Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29362 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 14/11/2018), n.29362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3912-2014 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

82, presso lo studio dell’avvocato LEONIDA CARNEVALE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO PAGLIAI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

SPE SOCIETA’ PUBBLICITA’ EDITORIALE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO DE

FEO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/08/2013 r.g.n. 1509/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per accoglimento del secondo

motivo, rigetto del primo;

udito l’Avvocato PAOLO PAGLIARI;

udito l’Avvocato PAOLA PIGNATARO per delega Avvocato DOMENICO DE FEO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2.8.2013 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello principale di B.S., ex agente della Società SPE spa ritenendo non dovute ulteriori differenze provvisionali rivendicate dall’agente e, in accoglimento dell’appello incidentale della società, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Milano del 2009 respingendo la domanda diretta ad ottenere il pagamento dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia ai sensi dell’art. 1751 c.c., oltre che di ulteriori differenze provvigionali e, in accoglimento dell’appello incidentale della SPE spa, ha condannato l’agente alla restituzione di quanto percepito a tale titolo in esecuzione della sentenza di primo grado.

Per la corte di merito la B., pur avendo tutti gli elementi per indicare in modo non generico le ulteriori provvigioni rivendicate in ricorso rispetto a quelle riconosciute dalla committente in corso di causa, non aveva fornito precise indicazioni sugli ulteriori affari conclusi e sui nominativi del relativi clienti, mentre ha ritenuto fondato l’appello incidentale della società circa la non spettanza dell’indennità di risoluzione ex art. 1751 c.c. perchè non era emerso in causa che la B. avesse procurato alla società nuovi clienti o avesse sviluppato sensibilmente gli affari con i clienti esistenti e che la società ne ricevesse ancora sostanziali vantaggi.

Ed infatti per la corte l’agente contattava unicamente le agenzie pubblicitarie che a loro volta proponevano ai propri clienti l’acquisto dello spazio pubblicitario sulle testate seguite dalla SPE, che non era aumentato il numero delle agenzie pubblicitarie, da considerarsi clienti seguite della B., solo essendo eventualmente variati i volumi di affari sempre delle stesse agenzie comprese nell’elenco iniziale affidato alla B.; che tuttavia nessuna prova era stata offerta dall’agente con riferimento all’incremento del fatturato relativo alle agenzie da lei contattate.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.S. affidato a sei motivi, poi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; ha resistito Spe con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la B. deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” per avere la corte milanese ritenuto la nullità della domanda di condanna al pagamento di differenze provvigionali in relazione ad affari procurati in costanza di rapporto, non avendo la ricorrente in alcun modo offerto elementi idonei a consentire la determinazione del quantum. Tale assunto sarebbe errato perchè le provvigioni richieste erano state quantificate solo nella misura già emergenti dalle comunicazioni aziendali, mentre le altre si sarebbero potute ricavare solo attraverso identica documentazione aziendale non in possesso dell’agente e desumibile solo dai libri contabili, mentre in ricorso erano stati indicati i nominativi dei clienti contattati, in parte contenuti in un allegato A, prodotto in primo grado. Non aveva poi la Corte considerato le prove testimoniali in primo grado di alcuni clienti, in cui erano stati confermati gli affari conclusi solo dalla B..

Il primo motivo è inammissibile sia per mancata specificità che comunque per difetto di autosufficienza. Ed infatti, premesso che non viene in realtà individuata, nel vizio denunciato, la norma violata, che dovrebbe riferirsi all’art. 414 c.p.c., comma 3, atteso che la ricorrente lamenta che la corte abbia erroneamente affermato la nullità della domanda per assoluta genericità del petitum (per la parte relativa alle differenze provvigioni non quantificate), a suo dire invece ricavabile da quanto comunque indicato nel corpo del ricorso di primo grado, la ricorrente non solo non ha trascritto le parti rilevanti del ricorso introduttivo di primo grado, in cui risulterebbero i nominativi della clientela cui fa riferimento, e quelle relative un non meglio precisato Allegato A prodotto dall’agente in primo grado, riferito agli affari procurati alla preponente precedentemente alla risoluzione del rapporto, ma neanche ha indicato l’esatta collocazione nel fascicolo di parte tanto del ricorso ex art. 414, quanto di tale allegato, con evidente violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, lett. b, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, non avendo consentito alla corte di valutare la effettiva portata delle deduzioni in fatto svolte nell’atto introduttivo di causa ai fini della determinazione dell’oggetto della domanda svolta, che la corte d’Appello ha ritenuto nulla.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 “per violazione dell’art. 1751 e degli artt. 1362,1366 e 1370 c.c.”, per avere ritenuto la corte di merito che la ricorrente non avesse fornito prova di aver incrementato la clientela delle agenzie pubblicitarie della Spe, rimaste sempre le stesse, a cui facevano capo i clienti che acquisivano gli spazi pubblicitari, senza diretto intervento della B.. La Corte avrebbe pertanto non compreso il sistema di incremento degli affari, laddove invece dalle stesse difese della società si ricavava che la stessa preponente aveva ritenuto che i clienti privati, apportati di fatto dalla B., fossero astrattamente idonei ad essere valutati ai sensi dell’art. 1751 c.c.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce poi la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio ex art. 111 Cost., in quanto la corte milanese, ritenendo inapplicabile l’art. 1751 c.c. alla fattispecie, perchè inesistenti gli aumenti di nuova clientela, peraltro con un’argomentazione neanche svolta dalla Spe, avrebbe privato del tutto del contraddittorio sul punto la ricorrente, la quale non ha mai potuto argomentare e contraddire su tale aspetto. Lamenta inoltre la B. che la corte avrebbe motivato addirittura in contrasto con quanto lamentato dalla stessa società, appellante incidentale, la quale aveva eccepito la mancanza del permanere di nuovi clienti successivamente alla cessazione del rapporto.

Con il quarto motivo di appello si deduce sempre “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” per “infondatezza nel merito dell’argomentazione adottata dalla corte di appello circa la natura della clientela riferibile alla B.”: avrebbe errato la corte nel ritenere che il portafoglio clienti era rappresentato solo dalle agenzie e che queste ultime non erano aumentate e anche nel ritenere che comunque, essendo l’unico parametro di riferimento utile quello dell’incremento del fatturato delle agenzie già esistenti, tale prova non era emersa. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata avrebbero dovuto ritenersi clienti non le agenzie pubblicitarie, ma coloro che si rivolgevano a dette agenzie per la pianificazione delle loro campagne pubblicitarie. Tale meccanismo sarebbe stato spiegato sia dalla B. nel libero interrogatorio, sia dai testi, ma non compreso dalla corte distrettuale.

Con il quinto motivo si deduce sempre “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” per censurare la motivazione della corte per aver affermato che non vi era stata prova dell’incremento del fatturato, ciò risultando invece dalle testimonianze raccolte, che avevano confermato il diretto e rilevante apporto della B. nell’acquisizione di alcuni clienti da parte delle agenzie.

Con il sesto motivo di ricorso si deduce infine “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione alla riforma della sentenza di primo grado in merito alla liquidazione forfetaria dell’indennità ex art. 1751 c.c., per non avere la corte milanese spiegato in cosa consistessero le deficienze di motivazione della sentenza di primo grado laddove aveva determinato, in via forfetaria, nella misura di Euro 30.000 l’indennità di clientela, mentre a dire della ricorrente il tribunale aveva idoneamente motivato facendo riferimento al comportamento processuale della SPE che aveva impedito al CTU di effettuale i richiesti accertamenti.

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, perchè in realtà censurano tutti la sentenza per avere escluso il diritto all’indennità di cessazione del rapporto in mancanza di acquisizioni dì nuovi clienti in favore della SPE spa e comunque per non aver fornito prova di aumento degli affari.

Le censure sono in parte inammissibili e comunque non meritano accoglimento.

Ed infatti la ricorrente formula delle doglianze non particolarmente chiare sul piano del’interpretazione della norma, l’art. 1751 c.c., che sostiene esse stata violata. In particolare pur lamentando un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, che ricorre – o non ricorre – a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione, la ricorrente finisce poi per ricavare l’errore posto in essere dalla sentenza proprio dalla motivazione espressa dalla corte che, a suo dire, avrebbe ritenuto inapplicabile l’art. 1751 citato per un motivo completamente differente da quello eccepito dalla SPE, ossia che i clienti rilevanti sarebbero solo le agenzie pubblicitarie, circostanza non eccepita neanche dalla società.

Ciò significa che, in realtà, la ricorrente non lamenta un errato processo di sussunzione rilevando che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ma lamenta un’errata ed omessa valutazione da parte della corte milanese dei fatti allegati e delle eccezioni in particolare svolte dalla società appellante incidentale, che l’avrebbero portata alla disapplicazione della norma nel caso concreto, affermando che solo le agenzie dovessero ritenersi dei clienti.

Comunque le doglianze sono infondate in quanto in realtà la sentenza impugnata ha adottato una doppia ratio decidendi, affermando altresì che non era stata fornita comunque prova di un incremento del fatturato delle agenzie contattate dalla B., intendendosi per esse appunto quei clienti già esistenti, i cui affari erano stati sensibilmente sviluppati dall’agente B., come previsto dalla norma di cui all’art. 1751 c.c., comma 1.

Quanto al quinto e sesto motivo le censure della ricorrente sono rivolte – in termini non più ammissibili in base alla nuova formulazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5 – pur sempre all’impianto motivazionale della sentenza, con riferimento ad una fatto decisivo (l’aumento degli affari delle agenzie pubblicitarie già clienti ad opera proprio della B.) che tuttavia è stato esaminato dai giudici del gravame, i quali ne hanno escluso la sussistenza, in termini di presupposto comunque necessario anche per la liquidazione dell’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia.

Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, cui va aggiunto il pagamento del contributo previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA