Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29376 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33286-2018 proposto da:

ALER AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA RESIDENZIALE MILANO, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIA SONIA VULCANO, FRANCESCA MAZZA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MELZO, elettivamente domiciliato in BRESCIA, CORSO MAGENTA,

22, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO BATTAGLIOLA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1669/2018 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Aler – Azienda Lombarda Edilizia Residenziale Milano (“Aler”) impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, il Comune di Melzo, in relazione ad alloggi in categoria catastale A/3, accertava una maggiore IMU relativa all’anno 2012. Per tali alloggi, ALER aveva corrisposto l’IMU applicando l’aliquota ordinaria dello 0,86 per cento deliberata dal Comune, decurtata della quota di imposta spettante allo Stato, pari allo 0.38 per cento, in ragione di quanto previsto dal D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 10, che prevede (va) la non applicazione della quota erariale dell’imposta (pari allo 0,38 per cento) agli immobili degli ex IACP regolarmente assegnati, e detraendo dall’imposta l’importo di Euro 200,00 annui, come previsto dal medesimo art. 13, oltre che per le “abitazioni principali”, anche per gli alloggi regolarmente assegnati degli ex IACP. Il Comune di Melzo, con l’avviso di accertamento impugnato, aveva applicato l’aliquota differenziata dello 0,91 per cento, deliberata per gli immobili in categoria da A/1 ad A/9 “non destinati ad abitazione principale”, e non aveva operato alcuna decurtazione della quota erariale dell’imposta (0,38 per cento), pur riconoscendo la detrazione di Euro 200,00 annui. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 1370/17, accoglieva il motivo subordinato avanzato da ALER, annullando le sanzioni irroqate dal Comune e confermando nel resto la pretesa.

La pronuncia veniva appellata innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza n. 1669 del 2018, respingeva l’appello principale proposto da ALER e l’appello incidentale proposto dal Comune con riferimento alla parte della decisione relativa all’annullamento delle sanzioni, confermando la sentenza di primo grado.

ALER – Azienda Lombardia Edilizia Residenziale ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi, illustrati con memorie. Il Comune di Melzo si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, alla L. n. 241 del 1990, art. 3, alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, anche alla luce dell’art. 97 Cost., per avere i giudice di appello considerato la legittimità dell’avviso di accertamento in mancanza della relativa motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La ricorrente deduce che nel ricorso di primo grado, ALER aveva censurato la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, poichè il Comune di Melzo aveva accertato una maggiore imposta IMU, per l’anno 2012, limitandosi a giustificare la pretesa con la sola locuzione “persa l’assimilazione ad abitazione principale viene concessa solo la detrazione di Euro 200,00 per ogni unità abitativa e l’applicazione dell’aliquota ordinaria”, e allegando una tabella con l’elenco degli immobili di proprietà di ALER recante il calcolo dell’imposta. La ricorrente precisa che l’inadeguatezza della motivazione dell’avviso risulta confermata dal Comune stesso laddove, in sede di riduzione della pretesa impositiva avvenuta nel corso del giudizio, aveva precisato che “dal 2012 viene concessa solo la detrazione di Euro 200,00 per ogni unità abitativa e va applicata l’aliquota ordinaria per intero a favore del Comune”.

1.1. Il motivo è infondato.

Ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, gli atti dell’Amministrazione finanziaria devono indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”, anche alla luce dei principi dello Statuto del Contribuente. Tuttavia, l’esistenza e la congruità della motivazione, in materia tributaria, deve essere valutata alla stregua delle regole dettate specificamente per il singolo tributo cui l’atto di riferisce (Cass. n. 12251 del 2017).

Con specifico riferimento questa Corte, con indirizzo condiviso, ha affermato che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, sia stato in grado di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fese contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. n. 26431 del 2017; Cass. n. 21571 del 2004). Si è, pertanto, ritenuto, in tema di ICI, sufficientemente motivato l’avviso di accertamento in cui, erano stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta (v. Cass. n. 1694 del 2018). Nell’avviso di accertamento notificato ad ALER viene indicato chiaramente sia la ragione dell’imposizione (“persa l’assimilazione ad abitazione principale”) sia il fatto che viene applicata l’aliquota ordinaria per ogni unità abitativa e la detrazione di Euro 200,00. Ne consegue che le doglianze in ordine al difetto di motivazione dell’atto impugnato non hanno pregio, ciò in quanto la contribuente ha chiaramente compreso le ragioni della pretesa tributaria, tanto da articolare adeguatamente, fin dal primo grado di giudizio, le proprie difese (v. Cass. S.U. n. 11722 del 2010; Cass. n. 15580 del 2017; Cass. n. 22148 del 2017).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 12, e al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 3 (richiamato dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9, comma 7, in materia di IMU) anche alla luce dell’art. 97 Cost., per avere i giudici di appello avallato l’avviso di accertamento in mancanza di contraddittorio preventivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). ALER deduce di avere censurato fin dal ricorso introduttivo che il Comune di Melzo avrebbe accertato una maggiore IMU per l’anno 2012, senza instaurare alcun contraddittorio in violazione di espresse previsioni normative di rango ordinario, costituzionale e di diritto Europeo. I giudici di appello avrebbero ritenuto, erroneamente, che la legislazione nazionale non pone in capo alla Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Tale affermazione non sarebbe condivisibile, dal momento che i principi del contraddittorio e della difesa preventiva rappresentano i principi fondamentali dell’ordinamento.

2.1. il motivo è infondato.

Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha in più occasioni sostenuto che l’ambito di applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è limitato ai soli casi di accessi, ispezioni o verifiche presso i locali de contribuente, chiarendo che: “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi c.d. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in capo tributario, l’invalidità dell’atto (purchè in giudizio il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (Cass. SS. UU. n. 24833 del 2015; per la successiva giurisprudenza si veda: Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 26943 del 201/, CEISS. n. 2873 del 2018).

Non risulta che in tema di IMU, tributo non armonizzato, il Legislatore abbia stabilito uno specifico (obbligo di contraddittorio preventivo, pertanto, le critiche non hanno pregio.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.L. n. 201 del 2011, art. 13, anche alla luce dell’art. 23 Cost., per avere i giudici ritenuto che la rinuncia dello Stato alla quota erariale dell’IMU ne abbia determinato la devoluzione ai comuni pur in assenza di una espressa previsione normativa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La ricorrente precisa che secondo il D.Lgs. n. 201 del 2011, con il quale era stata introdotta la nuova imposta IMU in sostituzione dell’ICI, all’art. 13, comma 10, nella versione in vigore per l’anno 2012, prevede(va) che per gli alloggi regolarmente assegnati dagli ex IACP “non si applica la riserva della quota di imposta a favore dello Stato”, pari alla metà dell’aliquota di base dello 0,76% e, quindi, pari allo 0,38 per cento. Per gli alloggi regolarmente assegnati, siti nel territorio del Comune di Melzo, la ricorrente aveva, pertanto, versato l’MU per il 2012 decurtando dall’aliquota ordinaria deliberata dal Comune (pari allo 0,86 per cento) la quota erariale dell’imposta (pari allo 0,38 per cento), e così versando posta nella misura dello 0,48 per cento. Il Comune, invece, con l’avviso impugnato avrebbe applicato l’imposta oltre che con la maggiore aliquota dell’1,06 per cento, successivamente, rettificata nell’aliquota dello 0,86 per cento. Con la sentenza impugnata, i giudici di seconde cure avrebbero violato e/o falsamente applicato il D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 10, anche alla luce del fondamentale principio di riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte (art. 23 Cost.).

3.1. Il motivo è infondato.

Ai sensi del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, istitutiva dell’IMU sperimentale: “l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, ivi compresa l’abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o ascrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”. Il successivo comma 7, stabilisce che “l’aliquota è ridotta allo 0,4 per cento per l’abitazione principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali”.

L’imposta municipale propria avrebbe dovuto essere applicata a decorrere dal 2014, in sostituzione dell’IRPEF, delle relative addizionali e dell’ICI. A causa della necessità di reperire ulteriori risorse per la finanza pubblica, il Legislatore ha provveduto ad anticipare l’introduzione dell’imposta in via sperimentale, a decorrere dal 2012 ed a posticipare l’introduzione dell’imposta a regime a decorrere dal 2015. Ai sensi del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, nel testo applicabile “ratione temporis” prevede ai commi 6 e 7, che: “L’aliquota di base dell’imposta è pari allo 0,76 per cento. I comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi del D.Lgs. 25 dicembre 1997, n. 446, art. 52, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l’aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali. L’aliquota è ridotta allo 0,4 per cento per l’abitazione principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali”. Ai sensi del successivo comma 11: “Dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo e per le relative pertinenze, si detraggono, fino alla concorrenza del suo ammontare, Euro 200 rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica”. Lo stesso comma, ha, inoltre, previsto che tale detrazione si applica anche “alle unità immobiliari di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 4” (cioè “agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari”) e che “per le fattispecie non si applica la riserva della quota di imposta prevista dal comma 11, a favore dello Stato”. Tale comma 11, ha riservato alle Stato “la quota di imposta pari alla metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell’abitazione principale e delle relative pertinenze”.

Questa Corte con l’ordinanza n. 23135 del 2019, in fattispecie analoga a quella in esame, ha precisato che: “L’interpretazione fornita dal ricorrente del combinato disposto delle disposizioni passate in rassegna secondo la quale la rinuncia da parte dello Stato alla propria quota di imposta relativamente a tali alloggi deve intendersi effettuata a favore dell’ATER e non del Comune non può essere condivisa. L’esame del testo normativo non autorizza infatti a ritenere che la quota non più riservata allo Stato sia devoluta a favore degli enti che operano nel settore dell’edilizia residenziale pubblica assoggettandoli alla sola “aliquota comunale dello 0,38%”. Nel suddetto precedente in termini, le cui conclusioni si condividono, si è chiarito che il Legislatore si è limitato a prevedere la non applicazione della quota di imposta riservata a favore dello Stato, senza disporre che essa non sia dovuta.

La tesi sostenuta da ALER (ribadita anche con memoria) che ritiene che la norma debba essere interpretata non nel senso di avere trasferito ai Comuni a quota dell’IMU riservata allo Stato, bensì di avere esentato gli ex IACP dell’anzidetta imposta erariale, non può essere condivisa. Come rilevato nell’ordinanza n. 20135 citata, tale tesi è stata smentita dal Ministero dell’Economia e Finanze che ha avuto modo di chiarire, con nota 15 giugno 2012, n. 12507, rispondendo a specifico quesito formulato al riguardo: “dalla lettura sistematica delle norme in questione emerge che il legislatore, attraverso la previsione della rinuncia da parte dello Stato alla propria quota IMU, ha inteso destinare ai Comune tutto il gettito del tributo, non più decurtato della quota statale, e non ridurre dallo 0,76 per mille allo 0,38 l’aliquota base applicabile agli immobili in questione”. Ne consegue che l’applicazione dell’aliquota in aumento da parte del Comune di Melzo, nella misura del 0,86%, è perfettamente legittima in quanto rientra nel parametro (0,46% e 1,06%) previsto dalla legge ed è conforme alle norme regolamentari.

4. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese di lite vanno compensate tra le parti, tenuto conto del recente pronunciarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.

PQM

La corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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