Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29383 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 14/11/2018), n.29383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19865/2014 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ANDREA RONDO, GERMANO DONDI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DUSSMANN SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ANGELO GABRIELE QUARTO, FRANCESCO

ROTONDI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 231/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 20/05/2014 R.G.N. 724/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 231 depositata il 20.5.2014, la Corte di appello di Brescia, in riforma della pronuncia del Tribunale di Bergamo, rigettava la domanda proposta da B.D., dirigente della Dussmann Service s.r.l. sino alla data delle dimissioni presentate nel marzo 2005, per ottenere la liquidazione della somma prevista per il rispetto del patto di non concorrenza inserito nel contratto di lavoro e accoglieva la domanda della società al pagamento, a titolo di penale in considerazione della violazione del suddetto patto (attuata mediante assunzione presso la società concorrente Manutencoop FM), della somma di Euro 80.000,00;

2. averso detta sentenza B.D. propone ricorso affidato a cinque motivi;

3. la società resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, ritenuto che il patto di non concorrenza stipulato tra le parti precludesse al B. di diventare dipendente, in qualità di dirigente, di un concorrente dell’ex datore di lavoro, così illegittimamente ed estensivamente interpretando l’art. 2125 c.c., nel senso di limitare uno status e non un’attività lavorativa.

5. con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367 c.c., nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, fornito una lettura del patto di non concorrenza non aderente al tenore testuale del patto stesso, che imponeva di “non operare… e non assumere interesse alcuno… in attività o operazioni concorrenti” e non impediva, quindi, di concordare un’assunzione con altra società (concorrente solamente in determinati ambiti), essendo, semmai, necessaria una verifica in concreto delle attività e delle operazioni poste in essere dal dirigente per stabilire se il divieto di concorrenza era stato violato.

6. con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare il comportamento delle parti successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro del B., a fronte della mancanza di iniziative della società per inibire attività di concorrenza da parte del dirigente (a parte l’iniziale scambio di corrispondenza tra avvocati).

7. con il quarto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare le risultanze istruttorie (deposizioni dei testimoni) dalle quali era emersa una sola parziale concorrenza fra la società Dussmann e la società Manutencoop FM nonchè l’esercizio, da parte del dirigente, di attività nell’ambito di servizi (di manutenzione e gestione dell’energia) non solo diversi da quelli curati presso la prima società ma anche estranei agli ambiti seguiti dalla Dussmann.

8. con il quinto motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, trascurato di esercitare il potere di riduzione equitativa della penale (potere sollecitato sia in primo grado che nella fase d’appello, cfr. stralci della memoria di costituzione in risposta alla domanda riconvenzionale proposta dalla società e memoria di costituzione in appello) considerata la carenza di iniziative della società Dussmann per inibire l’attività asseritamente concorrenziale.

9. Il primo ed il quarto motivo (strettamente connessi tra loro) non sono fondati, avendo questa Corte affermato che le clausole di non concorrenza sono finalizzate a salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi “esportazione presso imprese concorrenti” del patrimonio immateriale dell’azienda, nei suoi elementi interni (organizzazione tecnica ed amministrativa, metodi e processi di lavoro, eccetera) ed esterni (avviamento, clientela, ecc.), trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle imprese concorrenti e che l’art. 2125 c.c., si preoccupa di tutelare il lavoratore subordinato, affinchè le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di poter dirigere la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti, prevedendo che esse debbano essere subordinate a determinate condizioni, temporali e spaziali, e ad un corrispettivo adeguato, a pena della loro nullità (cfr. da ultimo Cass. n. 24662 del 2014);

10. In questa prospettiva ricostruttiva, è stato altresì affermato che con riguardo all’estensione dell’oggetto delle clausole di non concorrenza – in assenza di specifiche indicazioni da parte dell’art. 2125 c.c. – si deve aver riguardo all’attività del prestatore di lavoro, non circoscritta alle specifiche mansioni in concreto svolte presso il datore di lavoro nei cui confronti è assunto il vincolo, dovendo aversi riguardo all’attività del datore di lavoro, con la conseguenza che devono escludersi dal possibile oggetto del patto, in quanto inidonee ad integrare concorrenza, attività estranee allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera l’azienda, ovvero al “mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergono domande ed offerte di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi o fungibili, comunque, parimenti idonei ad offrire beni o servizi nel medesimo mercato” (cfr. Cass. n. 988 del 2004; Cass., n. 7141 del 2013).

11. invero, il patto di non concorrenza, previsto dall’art. 2125 c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro (in funzione di tutela della libertà di concorrenza che costituisce, da un lato, espressione della libertà di iniziativa economica e persegue, dall’altro, la protezione dell’interesse collettivo, impedendo restrizioni eccessive della concorrenza) e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ricorrendone la nullità allorchè la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale (cfr. Cass. n. 13282 del 2003; Cass. n. 25147 del 2017).

12. Le attività economiche da considerare in concorrenza tra loro, ai fini e per gli effetti di cui all’art. 2125 c.c., vanno identificate in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergono domande ed offerte di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi e/o fungibili, comunque, parimenti idonei ad offrire beni o servizi nel medesimo mercato.

13. Con particolare riferimento all’ammontare e alla congruità del corrispettivo dovuto in caso di patto di non concorrenza, è stato altresì precisato che l’espressa previsione di nullità, contenuta nell’art. 2125 c.c., va riferita alla pattuizione di compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato (cfr. Cass. n. 7835 del 2006),

14. Correttamente la Corte territoriale, con motivazione immune da censure e logicamente motivata, ha accertato la conformità della pattuizione al dettato codicistico valorizzando adeguatamente, nella previsione negoziale, la delimitazione del divieto di operare in qualsivoglia maniera e di non assumere interesse alcuno in attività o operazioni… concorrenti con quelle svolte dalla società, la limitazione dell’ambito territoriale (concernente il nord d’Italia) e cronologico (18 mesi), la previsione di un “altissimo compenso” (pari a circa quanto percepiva il dirigente presso la Dussmann) e sottolineando che “lavorare per la principale e più diretta concorrente della Dussmann, sia pure in un settore diverso dalle soft facilities, con uno ruolo dirigenziale che comporta un interesse economico diretto al buon andamento della società presso la quale si lavora, è certamente una condotta che l’ampio patto sopra riportato era diretta a vietare”.

15. Va ancora aggiunto che il motivo con il quale è censurato l’erroneo apprezzamento, da parte della Corte territoriale, dell’attività espletata dal B. (quarto motivo), criticandone, in radice, la connotazione di attività concorrenziale, risulta inammissibile nella parte in cui si risolve, al di là della sua formale prospettazione come vizio di motivazione, in una sostanziale richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una valutazione delle risultanze processuali, diversa e contrapposta a quella operata dal giudice del gravame nell’esercizio della discrezionalità ad esso riservata.

16. In ordine alla invocata verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (secondo e terzo motivo di ricorso), premesso che l’interpretazione delle disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, la Corte territoriale ha fornito una motivazione coerente e logica rilevando che alla luce del prioritario criterio interpretativo consistente nel significato letterale delle parole (art. 1362 c.c., comma 1; cfr. sul principio di gerarchia dei canoni legali, da ultimo, Cass. n. 16795 del 2015, Cass. n. 5595 del 2014) l’oggetto del patto di non concorrenza deve ritenersi non circoscritto alle attività di soft facilities ma “trattandosi di dirigente che occupava il posto chiave nel settore Marketing e Sviluppo, è molto più ampio e lo obbliga a non operare, rivestendo qualsiasi posizione che, come quella appunto del dirigente la cui retribuzione variabile è direttamente connessa all’utile lordo di bilancio, lo porti ad assumere un interesse reale o economico finanziario in azienda concorrente con la società Dussmann”, dovendo attribuirsi alla locuzione “in particolare” un ruolo di “sottolineatura con riferimento a quelle che sono le principali attività, ma non le uniche, come ben precisato in atti, svolte da Dussmann, che infatti in tutte le gare che hanno per oggetto questi servizi trova sempre come antagonista la Manutencoop”.

17. Infine, il (quinto) motivo che invoca l’utilizzo del potere di limitazione della penale è infondato, condividendo, questo Collegio, l’orientamento più volte ribadito da questa Corte secondo cui il potere che il giudice può esercitare d’ufficio ai sensi dell’art. 1384 c.c., è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova, incombenti sulla parte, in riferimento alle circostanze rilevanti per la valutazione della eccessività della penale, che deve risultare “ex actis” ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che egli possa ricercarlo d’ufficio (cfr. Cass. n. 22747 del 2017 e Cass. n. 23272 del 2010), e rilevando, inoltre, che proprio dagli atti richiamati (per estratto) dal ricorrente non emerge alcuna specifica contestazione dell’importo previsto nella clausola di non concorrenza in riferimento ai dati oggettivi;

18. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

19. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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