Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29354 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 28/12/2011), n.29354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.E.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato

BORGONOVO Antonio per procura speciale in calce al ricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Confalonieri n. 5,

presso lo studio dell’Avvocato Andrea Manzi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI MONZA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

e contro

S.C.; PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL

TRIBUNALE DI MONZA;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Monza depositata in data 8

ottobre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato Carlo Albini per delega;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Avvocato N.E.A. ha chiesto al Tribunale di Monza la liquidazione dei compensi per l’attività prestata quale difensore di S.C., imputata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Il Tribunale di Monza, con provvedimento depositato in data 8 gennaio 2008, ha liquidato la somma di Euro 900,00 oltre accessori (spese generali al 12,50%, IVA e CPA).

Avverso detto provvedimento l’Avvocato N. ha proposto opposizione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 (T.U. disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).

Il Tribunale di Monza, con ordinanza depositata in data 8 ottobre 2008, comunicata il 4 novembre 2008, ha rigettato l’opposizione.

Per la cassazione di detta ordinanza l’Avvocato N. ha proposto ricorso, con atto non notificato ad alcuno.

All’esito dell’udienza del 10 giugno 2010, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 16340 del 2010, preso atto del mutato orientamento, per effetto della pronuncia delle Sezioni Unite Corte n. 19161 del 2009, della giurisprudenza in tema di individuazione del giudice – se civile o penale – e conseguentemente del rito in base al quale devono essere trattati i procedimenti relativi alla liquidazione delle spese di giustizia, ha assegnato alla parte ricorrente: a) il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile; b) il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte.

Il ricorrente ha quindi proposto ricorso nelle forme del rito civile, affidato a due motivi e notificato a S.C., all’Agenzia delle entrate di Monza e alla Procura della Repubblica preso il Tribunale di Monza.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata.

Deve preliminarmente essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, che non è stata, nè avrebbe dovuto essere parte del giudizio di opposizione, secondo quanto affermato da Cass. pen. n. 39501 del 2006: “in tema di gratuito patrocinio, il procedimento di liquidazione dell’onorario a favore del difensore della persona ammessa al beneficio non prevede la partecipazione dell’Ufficio finanziario”.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 109, dolendosi del fatto che il Presidente del Tribunale aveva provveduto a liquidare i compensi dovuti per le sole attività svolte a partire dal 19 marzo 2007, giorno dell’ammissione dell’imputata al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Chiede quindi che la Corte annulli l’ordinanza impugnata in quanto il Presidente del Tribunale avrebbe dovuto riconoscere e liquidare ad esso ricorrente tutte le attività svolte dalla data di presentazione della domanda di ammissione al gratuito patrocinio.

Con il secondo motivo, l’Avvocato N. denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, dolendosi del fatto che il Tribunale abbia affermato che non potevano essere retribuite sessioni con il cliente e terze persone oltre alla prima, nel corso della quale possono essere esaminati gli atti di causa e presi gli accordi circa il comportamento da tenere, e ciò in quanto, gravando le spese del patrocinio dei non abbienti sul contribuente, la difesa dell’imputato deve essere limitata al minimo doveroso e indispensabile per l’esercizio di tale diritto. Il ricorrente chiede quindi che la Corte di cassazione annulli l’impugnata ordinanza affinchè sia riconosciuto ad esso ricorrente, come previsto dal Tariffario, un compenso per ogni informativa anche telefonica o telematica, un compenso per ogni sessione in studio o in via telefonica o telematica con il cliente od un suo incaricato, un compenso per ogni sessione in studio o in via telematica collegialmente con colleghi, consulenti, investigatori privati o fuori studio con gli stessi, con il cliente o con magistrati.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, avendo il Presidente del Tribunale affermato che “le tariffe vigenti in materia penale …

prevedono per il giudizio innanzi al Tribunale in composizione monocratica, nel massimo Euro 12,00 per informative, Euro 48,00 per sessioni, Euro 97,00 per colloqui con colleghi, Euro 45,00 per lo studio della controversia, Euro 45,00 per la partecipazione a ciascuna udienza, Euro 255,00 per liste testi e richiesta notifica, Euro 355,00 per la discussione orale, Euro 450,00 per l’impugnazione”, in tal modo manifestando una inadeguata conoscenza del tariffario penale, omettendo altresì di liquidare voci che erano dovute.

Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, nonchè vizio di omessa e insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, avendo il giudice dell’opposizione determinato in modo del tutto immotivato il massimo liquidatile per l’attività difensiva svolta dal marzo al novembre 2007, e poi operando la riduzione del 50% di detto importo, male interpretando la portata del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, il quale dispone che la liquidazione non può superare il valore tariffario medio, e cioè la media tra il minimo e il massimo previsti dalla tariffa, e non già tra il valore massimo e zero.

Il ricorso è inammissibile.

Invero, posto che il provvedimento impugnato è stato depositato il 8 ottobre 2008, trova piena applicazione il disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., recante una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione;

Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che “il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata” (Cass., n. 11535 del 2008).

In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: “a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Cass. n. 19769 del 2008) e “non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità” (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali – come nella specie – si denuncia vizio di motivazione, che “l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603 del 2007).

Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi “con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto” (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).

Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).

Nella specie, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto tutti i motivi, con i quali si denunciano violazioni di legge, non si concludono con la formulazione di un quesito di diritto, tali non potendosi ritenere le proposizioni conclusive al termine della esposizione dei motivi, che non rispondono ai requisiti enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte e prima richiamati.

Ed ancora, il quarto motivo, con il quale vengono denunciati contestualmente violazione di legge e vizi di motivazione non si conclude con la distinta formulazione del quesito di diritto e con la chiara indicazione del fatto controverso e con il momento di sintesi, nei sensi sopra indicati.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, nella misura liquidata in dispositivo, mentre non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio nei confronti degli altri intimati, non avendo questi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate di Monza, che liquida in complessivi Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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