Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29365 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G. e M.M.F., residenti in

(OMISSIS), rappresentati e difesi per procura a margine

del ricorso dall’Avvocato Camiciola Massimo, elettivamente

domiciliati presso lo studio Antonia De Angelis in Roma, via

Portuense n. 104.

– ricorrenti –

contro

C.C. e Ma.An., residenti in

(OMISSIS), rappresentati e difesi per procura a margine del

controricorso

in calce al controricorso dall’Avvocato Scheggia Vando, elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Lettieri Marta in Roma,

Lungotevere Flaminio n. 44.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 196 della Corte di appello di Ancona,

depositata il 28 gennaio 2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

dicembre 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.C. e Ma.An. convennero dinanzi al Tribunale di Macerata G.G. e M.M.F., proprietari confinanti, chiedendo la demolizione del manufatto edilizio da questi costruito a distanza inferiore da quella prevista dal regolamento edilizio del Comune di Potenza Picena.

I convenuti opposero che la loro costruzione aveva carattere accessorio ed era da considerarsi legittima ai sensi dell’art. 33 del regolamento edilizio, che autorizzava la realizzazione di fabbricati accessori “nelle zone estensive e semistensive” di espansione in deroga alle distanze legali, ed in quanto conforme alla concessione edilizia all’epoca rilasciata ed a quella successiva di mutamento di destinazione d’uso.

All’esito dell’istruttoria, in cui venne svolta consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale accolse la domanda, condannando i convenuti all’arretramento ed al risarcimento dei danni.

Interposto gravame, con sentenza n. 196 del 28 gennaio 2006 la Corte di appello di Ancona confermò integralmente la decisione impugnata.

A sostegno di questa conclusione, il giudice di secondo grado affermò che, sulla base degli accertamenti e dei rilievi fotografici svolti dal consulente tecnico d’ufficio, la costruzione in contestazione, per la sua struttura e conformazione costruttiva con riguardo sia alla volumetria che ai materiali impiegati e per la sua destinazione obiettiva, era priva di qualsiasi carattere accessorio e doveva essere equiparata in tutto e per tutto all’abitazione principale, di cui costituiva un effettivo ampliamento, con l’effetto che essa era soggetta alle disposizioni in materia di distanze legali tra costruzioni non potendo essere ricompressa nella previsione di cui all’art. 33 del regolamento edilizio comunale, che aveva riguardo ai fabbricati “accessori”, intendendosi con tale termine quelli destinati all’utilità o all’ornamento del bene principale; aggiunse inoltre che era del tutto irrilevante sia la circostanza che il fabbricato fosse stato realizzato a seguito di concessione edilizia, esaurendo l’atto amministrativo la sua rilevanza nell’ambito dei soli rapporti pubblicistici, e, attese le accertate caratteristiche dello stesso, il fatto che i convenuti avessero presentato denunzia di inizio dei lavori per riportare i locali alla loro originaria destinazione.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 9 marzo 2006, ricorrono G.G. e M.M.F., affidandosi a sette motivi.

Resistono con controricorso C.C. e Ma.An..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere disposto la demolizione del fabbricato senza considerare che esso era stato realizzato nel pieno rispetto della normativa comunale quale garage e deposito, sicchè ciò che avrebbe potuto essere dichiarato illegittimo era soltanto l’eventuale successivo mutamento di destinazione, peraltro inesistente.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 817 cod. civ., per non avere la Corte considerato che il fabbricato era stato costruito originariamente con destinazione specifica a garage, sicchè era stato edificato in conformità con il regolamento edilizio comunale, e non aveva subito alcuna successiva modifica di destinazione.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono meritano accoglimento.

La Corte di appello ha fondato la propria decisione sul rilievo, che costituisce accertamento di fatto, che il manufatto oggetto di contestazione, per la sua struttura e conformazione costruttiva, per i materiali impiegati e quindi per la sua destinazione obiettiva, era equiparabile in tutto e per tutto all’abitazione principale e non poteva in alcun modo essere qualificato costruzione accessoria e ricompresso nella previsione di cui all’art. 33 del regolamento edilizio comunale. Il carattere accessorio del manufatto è stato pertanto escluso dal giudicante non già in ragione della destinazione di fatto data ad esso dai convenuti, quanto, come detto, dalle sue caratteristiche costruttive e strutturali. Tanto precisato, l’assunto svolto dai ricorrenti è che, essendo stato il manufatto in questione costruito in origine come garage e deposito e quindi conformemente alla disposizione citata del regolamento comunale, la Corte non avrebbe potuto disporne l’arretramento, ma solo il ripristino delle sue condizioni originarie. Questa tesi non è condivisibile incontrando un insuperabile ostacolo nella considerazione che il giudice è tenuto ad esaminare la domanda ed a pronunciarsi su di essa in forza della situazione di fatto al momento esistente, situazione che, come la Corte ha accertato, era costituita dall’esistenza di una costruzione priva di qualsiasi carattere accessorio. Correttamente, pertanto, il giudice di merito ha tratto da tale accertamento le necessarie conseguenze sul piano giuridico, disponendo, in conformità con la domanda, l’arretramento della costruzione in quanto edificata ad una distanza inferiore da quella legale. A tale rilievo merita aggiungere che il ricorso non contiene indicazioni su elementi di prova acquisiti nel processo in forza dei quali avrebbe potuto ritenersi che il manufatto in questione aveva in origine caratteristiche costruttive diverse e tali da farlo qualificare in termini di costruzione accessoria, nè espone comunque tali caratteristiche, sicchè, sotto tale profilo, le censure sollevate difettano anche della necessaria specifica allegazione dei fatti sui quali esse si fondano.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 115, 113 e 101 cod. proc. civ., per avere la sentenza di primo grado, confermata in appello, utilizzato come prova dell’utilizzo abitativo della costruzione la denunzia di inizio di attività inviata da M. M. al competente ufficio comunale, senza considerare che quest’ultima non era mai stata parte in causa. Il mezzo è inammissibile in quanto formula censure alla sentenza di primo grado, non già alla sentenza di appello, che ha fondato la propria conclusione su un autonomo accertamento dei fatti. La Corte distrettuale, inoltre, come già sottolineato, ha escluso il carattere di accessorietà del fabbricato non in ragione della sua utilizzazione di fatto, ma in forza della sua conformazione edilizia e destinazione obiettiva.

Il quarto motivo denunzia “Violazione di legge sull’avvenuta regolarizzazione amministrativa e di fatto dell’accessorio in oggetto ex art. 360 c.p.c., n. 3)”, lamentando che la Corte abbia ritenuto irrilevante la dichiarazione di inizio dei lavori presentata dagli appellanti al fine di ripristinare la destinazione originaria del manufatto, disattendendo in tal modo anche l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene legittima una qualsiasi costruzione realizzata in violazione delle distanze ove lo strumento urbanistico modifichi o renda legittime le distanze violate. Il motivo non merita accoglimento alla luce delle medesime ragioni sopra indicate, dovendosi ribadire la correttezza del ragionamento della Corte di appello, che, nel formulare il proprio giudizio, ha tenuto conto della situazione esistente al momento della decisione, senza dare rilievo alla dichiarazione di inizio dei lavori presentata dai convenuti, che prospettando solo l’intenzione di apportare modifiche al manufatto, costituisce fatto chiaramente inidoneo a dimostrare la sopravvenuta regolarità o legittimità del bene. Il quinto motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per essere la sentenza di primo grado, confermata dalla Corte di appello, caduta in palese contraddizione, laddove, dapprima, aveva riconosciuto al fabbricato una sua autonomia strutturale e, poi, aveva affermato, contraddicendosi, che esso era strutturalmente collegato con il principale e che veniva utilizzato come locale di sgombero.

Il mezzo è inammissibile in quanto si risolve in una critica alla decisione di primo grado, che non investe la sentenza di appello, che si regge, come già evidenziato, su un autonomo accertamento dei fatti ed una propria motivazione. Il sesto motivo di ricorso, nel denunziare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, lamenta che il giudice di primo grado, la cui sentenza è stata confermata in appello, abbia sostanzialmente disapplicato il regolamento edilizio, che autorizzava la realizzazione di costruzioni accessorie lungo il confine, finendo con il violare anche i limiti della propria giurisdizione. Anche questo mezzo è inammissibile per le ragioni indicate in occasione dell’esame del motivo precedente e comunque infondato, avendo la Corte escluso l’applicabilità della invocata disposizione del regolamento comunale sulla base della motivata affermazione che la costruzione realizzata dai convenuti, non avendo carattere accessorio, non poteva ricadere nella sua previsione.

Il settimo motivo denunzia vizio di insufficienza e di contraddittorietà di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere escluso il carattere accessorio del manufatto senza prendere in considerazione il suo uso effettivo, ma limitandosi alla valutazione del suo aspetto esteriore.

Il motivo è inammissibile, essendo la censura sollevata inquadrabile nel vizio di violazione di legge in ordine all’applicazione dei criteri di qualificazione della costruzione come accessoria e non in un difetto di motivazione. La censura è comunque infondata, tenuto conto che il carattere accessorio del manufatto sta ad indicare caratteristiche e proprietà intrinseche del bene e va quindi accertato sulla base di dati ed elementi desunti dalla obiettiva consistenza dello stesso e non sulla base di dati personalistici, quale può essere la destinazione che in concreto il suo titolare possa riservargli in un dato momento.

In conclusione, il ricorso è respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico dei soccombenti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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