Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29358 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. III, 13/11/2019, (ud. 01/10/2019, dep. 13/11/2019), n.29358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 17395 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

V.A., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura a margine del ricorso, dagli avvocati Roberto Poli (C.F.:

PLO RRT 64D24 H501W) e Carmelita Rizza (C.F.: RZZ CML 78B51 D122X);

– ricorrente –

nei confronti di:

D.S., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura a margine del controricorso, dall’avvocato Giuseppe Bernardi

(C.F.: non dichiarato);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

2760/2016, pubblicata in data 3 maggio 2016 (che si assume

notificata in data 6 maggio 2016);

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 1

ottobre 2019 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

l’avvocato Roberto Poli, per la ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.S. ha intimato ad V.A. precetto di rilascio in relazione ad un immobile sito in (OMISSIS), sulla base di titolo esecutivo costituito da una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c. in favore della sua dante causa D.R.F.; e ha poi dato inizio all’esecuzione. La V. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., dapprima avverso l’atto di precetto e successivamente avverso l’esecuzione iniziata, chiedendo altresì la risoluzione del contratto costituito con la sentenza posta in esecuzione e la restituzione dell’immobile frattanto oggetto di forzoso rilascio. Il D., in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna dell’opponente al risarcimento per l’illegittima occupazione dell’immobile.

Riuniti i due giudizi, il Tribunale di Roma (sentenza n. 23069 del 2011) ha accolto l’opposizione della V., ha dichiarato inammissibili le ulteriori domande avanzate dalla stessa ed ha rigettato la domanda riconvenzionale del D..

La V. ha successivamente agito in autonomo giudizio nei confronti del D., con procedimento sommario di cognizione, ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., per ottenere la restituzione dell’immobile oggetto del forzoso rilascio e la risoluzione del contratto di vendita costituito per sentenza.

Il Tribunale di Roma (ordinanza n. 9098 del 2012) ha accolto la domanda di restituzione dell’immobile, rigettando però quella di risoluzione del contratto di vendita costituito per sentenza, ai sensi dell’art. 2932 c.c., in relazione allo stesso immobile (nonchè ogni altra domanda proposta dall’attrice).

La Corte di Appello di Roma, decidendo in secondo grado in relazione ad entrambe le indicate decisioni, in riforma di quella relativa al primo giudizio, ha rigettato l’opposizione e le altre domande della V. ed ha accolto la domanda risarci-toria proposta in via riconvenzionale dal D.; ha rigettato il gravame proposto dalla V. avverso la decisione di primo grado resa nell’autonomo giudizio da questa promosso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c..

Ricorre la V., sulla base di otto motivi.

Resiste con controricorso il D..

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ opportuno esaminare in primo luogo il secondo motivo del ricorso, avente ad oggetto la questione, logicamente preliminare, della disciplina cui è assoggettato il rapporto negoziale in caso di contratto di vendita costituito per sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. con effetto traslativo subordinato al versamento del prezzo entro un determinato termine.

Con tale motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: falsa applicazione degli artt. 1453 ss. e violazione del combinato disposto dell’art. 2932 c.c. e art. 1353 c.c. e ss. sotto il profilo della mancata applicazione alla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 295/1997 della disciplina in materia di contratto condizionale di cui agli artt. 1353 c.c. e ss., sulla base dell’orientamento giurisprudenziale di cui a Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 1994, n. 11195, che risulta preferibile all’orientamento di cui a Cass., sez. II, 6 agosto 2001, n. 10827”.

Il motivo è infondato.

Secondo la ricorrente vi sarebbe un contrasto, nella giurisprudenza di questa Corte, tra due diversi orientamenti in ordine al regime giuridico da applicare al contratto di vendita costituito per sentenza, ai sensi dell’art. 2932 c.c., con effetto traslativo subordinato al versamento del prezzo entro un determinato termine.

A suo dire, dovrebbe preferirsi l’orientamento espresso da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 27/12/1994, Rv. 489430 – 01, in cui sarebbe affermato che la subordinazione degli effetti del contratto di vendita al versamento del prezzo in un determinato termine costituisce una condizione in senso tecnico, il cui eventuale avveramento andrebbe valutato esclusivamente in base alle disposizioni di cui agli artt. 1353 c.c. e ss., rispetto a quello espresso da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10827 del 06/08/2001, Rv. 548807 – 01, in cui sarebbe al contrario affermato che il versamento del prezzo costituisce la prestazione essenziale del compratore, destinata ad attuare il sinallagma contrattuale, per cui il suo eventuale inadempimento andrebbe valutato in base alla disciplina di legge in tema di risoluzione del contratto.

In realtà, al di là della formulazione delle massime e delle espressioni letterali contenute nelle numerose decisioni che hanno affrontato la questione, il contrasto indicato dalla ricorrente non sussiste affatto (o, quanto meno, non è da tempo attuale).

Nella giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai costante e risulta anche di recente ulteriormente ribadita l’affermazione del principio di diritto secondo il quale dal momento del passaggio in giudicato della sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. si producono gli effetti del negozio, ciò comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e correlativamente l’obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (o il suo residuo) eventualmente ancora dovuto, obbligo sancito con una pronuncia di accertamento o di condanna o di subordinazione dell’efficacia traslativa al pagamento; in tal modo si origina un rapporto di natura negoziale e sinallagmatica suscettibile di risoluzione nel caso di inadempimento che, ai sensi dell’art. 1455 c.c. sia di non scarsa importanza, il che può verificarsi anche nel caso di ritardo (rispetto al termine eventualmente fissato nella sentenza o in relazione alla data del suo passaggio in giudicato) che risulti eccessivo in rapporto al tempo trascorso, all’entità della somma da pagare (in assoluto e in riferimento all’importo in ipotesi già versato) e ad ogni altra circostanza utile ai fini della valutazione dell’interesse dell’altra parte.

Si è altresì espressamente precisato, in proposito, che l’istituto della risoluzione per inadempimento, applicabile per l’ipotesi di mancata ottemperanza agli obblighi scaturenti dalla sentenza costituiva, impedisce che possa farsi applicazione delle diverse previsioni in tema di condizione risolutiva di cui all’art. 1353 c.c., ancorchè impropriamente si parli di trasferimento condizionato all’adempimento degli obblighi gravanti sul compratore.

In base ai suddetti principi, dunque, con riguardo al rapporto che si costituisce per effetto della sentenza di accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere una compravendita, il pagamento del prezzo, cui è subordinato il trasferimento della proprietà, se pure assolve alla funzione di condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo, non perde peraltro la sua natura di prestazione essenziale destinata ad attuare il sinallagma contrattuale, con la conseguenza che l’inadempimento della correlativa obbligazione, può – nel concorso dei relativi presupposti – essere fatto valere dalla controparte, come ragione di risoluzione del rapporto ai sensi degli artt. 1453 c.c. e ss, non già come causa di automatica inefficacia del rapporto medesimo ai sensi degli artt. 1353 c.c. e ss..

Questa la ricostruzione sistematica del rapporto contrattuale conseguente alla costituzione del contratto di vendita per sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. affermata ormai da tempo da questa Corte in modo univoco.

Sono, nella sostanza, conformi a tale ricostruzione – al di là dei termini in cui risultano massimate e delle espressioni verbali utilizzate – quanto meno le seguenti decisioni: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 30469 del 23/11/2018, non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 20226 del 31/07/2018, Rv. 649912 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 26364 del 07/11/2017, Rv. 646072 – 01; Sez. 2, Sentenza 2, Sentenza 2, Sentenza 2, Sentenza Sentenza n. Sentenza n. Sentenza n. n. 10605 del 23/05/2016, Rv. 639953 – 01; Sez. n. 8250 del 06/04/2009, Rv. 607646 – 01; Sez. n. 8212 del 07/04/2006, Rv. 589314 – 01; Sez. n. 690 del 16/01/2006, Rv. 586249 – 01; Sez. 1, 25364 del 29/11/2006, Rv. 593281 – 01; Sez. 2, 26233 del 02/12/2005, Rv. 585216 – 01; Sez. 2, 10827 del 06/08/2001, Rv. 548807 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 27/12/1994, Rv. 489430 – 01.

E’ opportuno osservare che le stesse decisioni indicate dalla ricorrente come espressione di due diversi e contrastanti orientamenti (cioè le sentenze n. 11195/1994 e n. 10827/2001) si iscrivono entrambe in realtà, coerentemente, nell’ambito della medesima ricostruzione sistematica appena descritta (tanto da essere segnalate come “conformi” dall’ufficio del Massimario), cui va senz’altro data continuità.

Orbene, la decisione impugnata risulta del tutto in linea con tale ricostruzione. La corte di appello, al fine di stabilire se il contratto di vendita costituito con la sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. avesse perso efficacia, ha infatti ritenuto necessario verificare la sussistenza dei presupposti della risoluzione del contratto stesso per inadempimento, non limitandosi al mero riscontro dell’oggettivo mancato versamento del prezzo dovuto nel termine fissato nella sentenza, come se si fosse semplicemente trattato di una ordinaria condizione (sospensiva o risolutiva) di efficacia del negozio.

Quanto fin qui esposto non solo evidenzia l’infondatezza del motivo di ricorso in esame ma, come meglio si vedrà in prosieguo, rende conto anche dell’infondatezza di buona parte degli altri motivi.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione dell’art. 2909 c.c. (e dell’art. 324 c.p.c.) in relazione al mancato rilievo dell’efficacia preclusiva della sentenza della Corte d’Appello di Roma, sez. 11 civile, 16 giugno 2005, n. 2770, passata in giudicato, di cui al primo motivo dell’appello incidentale proposto dalla signora V., in ordine, appunto, al mancato rilievo del giudicato su questioni dirimenti della controversia”.

Il motivo è infondato.

E’ corretta l’individuazione operata dalla corte territoriale dell’estensione oggettiva del giudicato esterno, costituito dalla pronuncia di accoglimento della prima opposizione all’esecuzione avanzata dalla venditrice V. avverso il precetto di rilascio che le era stato intimato dall’acquirente D.R. sulla base dell’originaria offerta reale della somma dovuta a titolo di prezzo in corrispettivo della vendita costituita per sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., offerta ritenuta di importo insufficiente e quindi non idonea a determinare l’effetto traslativo del contratto, subordinato a tale versamento.

Come sostanzialmente si afferma nella decisione impugnata, in quel giudizio, in effetti, la dichiarazione dell’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione per rilascio da parte dell’acquirente non aveva fatto seguito all’accertamento dei presupposti della definitiva risoluzione del contratto di vendita per l’inadempimento di quest’ultima, ma semplicemente alla constatazione dell’oggettivo mancato (attuale) avveramento della condizione cui l’effetto traslativo era stato subordinato e, quindi, dell’insussistenza del diritto della stessa acquirente di ottenere in via esecutiva il rilascio dell’immobile.

A tale accertamento non aveva peraltro fatto seguito alcuna valutazione ed alcuna pronuncia in relazione alla persistenza o meno del rapporto contrattuale sottostante.

Nessun accertamento risulta infatti effettuato in quella sede (per quanto è dato evincere dal contenuto della stessa decisione passata in giudicato, che è trascritta nel ricorso): a) nè in ordine alla eventuale perdita definitiva di efficacia del contratto di vendita per il mancato tempestivo versamento integrale del prezzo (cioè in ordine alla definitività del ritenuto mancato avveramento della condizione); b) nè in ordine alla possibilità o meno di una successiva verificazione dell’effetto traslativo, in conseguenza di un successivo versamento del prezzo, anche eventualmente mediante l’integrazione dell’importo oggetto dell’offerta reale, stante la perdurante efficacia del rapporto contrattuale; c) nè, tanto meno, in ordine all’eventuale definitivo inadempimento contrattuale di una delle parti, alla sua importanza ed alla conseguente configurabilità dei presupposti per la risoluzione del contratto di vendita. Anzi, emerge dal contenuto della suddetta decisione che la corte di appello aveva espressamente ritenuto addirittura irrilevante stabilire la sussistenza della titolarità del rapporto sostanziale controverso ed affrontare la questione della tempestività dell’offerta reale del prezzo.

In definitiva, la decisione invocata dalla ricorrente quale giudicato esterno sull’efficacia del contratto di vendita fa stato esclusivamente in relazione alla insussistenza del diritto dell’acquirente di ottenere il rilascio dell’immobile oggetto della stessa vendita, in via esecutiva, al momento dell’intimazione del (primo) precetto, per non essersi (in quel momento) verificata la condizione dell’integrale versamento del prezzo e quindi l’effetto traslativo della proprietà, ma non in ordine alla persistenza del rapporto contrattuale sottostante e, in particolare, in ordine alla sua eventuale risoluzione per inadempimento.

Poichè, come ampiamente esposto in relazione al primo motivo di ricorso, solo l’accertamento dell’eventuale sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza, ai sensi dell’art. 1455 c.c., determina la risoluzione del contratto di vendita costituito con sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., pur restando l’effetto traslativo della proprietà subordinato alla condizione dell’effettivo pagamento del prezzo, anche in questo caso la decisione della corte territoriale, oltre che del tutto coerente con l’oggettivo contenuto del giudicato esterno, risulta pienamente conforme ai principi in tema di rapporti derivanti dalla sentenza che tiene luogo del contratto di vendita, con conseguente infondatezza del motivo di ricorso in esame.

E’ opportuno aggiungere che non può avere alcun rilievo – con riguardo alla questione dell’eventuale sussistenza del giudicato esterno, qui in esame – la circostanza, sostenuta dalla ricorrente, che essa avrebbe espressamente chiesto, già nel primo giudizio di opposizione a precetto, l’accertamento della definitiva perdita di efficacia del contratto di vendita, eventualmente anche in conseguenza dell’inadempimento dell’acquirente all’obbligo di versare il prezzo nel termine fissato.

Ciò che rileva, ai fini dell’eccezione di giudicato sollevata nella presente controversia, è infatti esclusivamente il contenuto delle effettive statuizioni della sentenza che ha definito il precedente giudizio, la quale certamente non contiene alcuna pronuncia in relazione a quelle domande. Anche laddove vi fosse stata, in quel giudizio, omissione di pronuncia su alcune delle domande dell’opponente (omissione che peraltro avrebbe eventualmente potuto essere oggetto di impugnazione e non risulta che lo fu), ciò non potrebbe mutare l’estensione oggettiva del giudicato formatosi all’esito della relativa decisione.

3. Con il terzo motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: falsa applicazione degli artt. 1453 ss. e violazione del combinato disposto degli artt. 2932 c.c. e 1456 e/o 1457 c.c. sotto il profilo della mancata applicazione alla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 295/1997 della disciplina relativa alla risoluzione di diritto ai fini della risoluzione ipso iure ex artt. 1456 o 1457 c.c.”.

Secondo la ricorrente – anche ammesso che ai fini della valutazione dell’efficacia del contratto di vendita fosse necessario verificare la sussistenza dei presupposti per la sua risoluzione – il termine indicato nella sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. per il versamento del prezzo avrebbe dovuto considerarsi come termine essenziale o, comunque, il suo mancato tempestivo versamento avrebbe dovuto intendersi alla stregua di una clausola risolutiva espressa; di conseguenza, avrebbero dovuto comunque ritenersi sussistenti i presupposti per la risoluzione del contratto in danno dell’acquirente, ai sensi degli artt. 1456 e/o 1457 c.c..

Anche questo motivo è infondato.

Sono senz’altro da condividere le argomentazioni della corte territoriale in ordine all’impossibilità di ritenere sussistente, nell’ambito del rapporto contrattuale costituito mediante la sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., una clausola risolutiva espressa o un termine essenziale, ai sensi degli artt. 1456 e 1457 c.c., in mancanza di una corrispondente pattuizione derivante dalla espressa volontà negoziale delle parti e di una espressa indicazione in tal senso nella stessa sentenza. D’altra parte, siffatte argomentazioni risultano, ancora una volta, pienamente conformi con la ricostruzione sistematica della disciplina del rapporto contrattuale costituito per sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. di cui si è dato conto in precedenza, in particolare con riguardo alla riconosciuta necessità che l’eventuale tardivo versamento del prezzo, per determinare l’inefficacia del suddetto contratto, debba configurare un inadempimento con i connotati della gravità, ai sensi dell’art. 1455 c.c. (gravità dalla quale, dunque, non potrebbe prescindersi, come avviene nelle ipotesi delle clausole negoziali riconducibili alle ipotesi di cui agli artt. 1456 e 1457 c.c.).

In ogni caso risulta assorbente, in relazione al motivo di ricorso in esame, il seguente ulteriore rilievo, desumibile dalla complessiva ratio decidendi alla base della sentenza impugnata.

La corte di appello ha ritenuto giustificato il tardivo versamento del prezzo da parte dell’acquirente, in ragione dell’inadempimento della venditrice alle prestazioni da essa stessa dovute in base al contratto di vendita.

Ha in proposito osservato, infatti, che sul bene oggetto della vendita, che avrebbe dovuto essere trasferito libero da pesi ed oneri, sussistevano ed erano sopravvenute, anche dopo la sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., trascrizioni e/o iscrizioni pregiudizievoli (addirittura esso era stato oggetto di azioni esecutive), che la venditrice aveva omesso di far cancellare, in tal modo disattendendo un suo preciso obbligo contrattuale.

In sostanza i giudici di merito, dovendo valutare la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto per inadempimento invocata dalla stessa V., hanno (del tutto correttamente, secondo i principi di diritto affermati da questa Corte: cfr. ad es. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4529 del 28/03/2001, Rv. 545274 – 01; Sez. L, Sentenza n. 11430 del 16/05/2006, Rv. 589056 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 13627 del 30/05/2017, Rv. 644328 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 13827 del 22/05/2019, Rv. 654177 – 01) proceduto ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si fosse resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti, configurandosi come causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. In tale ottica hanno valutato l’inadempimento della parte venditrice come prevalente e, di conseguenza, legittimo l’iniziale rifiuto e, in definitiva, il ritardo della parte acquirente nell’adempiere alla propria obbligazione di pagare il prezzo, in base all’art. 1460 c.c..

Siffatta valutazione esclude in concreto ogni rilievo alla eventuale configurabilità del termine per il versamento del prezzo come termine essenziale o alla stregua di una clausola risolutiva espressa. Anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve infatti valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento colpevole; altrettanto è a dirsi con riguardo all’ipotesi di mancato rispetto di un termine essenziale ai sensi dell’art. 1457 c.c. (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21115 del 16/09/2013, Rv. 627837 01; Sez. 2, Sentenza n. 4058 del 11/10/1989, Rv. 463835 01; Sez. 3, Sentenza n. 4122 del 13/07/1982, Rv. 422098 01; Sez. 3, Sentenza n. 400 del 21/01/1982, Rv. 418101 01; Sez. 2, Sentenza n. 3542 del 05/08/1977, Rv. 387136 01; Sez. 1, Sentenza n. 1352 del 26/04/1969, Rv. 340070 01).

4. Con il quarto motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame di fatti relativi all’irritualità della seconda offerta reale del prezzo ed alla incongruità del prezzo offerto dal sig. D., ai fini dell’accertamento dell’avveramento della condizione prevista dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 295/1997”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Il fatto di cui la ricorrente deduce l’omesso esame sarebbe costituito dalla pretesa irregolarità dell’offerta reale integrativa posta in essere dal D., avente causa dell’acquirente dell’immobile oggetto della sentenza costitutiva del contratto di vendita ai sensi dell’art. 2932 c.c., dopo che l’originaria offerta reale operata dalla sua dante causa D.R. era stata ritenuta insufficiente.

Orbene, il “fatto storico” rilevante è stato certamente preso in esame dalla corte di appello, che ha espressamente ritenuto, per i motivi già ampiamente illustrati, che l’offerta del D. fosse valida e sufficiente ad integrare la condizione per la realizzazione dell’effetto traslativo della vendita.

Il motivo, per come formulato, si configura dunque di per sè inammissibile, secondo la ricostruzione dell’ambito operativo del paradigma dei vizi denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile alla fattispecie in ragione della data di pubblicazione della decisione impugnata (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01).

D’altra parte emerge con evidenza dagli atti che la congruità, sul piano meramente quantitativo, dell’offerta integrativa effettuata dal D. in relazione al prezzo complessivo indicato nella sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., non è stata affatto oggetto di una specifica contestazione (del resto tale congruità è positivamente verificabile in via aritmetica e, di fatto, non è affatto in discussione).

Nessun rilievo può poi attribuirsi alla eventuale contestazione, da parte della venditrice, della persistente congruità del prezzo indicato nella sentenza costitutiva della vendita, in ragione del tempo trascorso dalla sua pronuncia: nè sul piano del regolamento contrattuale, in ragione del giudicato in proposito intervenuto proprio in conseguenza della suddetta sentenza; nè sul piano dell’attuazione del rapporto, in ragione dell’accertamento operato dai giudici del merito con riguardo all’imputabilità alla parte venditrice dell’inadempimento che aveva giustificato il ritardo nell’adempimento della parte acquirente.

Con il motivo di ricorso in esame la V., in sostanza, finisce per ribadire gli argomenti già confutati in relazione ai precedenti motivi, sostenendo che l’offerta integrativa non avrebbe dovuto ritenersi possibile, in quanto il prezzo della vendita avrebbe dovuto essere integralmente versato nel termine fissato dalla sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. e, in mancanza, si era determinata l’inefficacia definitiva del contratto, che impediva un versamento tardivo.

Per questa parte, le censure in esame sono da ritenersi infondate anche per i motivi già indicati in relazione ai precedenti motivi di ricorso.

5. Con il quinto motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: (anche in relazione all’ulteriore violazione dell’art. 2909 c.c.), violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 ss. c.c. in tema di risoluzione per inadempimento, nonchè dell’art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento, e violazione del principio della rilevabilità per via d’eccezione della risoluzione per inadempimento della sentenza-contratto ex art. 2932 c.c., in applicazione analogica dell’art. 1442 c.c., comma 4 e art. 1449 c.c., comma 2, anche alla fattispecie di risoluzione ope iudicis. Violazione, altresì, dei principi dettati dalla giurisprudenza sulla specifiche conseguenze del rilievo dell’eccezione di risoluzione per inadempimento e del rifiuto di accettare l’adempimento tardivo”.

Il motivo è infondato.

Secondo la ricorrente, non sarebbero state adeguatamente valutate le proprie difese, con le quali era stata dedotta la risoluzione, per inadempimento della parte acquirente, del contratto di vendita costituito con sentenza.

In sostanza, vengono ancora una volta riproposti i medesimi argomenti posti alla base dei precedenti motivi (in particolare: la sussistenza del giudicato esterno; l’inefficacia del contratto di vendita, per mancato avveramento della condizione, per scadenza del termine essenziale, per l’operatività di una clausola risolutiva espressa e/o comunque per l’inadempimento del compratore).

Si tratta di censure che in buona parte non colgono adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata e/o risultano comunque assorbite in base a quanto già esposto in relazione ai precedenti motivi di ricorso.

La corte territoriale non ha affatto considerato improponibile o inammissibile l’eccezione di risoluzione del contratto, per inadempimento dell’acquirente, proposta dalla venditrice, ma come già ampiamente chiarito nell’esame dei precedenti motivi di ricorso – l’ha chiaramente giudicata infondata nel merito, avendo ritenuto, valutando il reciproco e complessivo comportamento delle parti, che proprio l’inadempimento della venditrice alle obbligazioni su di lei gravanti (in particolare, quella di liberare l’immobile dalle trascrizioni pregiudizievoli) avesse giustificato il ritardato adempimento dell’acquirente all’obbligo di offrire il prezzo, ai sensi dell’art. 1460 c.c..

Si tratta di un accertamento fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove che rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità laddove, come nella specie, risulti sostenuto da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico (cfr. in proposito: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13627 del 30/05/2017, Rv. 644328 – 01; in precedenza, nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 23908 del 09/11/2006, Rv. 592622 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20678 del 26/10/2005, Rv. 585521 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10477 del 01/06/2004, Rv. 573294 – 01).

A tale accertamento di fatto consegue, evidentemente e del tutto correttamente, in diritto, l’esclusione in radice della invocata risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente, con conseguente infondatezza dei contrari argomenti esposti dalla ricorrente.

6. Con il sesto motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dell’art. 324 c.p.c. (oltrechè dell’art. 2909 c.c.) per ultronea ed illegittima pronuncia su fatti dedotti e comunque deducibili: a) nel giudizio che si è concluso con la sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. azionata dal sig. D., passata in giudicato; b) nel giudizio che si è concluso con la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2770/2005, anch’essa passata in giudicato ed anch’essa contenente l’accertamento della inopponibilità dei fatti medesimi alla sig.ra V. al fine di giustificare il mancato esatto adempimento, da parte del sig. D., della prestazione dovuta in base alla sentenza ex art. 2932 c.c.”.

Anche questo motivo è infondato.

La corte di appello ha adeguatamente chiarito che, poichè le trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile oggetto della vendita erano, almeno in parte, sopravvenute nel corso della decorrenza del termine per il versamento del prezzo, non si trattava di fatti oggetto di possibile deduzione nel corso dell’originario giudizio all’esito del quale era stata emessa la sentenza costitutiva della vendita, ai sensi dell’art. 2932 c.c..

D’altra parte, anche con riguardo ai pesi anteriormente gravanti sull’immobile, l’eccezione di inadempimento non avrebbe potuto ritenersi preclusa. Risulta infatti che era stato contrattualmente previsto (nel preliminare) l’obbligo della venditrice di liberare il bene da pesi ed oneri onde trasferirlo libero: tale obbligo opera di regola anche nella fase successiva alla costituzione della vendita per sentenza.

Per quanto poi riguarda il primo giudizio di opposizione a precetto, è decisivo l’effettivo oggetto della decisione finale. Come già ampiamente chiarito (in relazione al primo motivo del ricorso), in quel giudizio non furono prese in considerazione le questioni attinenti alla eventuale risoluzione del contratto per inadempimento delle parti. La decisione ebbe ad oggetto esclusivamente l’insussistenza del diritto dell’acquirente di procedere ad esecuzione forzata per il mancato (attuale) avveramento della condizione sospensiva dell’effetto traslativo. Di conseguenza, non possono essere ritenute coperte da alcuna preclusione tutte le questioni relative alla valutazione del corretto adempimento delle parti alle reciproche obbligazioni e, quindi, anche quelle relative alla mancata cancellazione, da parte dell’acquirente, delle trascrizioni pregiudizievoli ancora sussistenti sull’immobile.

7. Con il settimo motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione degli artt. 2943 e 2945 c.c. in tema di interruzione della prescrizione”.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Non è adeguatamente colta la ratio decidendi della sentenza impugnata e, comunque, le questioni poste sono in sostanza assorbite dalle considerazioni sin qui operate in relazione alle precedenti censure.

Una volta esclusa, sotto ogni possibile aspetto, la sussistenza dei presupposti della risoluzione del contratto di vendita per inadempimento dell’acquirente e una volta chiarito che, al contrario, era proprio l’inadempimento della stessa venditrice alle obbligazioni su di lei gravanti che aveva giustificato il tardivo adempimento all’obbligo di offrire il prezzo dovuto, non può infatti assumere alcun concreto rilievo, ai fini della decisione finale, stabilire se fosse effettivamente prescritta o meno l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, avanzata dalla V. nel giudizio promosso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., trattandosi comunque di una domanda che è stata giudicata infondata nel merito.

8. Con l’ottavo motivo si denunzia “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. nella pronuncia di condanna al risarcimento dei danni a carico della sig.ra V., anche ove non caducata per effetto dell’accoglimento di uno dei motivi che precedono”.

Il motivo è infondato.

I giudici di merito hanno correttamente applicato i principi di diritto che regolano la liquidazione del danno da occupazione abusiva di immobile.

Essi hanno accertato, in fatto, che l’immobile era locato per un canone di Euro 1.600,00 mensili ed hanno liquidato a titolo risar-citorio un importo corrispondente, attualizzato, considerando cioè il pregiudizio subito dal D. pari ai canoni di locazione perduti, per il periodo in cui non aveva potuto pretenderne il pagamento dal conduttore.

In altri termini, la corte di appello – nonostante il richiamo all’indirizzo giurisprudenziale per il quale il danno da occupazione abusiva di immobile è in re ipsa e può essere liquidato in base al semplice valore locativo del bene – non ha poi di fatto operato la liquidazione del danno cd. figurativo sulla base di presunzioni legate ad una possibile teorica utilizzazione dell’immobile occupato, ma ha accertato l’esistenza di un danno in concreto, consistente nel mancato incasso dei canoni effettivamente dovuti dal conduttore, dal momento che l’immobile era oggetto di un rapporto di locazione in atto.

Le censure della ricorrente, esclusivamente dirette a contestare in diritto l’indirizzo giurisprudenziale richiamato dalla corte territoriale, indirizzo che poi non è stato applicato in concreto, non colgono dunque adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Ed è appena il caso di osservare che in realtà, nella specie, la questione di diritto oggetto del motivo di ricorso non ha concreto rilievo: anche in base all’indirizzo più rigoroso, che nega la possibilità di ritenere sussistente un danno in re ipsa (possibilità peraltro in qualche modo affermata, ad es., da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20823 del 15/10/2015, Rv. 636674 01; Sez. 3, Sentenza n. 16670 del 09/08/2016, Rv. 641485 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 31353 del 04/12/2018, Rv. 651796 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 20545 del 06/08/2018, Rv. 649998 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21239 del 28/08/2018, Rv. 650352 – 01), in caso di occupazione abusiva di un immobile resta infatti sempre possibile l’uso delle presunzioni semplici per liquidare il pregiudizio subito dal proprietario (o in generale dall’avente diritto), purchè sia quanto meno allegata l’intenzione concreta di questi di metterlo a frutto (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 25/05/2018, Rv. 648709 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11203 del 24/04/2019, Rv. 653590 – 01).

Di conseguenza, laddove l’immobile risulti in concreto già “messo a frutto”, in quanto oggetto di una locazione in atto, è certamente possibile la liquidazione del danno, quanto meno sulla base dell’importo dei canoni che l’avente diritto non ha potuto incassare.

9. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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