Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29352 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. I, 14/11/2018, (ud. 18/06/2018, dep. 14/11/2018), n.29352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29545/2014 proposto da:

D.P.E., D.P., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Massimi n. 95/a, presso lo studio dell’avv. Cardelli

Alessandro, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Sella S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via del Moro n. 58, presso lo

studio dell’avv. Bruno Riccardo, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Leoni Lucio, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6315/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/06/2018 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.E.P. e D.P. chiesero di condannare la convenuta Banca Sella al risarcimento del danno per la mancata vendita di 56000 azioni (OMISSIS), cui si riferiva l’ordine di vendita impartito su canale telematico alle ore 8,15 del 12 novembre 2003, con “stop order” di Euro 2,29 per azione, ineseguito dalla banca, a loro avviso colpevolmente; chiesero di quantificare il danno nella differenza negativa tra il suddetto prezzo di vendita e quello ottenuto a seguito di un nuovo ordine conferito ed eseguito il 17 dicembre 2003 alla quotazione della giornata (Euro 0,90).

Il Tribunale di Roma accolse la domanda e condannò la convenuta a pagare Euro 78409,00 a titolo risarcitorio.

Il gravame della Banca Sella è stato parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza del 25 novembre 2013, la quale, pur riconoscendo la responsabilità contrattuale della banca per l’inesecuzione dell’ordine del 12 novembre, ha ravvisato un concorso di colpa dei D., a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1, per il loro comportamento successivo, non improntato all’ordinaria diligenza, essendosi attivati tardivamente, solo il 17 dicembre, per limitare il danno al loro patrimonio. Ad avviso della Corte, essi erano stati tempestivamente informati dell’inesecuzione dell’ordine con messaggio email alle ore 9,15 del 12 novembre; non rilevava lo smarrimento o il furto dell’agenda dove erano scritti i codici di accesso al sistema telematico, subito dai D. il 12 novembre, nè l’assenza dall’Italia di uno di essi, trattandosi di eventi non imputabili alla banca, poichè essi avrebbero potuto utilizzare per la vendita anche modalità diverse da quella telematica. La Corte ha determinato il danno risarcibile in misura corrispondente alla differenza, attualizzata al momento della decisione, tra il prezzo (Euro 2,29) che i D. avrebbero ottenuto se l’ordine fosse stato tempestivamente eseguito il 12 novembre (quando le azioni raggiunsero la quotazione indicata nello “stop order” delle ore 8,15) e il prezzo (Euro 2,18) che avrebbero ottenuto se avessero ordinato la vendita quantomeno il 17 novembre, quando D.E.P. era certamente informato dell’accaduto, avendo telefonato due volte a un operatore della banca per chiedere nuovi codici di accesso al sistema (attivati solo il 17 dicembre).

Avverso questa sentenza i D. hanno proposto ricorso per cassazione, cui si è opposta la Banca Sella con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1227c.c., comma 1, i ricorrenti contestano la configurabilità di un concorso di colpa nel loro comportamento, erroneamente considerato inerte e non improntato a diligenza, essendosi invece comportati correttamente, avendo disposto la vendita dei titoli a qualsiasi prezzo (il 17 dicembre) e realizzato una somma considerevole, in tal modo evitando un danno maggiore per il successivo azzeramento del valore del titolo. Essi affermano che avevano diritto di vendere le azioni al prezzo di Euro 2,29 fissato nell’ordine ineseguito del 12 novembre, non a un prezzo diverso nè a quello inferiore (Euro 2,180) raggiunto dai titoli il 17 novembre, sia perchè non era prevedibile il successivo deprezzamento del titolo, essendo il mercato soggetto ad oscillazioni e non essendo prudente la vendita immediata dei titoli, sia perchè era mancata un’offerta compensativa della banca alle stesse condizioni del 12 novembre.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha riconosciuto la responsabilità contrattuale della Banca Sella per avere inadempiuto all’ordine di vendita delle azioni impartito dai D. per via telematica il 12 novembre 2003, al prezzo indicato (di Euro 2,29 per azione) e raggiunto dalle azioni il medesimo giorno, a causa di “un’anomalia tecnica interna” al sistema, non attivatosi regolarmente. Il danno contrattuale corrispondeva quindi, in teoria, alla perdita del corrispettivo della vendita delle azioni al prezzo indicato, non più raggiunto nel periodo di validità dell’ordine. Ciò in teoria, poichè la Corte di merito ha applicato il principio, di cui l’art. 1227 c.c., costituisce espressione, che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso, sulla base dell’assunto che i D., se avessero venduto il 17 novembre, avrebbero spuntato un prezzo (Euro 2,18) di poco inferiore a quello (Euro 2,29) indicato nell’ordine del 12 novembre, ma comunque superiore a quello (Euro 0,90) di vendita effettiva del 17 dicembre. In tal modo, essi avrebbero limitato il danno in una misura che, altrimenti, sarebbe causalmente riconducibile non alla condotta illecita della banca ma al loro stesso comportamento, ritenuto contrario all’ordinaria diligenza, in base alla regola del concorso di colpa nella genesi del danno, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1.

Tuttavia, questo ragionamento non è conforme ad una corretta interpretazione della suddetta norma, poichè finisce per collegare direttamente – e impropriamente (v. Cass. n. 1295/2007) – il danno patito dai danneggiati con la loro condotta, con l’effetto di pretermettere, nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, l’evento dannoso determinato dall’accertato inadempimento della banca all’obbligo di vendere le azioni al prezzo del 12 novembre.

In realtà, perchè possa darsi luogo alla diminuzione del risarcimento del danno da illecito civile per concorso del creditore nella produzione del danno stesso (art. 1227 c.c., comma 1), è necessario che il creditore medesimo sia tenuto, per legge o per contratto o per dovere di correttezza, ad adottare un determinato comportamento, inerente all’esecuzione del rapporto obbligatorio e idoneo a ridurre, o escludere, gli effetti pregiudizievoli dell’inadempimento (Cass. n. 420/1981).

Per giudicare colpevole il comportamento dei D., si dovrebbero ritenere che essi fossero obbligati a vendere le azioni il giorno 17 novembre, ad un prezzo inferiore a quello programmato, ma la Corte di merito sorvola sulla fonte di una simile obbligazione che, in realtà, non esiste e neppure può ricavarsi dal generico dovere di correttezza che grava sul creditore. Ed infatti, come puntualmente obiettato dai ricorrenti, potrebbe al contrario ritenersi conforme a diligenza un comportamento attendista nella vendita, piuttosto che affrettato, che faccia leva sull’aspettativa di rialzo della quotazione delle azioni. Ed infatti, se, come affermato anche nella sentenza impugnata, i titoli erano soggetti ad oscillazioni, significa che la quotazione poteva scendere ma anche salire, fermo restando che del successivo imprevedibile deprezzamento o azzeramento del loro valore non potrebbero essere chiamati a rispondere, a titolo di concorso, le vittime dell’illecito, le quali, con un atto incoercibile di autonomia privata, hanno venduto le azioni il 17 dicembre, in tal modo comunque riducendo l’entità del danno.

A una diversa conclusione si dovrebbe pervenire qualora i danneggiati avessero rifiutato di vendere i titoli se questi avessero raggiunto successivamente il prezzo desiderato (Euro 2,29), nel qual caso, però indimostrato in concreto, si sarebbe dovuto riconoscere il loro concorso nella produzione del danno.

In conclusione, è vero che la responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui (principio applicabile anche per stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1). E tuttavia, non può ritenersi corresponsabile del danno colui che, senza violare alcuna regola di comune prudenza, correttezza o diligenza, non si sia attivato per rimuovere tempestivamente una situazione di pericolo determinata dall’illecito di un terzo (Cass. S.U. n. 24406/2011, n. 24320/2008).

Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che dovrà fare applicazione di quanto statuito e provvedere sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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