Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29370 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 14/11/2018), n.29370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28123/2013 proposto da:

E.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POMPONIO LETO 2, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO STRONATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MANZO;

– ricorrente –

e contro

ISTITUTO SCOLASTICO D’ARTE F. GRANDI SORRENTO;

– intimato –

e contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4106/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/06/2013 R.G.N. 1025/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato FRANCESCO MANZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’appello principale proposto dal MIUR nei confronti di E.A. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Torre Annunziata, e ha rigettato la domanda proposta dal lavoratore con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado; assorbito l’appello incidentale subordinato del lavoratore.

2. L’ E. aveva adito il Tribunale premettendo:

di essere docente di ruolo di religione presso l’Istituto scolastico d’Arte F. Grandi;

che in data 13 aprile 2005 il collegio dei docenti aveva approvato il progetto “Il suono dei bit replay”, al quale egli aveva partecipato come docente esperto di progettazione;

che successivamente il progetto era stato autorizzato ed egli si era candidato per la nomina a tutor, al primo posto nella graduatoria;

che, ciononostante, non gli era stato affidato il predetto incarico;

che egli inoltre era stato nominato dal collegio dei docenti quale coordinatore del progetto “Essere insieme”, tuttavia non aveva ricevuto il relativo incarico.

Tanto premesso, deduceva l’illegittimità delle condotte dell’Amministrazione e chiedeva che la stessa fosse condannata al pagamento della somma di Euro 13.785,91, di cui Euro 4.785,91, per l’attività di progettazione ed Euro 9.000,00, a titolo risarcitorio quale retribuzione spettante per la mancata nomina a tutor, nonchè per danni alla professionalità e all’immagine.

3. Il Tribunale, previa declaratoria della propria giurisdizione, aveva accolto in parte la domanda condannando il MIUR al pagamento della somma di Euro 9.285,91, oltre interessi legali e spese di lite.

Il Tribunale alla luce dell’istruttoria svolta, affermava che la scelta del dirigente scolastico di non accordare al lavoratore l’incarico di tutor e di coordinatore non trovava giustificazione e valida spiegazione; riconosceva all’ E. il compenso per l’attività di progettazione svolta a monte, prima cioè dell’approvazione dei progetti da parte dell’autorità di gestione del PON, e il risarcimento del danno, professionale e all’immagine, per il mancato conferimento degli incarichi (Euro 4.500,00 della complessiva somma globale di Euro 9285,91).

4. La Corte d’Appello ha accolto l’impugnazione del MIUR con la quale veniva prospettato sia che le Linee guida, che disciplinavano la materia, non prevedevano alcun compenso per l’attività di predisposizione dei progetti da sottoporre all’autorizzazione ministeriale, sia che il danno professionale e all’immagine riconosciuto dal Tribunale non era stato provato.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando quattro motivi di ricorso.

5. Il MIUR si è costituito per la sola partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso o errato esame circa fatti decisivi per il giudizio, e dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.I. n. 44 del 2001, art. 33, comma 2, lett. g) ed h) e art. 40, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3.

Il ricorrente ricorda di aver promosso il giudizio per il risarcimento delle somme che gli sarebbero spettate per l’attività espletata, e per l’ulteriore attività da espletarsi in due progetti PON: “Essere insieme” e “Il suono dei bit replay”.

Assume il ricorrente che l’Amministrazione, con l’appello, ha riferito fatti non conformi alla realtà, e sugli stessi la Corte d’Appello ha fondato il proprio convincimento.

Esso ricorrente non aveva mai chiesto di fare il tutor nel progetto “Essere insieme”, mentre era membro del gruppo del suddetto progetto, con le conseguenti spettanze.

Inoltre, nel riferirsi a visita ispettiva favorevolmente espletata in ordine all’operato del dirigente scolastico, l’Amministrazione non offriva alcun elemento. Il riferimento alla visita ispettiva aveva influenzato la decisione della Corte d’Appello che riteneva corretto l’operato del dirigente.

Esso ricorrente aveva chiesto il risarcimento per la mancata nomina a tutor per il progetto “Il suono dei bit replay”, e a membro del gruppo di progetto “Essere insieme”. A sostegno della propria difesa richiama l’esito delle prove testimoniali.

Le invocate disposizioni del D.I. n. 44 del 2001 e in particolare la disciplina dei contratti di prestazione d’opera, evidenziavano che il dirigente scolastico nel procedervi deve tenere conto di quanto disposto dagli organi collegiali. In ogni caso, occorreva un provvedimento motivato.

Rileva, inoltre, che anche le affermazioni della difesa dello Stato in appello, relative al risarcimento del danno, non erano esatte.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175,1337 e 1375 c.c.. Violazione dei doveri di buona fede e correttezza.

Deduce il ricorrente che il comportamento dell’Amministrazione scolastica era illegittimo sotto il profilo dei principi di correttezza e buona fede. Esso ricorrente, in ragione dell’attività svolta, aveva diritto alla nomina a responsabile del progetto “Essere insieme” e a percepire le relative somme. Parimenti aveva diritto ad essere nominato tutor del progetto “Il suono dei bit replay”. A sostegno delle proprie difese richiamava le risultanze delle prove testimoniali, che validavano il ruolo svolto dallo stesso nei progetti.

Pertanto, si palesava la violazione dell’art. 1337 c.c., in quanto esso ricorrente veniva estromesso dagli incarichi che gli spettavano sia per designazione da parte degli organi collegiali, sia per essere il più titolato in graduatoria.

Erano stato, altresì violati gli artt. 1175 e 1375 c.c..

3. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono in parte inammissibili e in parte non fondati.

3.1. Ratione temporis, trova applicazione alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

Tale anomalia non si è verificata nella sentenza di appello in esame, ove il giudice di appello espone in modo articolato e con conseguenzialità logico giuridica le ragioni della decisione, con conseguente inammissibilità della relativa censura.

3.2. Con riguardo ai vizi di violazione di legge, va premesso che il Tribunale ha riconosciuto al lavoratore i compensi per l’attività svolta, ed il risarcimento del danno per il mancato conferimento degli incarichi quale danno professionale ed all’immagine che si riteneva conseguente a tale condotta perlomeno in via presuntiva.

Il Tribunale effettuava la liquidazione in via equitativa. Per le attività espletate faceva riferimento ai compensi che avrebbero dovuto essere corrisposti. Per quelle non espletate il giudice di primo grado affermava che non poteva corrispondersi oltre al risarcimento del danno anche il compenso previsto, perchè le attività non erano state poste in essere.

3.3. L’appello proposto dal Ministero (il lavoratore proponeva appello incidentale condizionato relativo solo all’estromissione dal giudizio dell’istituto scolastico), come riferisce la Corte d’Appello verteva sulla affermata non debenza del compenso per l’attività di progettazione svolta a monte, in quanto ciò non era previsto da alcuna disciplina. Il giudice di secondo grado rilevava la mancanza di fondamento normativo o contrattuale alla corresponsione del compenso per l’attività di progettazione.

Altra censura dell’Amministrazione in appello riguardava il risarcimento attribuito dal Tribunale per il danno professionale e all’immagine.

La Corte d’Appello, precisato che non era stato riconosciuto alcun danno patrimoniale per il mancato conferimento degli incarichi, riformava la sentenza in quanto il danno era stato liquidato senza che vi fosse stata alcuna concreta allegazione e prova nell’atto introduttivo del giudizio.

3.4. Così ricapitolate le statuizioni intervenute nel presente giudizio, tenuto conto che la sentenza di primo grado – non appellata dal lavoratore nel merito ma solo con riguardo alla estromissione dell’Istituto scolastico – quanto al lavoro di progettazione riconosceva un compenso per l’attività svolta, e quanto agli incarichi non conferiti riconosceva il solo danno professionale e all’immagine, ma non il danno patrimoniale o l’attribuzione di compensi, le doglianze prospettate dal ricorrente non sono fondate in ragione della ratio decidendi della sentenza di appello, che non si basa su una affermata legittimità dell’operato dell’amministrazione e del dirigente scolastico (come invece prospetta il lavoratore affermando che le mancate nomine erano illegittime e che i provvedimenti dovevano essere motivati) ma si basa, invece, in ragione del thema decidendum, come determinato dall’appello principale del Ministero e da quello incidentale del lavoratore, ed in relazione alle statuizioni del Tribunale:

sulla mancata contestazione da parte del lavoratore che le Linee guida del piano finanziario dei progetti PO prevedevano i compensi solo per la fase di esecuzione del progetto e per le figure del tutor e del gruppo di lavoro (costituito solo dopo l’autorizzazione del progetto);

sulla mancata previsione normativa o contrattuale di compensi per l’attività preparatoria dei progetti;

sulla mancata allegazione e prova nell’atto introduttivo del giudizio del danno professionale e all’immagine, unico danno riconosciuto dal Tribunale in relazione al mancato conferimento degli incarichi;

sulla mancanza di prova in re ipsa del danno professionale e all’immagine; sulla assorbimento della censura sulla estromissione dell’istituito scolastico in ragione del rigetto della domanda dl lavoratore.

3.5. Tali statuizioni fanno corretta applicazione del quadro normativo e dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, e non sono censurate in modo circostanziato e adeguato dal ricorrente; nè può a ciò valere il mero richiamo a disposizioni regolamentari relative agli interventi del Consiglio di istituto nell’attività negoziale e ai contratti di prestazioni d’opera (Decreto n. 44 del 2001, artt. 33 e 40), peraltro in mancanza della deduzione della prospettazione di domanda in tal senso nel giudizio di primo grado, accompagnata dalle relative allegazioni e prove, nonchè nel grado di appello.

L’affermazione della Corte d’Appello, non specificamente contestata, di non attribuzione del compenso per l’attività preparatoria di progettazione poichè mancava una specifica previsione, atteso che secondo le Linee guida dei PON i compensi erano previsti per gli incarichi formali di tutor, cui era rimessa anche una funzione di coordinamento e di gruppo di lavoro, trova riscontro nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 2, che sancisce: “Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”.

Si è altresì statuito (Cass., n. 16094 del 2016) che il lavoratore pubblico ha diritto ad un compenso per prestazioni aggiuntive purchè i compiti, espletati in concreto, integrino una mansione ulteriore rispetto a quella che il datore di lavoro può esigere in forza del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, tale risultando quella che esuli dal profilo professionale salvo che, in presenza di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti nell’ambito del normale orario, il datore di lavoro non abbia esercitato il proprio potere di determinare l’oggetto del contratto assegnando prevalenza all’uno o all’altro compito riconducibile alla qualifica di assunzione.

In ragione della richiamata ratio decidendi, non sussiste la rilevanza della generica censura mossa alla sentenza di appello per essere stata la stessa condizionata dell’asserita erroneità di quanto dedotto in appello dal Ministero.

4. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1226 e 2697 c.c..

Deduce il ricorrente che avendo svolto la maggior parte del lavoro progettuale, ed avendo diritto alla nomina di responsabile per il progetto “Essere insieme” ed alla nomina di tutor per il progetto “Il suono del bit replay”, non essendo stato designato, aveva subito un danno quanto meno pari alle somme che gli sarebbero spettate.

Sin dal ricorso introduttivo il ricorrente aveva indicato analiticamente le somme spettantegli, chiedendo in particolare per la mancata nomina a tutor un doppio risarcimento, danno all’immagine oltre al risarcimento per il mancato pagamento della funzione, atteso che il dirigente aveva disatteso le norme contrattuali e di legge.

Ciò considerato, in particolare, che era intervenuta la nomina di altri a tutor del progetto. Quindi, l’annullamento della personalità e della professionalità non sembravano necessitare di particolari giustificazioni o prove.

Il Tribunale, in assenza di qualsiasi impugnativa anche generica, aveva accolto la domanda. Richiama l’art. 1226 c.c., che fa riferimento alla valutazione equitativa, che era stato applicato dal Tribunale. Erroneamente, la Corte d’Appello aveva assimilato il caso ad un demansionamento, ritenendo che nessun risarcimento poteva essere liquidato in mancanza di specifica prova, benchè la giurisprudenza di legittimità lo ammettesse.

Dalle deduzioni, allegazioni e prove prodotte in giudizio era risultato un danno all’immagine del ricorrente sia come persona che come docente, in quanto aveva diritto alle nomine come risultava dalla prova per testi, e gli era stato negato, come ai sindacati, l’accesso agli atti.

Pertanto, anche in ragione della giurisprudenza di legittimità, erroneamente la Corte d’Appello nel valutare il danno professionale e all’immagine del ricorrente, nonostante sussistessero precise allegazioni a suo riguardo, quanto alla sua preminenza nella graduatoria e alla sua specifica esperienza in materia, nonchè alle mortificazioni subite, ha ritenuto tali allegazioni insufficienti. Il lavoratore richiama la giurisprudenza di legittimità, affermando la sussistenza delle condizioni dalla stessa fissate per il riconoscimento del risarcimento del danno professionale biologico e esistenziale derivante da demansionamento.

4.1. Il motivo non è fondato.

4.2. Preliminarmente, si rileva che la deduzione di non contestazione da parte dell’Amministrazione in primo grado è generica e non circostanziata, non essendo a ciò sufficiente, peraltro, l’affermazione di genericità delle difese e l’estrapolazione decontestualizzata di un breve passo dalla memoria di primo grado dell’Amministrazione (pag. 2 del ricorso), da cui il ricorrente deduce che vi sarebbe stato implicito riconoscimento della domanda. Ciò anche considerato che la sentenza di appello dà atto che l’Amministrazione si costituiva nel giudizio di primo grado sostenendo l’infondatezza del ricorso.

4.3. Va poi rilevato che la Corte d’Appello ha riformato la sentenza di primo grado, quanto al danno professionale e all’immagine, perchè con il ricorso introduttivo non vi era stata alcuna allegazione e prova, atteso che la prova del danno professionale e all’immagine non è in re ipsa e, qualora lo stesso sia provato per presunzione, presuppone, comunque, l’allegazione, che nella specie era mancata.

Afferma il giudice di appello che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico e esistenziale non ricorre automaticamente e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio.

La Corte d’Appello, nella specie, ove il lavoratore lamentava, oltre al mancato riconoscimento dell’attività di progettazione, la mancata attribuzione di incarichi, e il Tribunale riconosceva il danno professionale e all’immagine, correttamente richiama la giurisprudenza in tema di risarcimento per demansionamento (Sezioni Unite 24 marzo 2006 n. 6572; conformi Cass. n. 19785 del 2010, n. 17163 del 2016) venendo comunque in rilievo un’inadempimento datoriale (categoria in cui si inscrive anche il demansionamento, cfr. Cass., n. 4972 del 2018) in relazione alla qualificazione professionale del lavoratore.

4.4. Come affermato dalla suddetta giurisprudenza di legittimità, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio – dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale.

La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha affermato che in tema di responsabilità civile, il danno all’immagine (così come quello alla reputazione), in quanto costituente “danno conseguenza”, non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (Cass., n. 7594 del 2018).

4.5. La Corte d’Appello ha quindi rilevato che la sentenza di primo grado, nonostante l’omessa allegazione nel ricorso introduttivo di circostanze concrete da cui desumere che la mancata nomina a tutor aveva deteriorato la specifica professionalità del lavoratore, nonchè gli aveva procurato danni all’immagine, aveva ritenuto sussistere in via presuntiva il preteso danno. Ha osservato, quindi, la Corte d’Appello che anche le presunzioni del danno necessitano di allegazioni concrete sull’avvenuto impoverimento professionale e sulle aspettative di miglioramento della professionalità, oltre che sulla incidenza del fatto segnalato nei rapporti di relazione.

4.6. Nella specie, il ricorrente nel motivo di ricorso in esame si duole del mancato riconoscimento del danno professionale e all’immagine deducendo che dalla mancata attribuzione degli incarichi (vicenda a cui si riferiscono le testimonianze di E.M. e M.R. riportate nel primo motivo) e da un prospettato diniego di accesso agli atti, sarebbe discesa una mortificazione dinanzi ad alunni e genitori e ai colleghi e personale della scuola, così prospettando, quindi, un danno in re ipsa, che non soddisfa l’onere della prova secondo la giurisprudenza di legittimità.

Inoltre, il ricorrente non riporta quanto dedotto nel ricorso introduttivo con riguardo alla tempestiva allegazione e prova del danno. Ciò, in particolare, tenuto conto che nel rito del lavoro, che si caratterizza per la circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, sussiste l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito su fatti non allegati, nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo (cfr., Cass., n. 25148 del 2017).

5. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., nonchè agli artt. 101 e 102 c.p.c..

Il ricorrente, ricorda di aver prospettato appello incidentale circa la estromissione dal giudizio di primo grado dell’Istituto scolastico, atteso che i progetti PON vengono attuati dalle singole istituzioni scolastiche in virtù dell’autonomia delle stesse.

Poichè la Corte d’Appello riteneva il motivo assorbito, lo stesso viene riproposto al fine di evitare il giudicato sul punto.

5.1. Alla inammissibilità e rigetto dei motivi che precedono segue l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, del quarto motivo di ricorso.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

6. Nulla spese atteso che la difesa dello Stato non è comparsa all’udienza pubblica.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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