Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29365 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17804/2016 R.G. proposto da:

Tecno Recuperi s.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro

Mainardi, con domicilio eletto in Roma, piazza della Croce Rossa, n.

2, presso lo studio dell’Avv. Riccardo Troiano;

– ricorrente-

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 582/2016 depositata il 29 gennaio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a Tecno Recuperi s.p.a. – società che esercita l’attività di raccolta e recupero di rifiuti (in particolare, materiali vetrosi) – due avvisi di accertamento, relativi ai periodi d’imposta, rispettivamente, 2008 e 2009, con i quali (per quanto qui ancora interessa) recuperava integralmente a tassazione le quote di reddito (pari a Euro 240.756,00 per il periodo d’imposta 2008 e a Euro 5.542.720,00 per il periodo d’imposta 2009) che la società contribuente aveva destinato all’acquisto di impianti e macchinari funzionali al miglioramento dell’efficienza della propria attività e che aveva escluso dall’imposizione ai fini delle imposte sui redditi (in particolare, dell’IRES) in applicazione dell’agevolazione prevista, per gli “investimenti ambientali”, dalla Legge finanziaria 2001 (L. 23 dicembre 2000, n. 388) art. 6, commi da 13 a 19;

in particolare, l’Agenzia delle entrate negò l’applicabilità, nella specie, di tale agevolazione per “difetto del requisito della tutela ambientale specifica rispetto all’attività dell’impresa”, in quanto come indicato nella risoluzione della stessa Agenzia 11 luglio 2002, n. 226/E – l’investimento ambientale di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, sarebbe quello diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente “dall’attività d’impresa”, e non, quindi, “danni causati, genericamente e indirettamente, all’ambiente dall’azione di altri soggetti, come sarebbe il caso del mancato riciclaggio dei materiali vetrosi”;

gli avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Como (hinc anche: “CTP”) che, riuniti i ricorsi della contribuente, per quanto qui interessa: 1) escluse l’applicabilità, nella specie, della menzionata agevolazione, confermando, perciò, il correlativo recupero a tassazione operato con gli avvisi di accertamento impugnati; 2) dichiarò non applicabili le sanzioni irrogate, con gli stessi avvisi, in conseguenza del suddetto recupero, ritenendo che la violazione fosse giustificata dall’esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19;

avverso tale pronuncia, Tecno Recuperi s.p.a. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”) e l’Agenzia delle entrate propose appello incidentale (limitatamente alla parte che aveva dichiarato la non applicabilità delle sanzioni);

la CTR, sempre per quanto qui interessa: a) rigettò l’appello di Tecno Recuperi s.p.a. con la motivazione che: a.1) il motivo con il quale tale società aveva dedotto la “carenza di legittimazione dell’Ufficio (…) in relazione alla verifica ed al controllo della corretta applicazione della agevolazione tributaria in quanto spettante al Ministero delle Attività Produttive in via esclusiva mentre al Ministero delle Finanze spetterebbe solo un controllo di natura formale” non era fondato “perchè la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 17, stabilisce solo ed esclusivamente che le imprese debbano “comunicare entro un mese dall’approvazione del bilancio annuale gli investimenti agevolati ai sensi del comma 13. Il Ministero delle attività produttive, di intesa con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, effettua entro il 31 dicembre 2003, con riferimento al bilancio 2002, e successivamente ogni anno, il censimento degli investimenti ambientali di cui al presente comma””; a.2) “nel merito”, l’appello non era fondato in quanto: “la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 15, contiene alcune indicazioni che riguardano la tipologia di investimenti ammessi a fruire dell’agevolazione. Gli investimenti effettuati devono essere necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente, con esplicita esclusione di quelli realizzati in attuazione di obblighi di legge. Deve trattarsi di danni “provocati all’ambiente dall’attività dell’impresa”, escludendo così la possibilità che possa trattarsi di danni causati da terzi che l’impresa interviene a riparare. Pertanto il beneficio è limitato ai soggetti che “non” si occupano “professionalmente” di interventi ambientali, ma li pongono in essere per prevenire o ridurre eventuali danni che possano essere causati dalla propria abituale attività. Infatti, la norma è volta ad agevolare investimenti di natura strordinaria e non connessi alla normale attività d’impresa, come nella fattispecie. Pertanto, deve essere confermata in punto la sentenza impugnata ed assorbiti tutti gli ulteriori motivi di gravame”; b) rigettò anche l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 29 gennaio 2016 e non notificata – ricorre per cassazione Tecno Recuperi s.p.a., che affida il proprio ricorso, notificato il 14-15/20 luglio 2016, a tre motivi;

l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva;

Tecno Recuperi s.p.a. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, e del “D.Lgs. n. 300 del 1999” in quanto la CTR, nel rigettare il motivo di appello con il quale Tecno Recuperi s.p.a. aveva dedotto la “carenza di legittimazione della Agenzia delle entrate”, non ha considerato che la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 17 “imponeva (a tale Agenzia) di agire di concerto con il Ministero delle attività produttive (…) e con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (..), rendendo illegittimi gli atti di accertamento privi dell’avallo degli uffici tecnici appartenenti ai citati Ministeri”, il cui mancato “coinvolgimento” sarebbe “ancora più grave” per la ragione che le imprese che, come Tecno Recuperi s.p.a., avevano assolto l’onere, previsto dal suddetto comma 17, di comunicare gli investimenti agevolati “senza ricevere alcuna contestazione e, o richiesta di ulteriori informazioni da parte del Ministero delle Attività produttive, potevano fondatamente ritenere acquisito il diritto alla detassazione sulla base del principio del legittimo affidamento (…) tutelato nell’ordinamento tributario dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1”;

il motivo non è fondato;

Il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 62, stabilisce che all’Agenzia delle entrate “sono attribuite tutte le funzioni concernenti le entrate tributarie erariali che non sono assegnate alla competenza di altre agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od organi, con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale (…)” (comma 1) e che la stessa Agenzia “è competente in particolare a svolgere i servizi relativi alla amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti (…)” (comma 2);

tali generali disposizioni conferiscono perciò all’Agenzia delle entrate tutte le funzioni e i poteri in materia di imposizione fiscale, tra l’altro, diretta, cioè tutte le funzioni e i poteri strumentali all’adempimento delle obbligazioni tributarie verso l’erario, a meno che siffatti funzioni e poteri “s(ia)no assegnagli alla competenza di altre agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od organi”;

la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 17, prevede che “(l)e imprese provvedono a comunicare entro un mese dall’approvazione del bilancio annuale gli investimenti agevolati ai sensi del comma 13. Il Ministero delle attività produttive, di intesa con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, effettua entro il 31 dicembre 2003, con riferimento al bilancio 2002, e successivamente ogni anno, il censimento degli investimenti ambientali di cui al presente comma”;

dalla lettura di tale disposizione emerge pianamente che essa non assegnava alla competenza del Ministero delle attività produttive e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio funzioni o poteri in materia di imposizione fiscale, ma solo il compito di effettuare annualmente, sulla base delle comunicazioni ricevute dalle imprese, il censimento degli investimenti ambientali agevolati, con l’evidente scopo – generalmente proprio di tali operazioni statistiche – di conoscere lo stato del fenomeno in ciascun anno;

pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 17, non imponeva all’Agenzia delle entrate “di agire di concerto con il Ministero delle attività produttive (…) e con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio” e non “rende(va) illegittimi gli atti di accertamento privi dell’avallo degli uffici tecnici appartenenti ai citati Ministeri”;

l’evidenziata assenza, in capo al Ministero delle attività produttive, di qualsiasi funzione o potere in materia di imposizione fiscale esclude in radice anche che il “silenzio” dello stesso Ministero successivamente alla comunicazione, da parte di Tecno Recuperi s.p.a., degli investimenti ambientali agevolati effettuati negli anni 2008 e 2009 potesse avere determinato la nascita di un affidamento tutelabile della società in ordine alla spettanza dell’agevolazione;

nessun error in iudicando ha pertanto commesso la CTR con l’escludere, nella specie, qualunque “carenza di legittimazione” dell’Agenzia delle entrate;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 stesso codice e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 – in particolare, di quest’ultimo art., comma 2, nn. 2) e 3), secondo cui le sentenze dei giudici tributari devono contenere “la concisa esposizione dello svolgimento del processo” (n. 2) e “le richieste delle parti” (n. 3) atteso che la sentenza impugnata, “al pari” di quella della CTP, non reca alcun riferimento alle “specifiche eccezioni”, formulate “nel corso dei giudizi di primo e secondo grado”, con le quali Tecno Recuperi s.p.a. aveva “censura(to) l’operato della Agenzia (…) per violazione dell’obbligo di adeguata motivazione degli Accertamenti e violazione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2000, art. 7”, nè alcuna pronuncia sulle stesse “eccezioni”;

il motivo non è fondato;

è orientamento consolidato di questa Corte che il vizio di omessa pronuncia, che integra la violazione dell’art. 112 c.p.c., non ricorre allorchè, nonostante il mancato esame di una censura mossa alla sentenza di primo grado, il giudice di appello adotti una decisione incompatibile con l’accoglimento della stessa censura, che ne comporta il rigetto implicito (tra le tante, Cass., 14/01/2015, n. 452, 06/12/2017, n. 29191, 13/08/2018, n. 20718);

tale è il caso di specie, atteso che la CTR, col rigettare l’appello di Tecno Recuperi s.p.a. per la radicale inapplicabilità dell’agevolazione prevista dalla L. n. 388 del 2008, art. 6, commi da 13 a 19, agli investimenti necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente non dall’impresa che li realizza ma da terzi, ha implicitamente rigettato sia la censura, logicamente pregiudiziale, relativa al vizio formale di carenza di motivazione dell’accertamento, sia la censura relativa alla violazione dei principi in materia di onere della prova riguardo alla sussistenza e al calcolo di investimenti che, comunque, non sarebbero stati detassabili;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione dell L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, per avere la CTR: a) commettendo un “palese errore materiale” – consistito nel reputare che “la L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 15 (…) prev(edeva) che gli investimenti detassabili dovevano essere destinati a prevenire, ridurre e riparare “danni provocati all’ambiente dalla attività dell’impresa””, laddove le parole “dalla attività dell’impresa” non figurano, in realtà, nel testo del detto comma – “fondato la propria decisione esclusivamente sulla base di una asserita, ma inesistente previsione normativa”; b) interpretato la L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, nel senso che, per essere detassabili ai sensi di tali disposizioni, gli investimenti ambientali dovevano essere relativi all’acquisto, da parte di un’impresa (piccola o media; L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 13), di immobilizzazioni materiali necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dall’attività dell’impresa stessa, così attribuendo alle suddette disposizioni un significato non ricavabile nè dal loro testo, che non contiene tale limitazione (presente solo nella circolare dell’Agenzia delle entrate 3 gennaio 2001, n. 1/E), nè dall’intenzione del legislatore – alla stregua dei quali, invece, la detassazione de quo doveva ritenersi spettante con riferimento agli investimenti necessari per prevenire, ridurre e riparare “qualsivoglia danno (…) all’ambiente”, anche se non causato dall’attività dell’impresa che ha realizzato l’investimento – e con effetti discriminatori nei confronti delle imprese il cui oggetto sia costituito, come nel caso di Tecno Recuperi s.p.a., da un’attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all’ambiente dall’attività di terzi;

il motivo non è fondato;

quanto al suo primo profilo, riassunto sopra sub a), va osservato che, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata – che si è integralmente riportata, nei suoi esatti termini, nella parte in fatto risulta che, nell’esporre, inizialmente, le “indicazioni” contenute nella L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 15, riguardo alla tipologia di investimenti ambientali ammessi all’agevolazione, la CTR ha affermato che “(g)li investimenti effettuati devono essere necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente, con esplicita esclusione di quelli realizzati in attuazione di obblighi di legge”;

tale asserzione è conforme a quanto è previsto dal menzionato comma 15, secondo cui “(p)er investimento ambientale si intende il costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali di cui all’art. 2424 c.c., comma 1, lett. B), n. 11, necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente. Sono in ogni caso esclusi gli investimenti realizzati in attuazione di obblighi di legge. Gli investimenti ambientali vanno calcolati con l’approccio incrementale”;

perciò, affermando, successivamente, che “(d)eve trattarsi di danni “provocati all’ambiente dall’attività dell’impresa””, la CTR non stava, evidentemente, riportando il testo della L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 15 – il cui contenuto aveva già (correttamente) esposto – ma stava manifestando la propria interpretazione dello stesso comma, la quale è, di poi, argomentata;

si deve pertanto escludere che la CTR abbia “fondato la propria decisione esclusivamente sulla base di una asserita, ma inesistente previsione normativa”, avendo essa piuttosto interpretato l’effettivo testo della L. n. 388 del 2000, art. 6, comma 15;

quanto al secondo profilo del motivo, riassunto sopra sub b), esso pone la questione – che attiene alla definizione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’agevolazione prevista dalla L. n. 288 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19 – se, ai fini della spettanza di tale beneficio, occorra che l’investimento (rectius: l’immobilizzazione immateriale con esso acquistata) sia necessario per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dall’attività dell’impresa che lo realizza (come ritenuto dalla CTR) oppure anche danni non causati dall’attività di tale impresa, ma da quella di soggetti terzi (come sostenuto dalla ricorrente);

il Collegio ritiene che la risposta corretta sia la prima;

assumono rilievo, in proposito, il comma 13 e, soprattutto, la L. n. 388 del 2000, art. 6, (già riportato) comma 15, a norma dei quali, rispettivamente: “(l)a quota di reddito delle piccole e medie imprese destinata a investimenti ambientali, come definiti al comma 15, non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito” (comma 13); “(p)er investimento ambientale si intende il costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali di cui all’art. 2424 c.c., comma 1, lettera 8), n. 2, necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente. Sono in ogni caso esclusi gli investimenti realizzati in attuazione di obblighi di legge. Gli investimenti ambientali vanno calcolati con l’approccio incrementale” (comma 15);

al riguardo, si osserva che la concessione dell’agevolazione de quo a favore della generalità delle imprese (piccole e medie) – e non, quindi, di altri soggetti che non esercitano attività di impresa – si fondava, in tutta evidenza, sull’implicito presupposto della dannosità per l’ambiente di tale attività, alla quale la stessa dannosità è inerente;

per tale ragione, risulta chiaro che, nel definire gli investimenti cui si applicava l’agevolazione come quelli necessari per prevenire, ridurre e ripianare “danni causati all’ambiente”, il legislatore intendeva fare riferimento ai danni all’ambiente inerenti all’attività dell’impresa investitrice, cioè ai danni causati da tale sua attività;

l’accoglimento della tesi opposta, del resto, comporterebbe che l’agevolazione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, si tradurrebbe in un’agevolazione all’attività stessa delle imprese il cui oggetto sia costituito, come nel caso della società ricorrente, da un’attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all’ambiente da terzi – e i cui investimenti sono, perciò, strutturalmente generalmente diretti a prevenire, ridurre e riparare danni all’ambiente – esito che, oltre che contrastare con l’indicata intenzione del legislatore, sarebbe suscettibile di trasformare l’agevolazione de quo in un aiuto di Stato, in contrasto con gli artt. da 87 a 89 Trattato CEE (e, successivamente, con gli artt. da 107 a 109 TFUE), stante il vantaggio che essa potrebbe comportare a favore del detto settore di imprese rispetto ai concorrenti di altri Paesi dell’Unione Europea, con la conseguente alterazione (o minaccia di alterazione) della concorrenza;

la diversità tra la situazione dell’impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente da terzi e la situazione dell’impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dalla propria attività giustifica – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – il fatto che, a fronte dell’acquisto di un’identica immobilizzazione materiale, il relativo costo non sia detassato nel primo caso e lo sia, invece, nel secondo;

ovviamente, l’interpretazione qui seguita non preclude alle imprese il cui oggetto sia costituito da un’attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all’ambiente da terzi di beneficiare dell’agevolazione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 6, commi da 13 a 19, in relazione agli investimenti necessari per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dalla propria attività;

dall’inammissibilità o infondatezza dei motivi consegue, in conclusione, il rigetto del ricorso;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate come indicato in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi della D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 06 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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