possibile dalla delibera in questione appurare l’effettiva presenza (in aggiunta ai soci soggetti IVA già presenti nella delibera dell’anno precedente) di soci finanziatori “privati”.

In conclusione, l’assenza di elementi dai quali poter desumere che i soci della ricorrente (diversamente da quanto accaduto nella prima delibera) non fossero soggetti IVA, in quanto l’Ufficio Finanziario non aveva sollevato la relativa questione nell’emettere l’avviso di liquidazione oggetto della impugnativa, fa sì che la CTR non avrebbe potuto prendere in esame e deliberare in ordine a tale punto.

Con specifico riferimento, poi, al secondo motivo – concernente una errata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 2, – va affermata l’erroneità della decisione assunta, laddove la CTR aveva ritenuto i dieci finanziamenti contenuti nella delibera intrinsecamente connessi, con applicazione dell’imposta “… come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa” -.

In tema di imposta di registro, affinchè sia configurabile il rapporto di reciproca derivazione tra più disposizioni contenute nel medesimo atto, che ai sensi del D.P.R. n. 131, art. 21, comma 2, consente eccezionalmente di applicare l’imposta come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa, occorre che la volontà della legge o l’intrinseca natura delle singole disposizioni determinino tra le stesse un rapporto di connessione oggettiva, necessaria ed inscindibile, non essendo sufficiente che tale rapporto trovi origine nella volontà delle parti.

Nel caso in esame va rilevata l’insussistenza dei citati presupposti, in quanto i singoli finanziamenti erano da considerare autonomi e connessi solo per volontà delle parti ma non per l’esistenza di un vincolo inscindibile e di necessaria connessione oggettiva.

Tanto premesso, si vedeva di un finanziamento fruttifero costituente operazione rientrante nel campo di applicazione dell’IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3), ancorchè esente ai sensi dello stesso D.P.R., ex art. 10, comma 1.

Va osservato, in proposito, che a norma del D.P.R. n. 633 del 1972 (art. 3, comma 2), costituiscono prestazioni di servizi oltre alle prestazioni effettuate dietro corrispettivo in dipendenza di una serie di contratti, per lo più aventi ad oggetto un tacere – anche, purchè effettuati verso corrispettivo, “…. i prestiti di danaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro soluto, di crediti, cambiali o assegni”. Inoltre, ai sensi del cit. decreto, art. 10, comma 1, n. 1, sono esenti dall’imposta “le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento”. Non va tralasciato, infine, il disposto dello stesso decreto, dell’art. 14, laddove è previsto che “la base imponibile delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al…. prestatore”.

Orbene, dall’esame del combinato disposto delle norme citate si evince che l’elemento giustificante le prestazioni di servizi, quale presupposto oggettivo dell’imposta in questione, è costituito – senza distinzioni di sorta, essendo le prestazioni effettuate a titolo gratuito al di fuori del sistema dell’IVA – dalla presenza di un corrispettivo che vale ad integrare anche la relativa base imponibile.

Da ciò deriva che nella fattispecie in esame è da ritenere operante ii principio di alternatività IVA – imposta di registro ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 40, rilevando l’assoggettamento in astratto all’IVA (cioè, indipendentemente dall’esenzione).

In conclusione, quindi, l’imposta di registro andava effettivamente applicata in misura fissa, e non proporzionale, in caso di uso, ai sensi del D.P.R. cit., ex art. 5.

Tale orientamento è stato più volte affermato dalla Corte, secondo cui: “In tema d’imposta di registro, alla luce del principio dell’alternatività con l’IVA, gli atti sottoposti, anche solo teoricamente, perchè di fatto esentati, a quest’imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro. In particolare, poichè secondo il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 5, comma 2 ed art. 1, lett. b), dell’allegata tariffa, parte seconda, sono sottoposte a registrazione in caso d’uso, e scontano l’imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative ad operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, fra cui le “prestazioni di servizi”, nelle quali la legge sull’IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 2, n. 3) comprende i prestiti in denaro, questi, ancorchè siano poi esentati dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, quando possano considerarsi “operazioni di finanziamento”, tuttavia, essendo in astratto soggetti all’IVA, non sono soggetti all’imposta proporzionale di registro. Nei che è poi l’orientamento prevalente di questa corte (v. Sez. 5A n. 940307, cui adde Sez. 5 n. 4748-06 e Sez. 1 n. 11431-99)” (Cass. n. 24268/15).

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza oggetto dell’impugnativa e, non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, la definizione nel merito della controversia con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.

Le spese delle fasi di merito possono dichiararsi compensate tra le parti stante il consolidarsi in corso di causa dell’orientamento di legittimità. Quelle del presente giudizio, per la cui liquidazione si rimanda al dispositivo, vanno poste a carico dell’Agenzia delle Entrate, stante la soccombenza.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo ne merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese delle fasi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate ai pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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