Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29351 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. I, 14/11/2018, (ud. 18/06/2018, dep. 14/11/2018), n.29351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29281/2014 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Varone n. 9,

presso lo studio dell’avv. Cinquemani Silvia Maria, rappresentato e

difeso dall’avv. Molinari Annarosa, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via di San Valentino n. 21,

presso lo studio dell’avv. Carbonetti Fabrizio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avv. Carbonetti Francesco, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 130/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 16/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/06/2018 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Trento, con sentenza del 27 novembre 2006, condannò la Unicredit a restituire a M.L. l’importo corrisposto per investimenti, finanziari, ritenuti nulli, comprensivo delle commissioni di intermediazione applicate dalla banca.

La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 5 agosto 2009, in accoglimento del gravame della banca, ha rigettato le domande del M., ad eccezione di quella relativa alle commissioni di intermediazione, ritenute non dovute dal M..

La predetta sentenza è stata cassata dalla Corte di legittimità, con sentenza n. 10180 del 20 giugno 2012, che ha incaricato il giudice di rinvio di esaminare la domanda del M. di risarcimento del danno per inadempimento della banca agli obblighi informativi circa i rischi connessi all’investimento; ha accolto il motivo riguardante la restituzione anche delle commissioni di cancellazione, in aggiunta alle commissioni di intermediazione già riconosciute non dovute alla banca.

In sede di rinvio, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 16 aprile 2014, ha rigettato il gravame di Unicredit avverso la sentenza del tribunale; all’esito dell’istruttoria compiuta con l’espletamento di una c.t.u., ha ritenuto non distinguibili le commissioni di cancellazione da quelle di intermediazione ed ha rigettato la relativa domanda perchè non provata; pur avendo il M., vittorioso in primo grado, diritto di vedersi corrispondere quanto indebitamente restituito in esecuzione della cassata sentenza d’appello del 2009, ha ritenuto che nessuna restituzione poteva essere disposta in suo favore, non essendovi prova di somme corrisposte dal M. in esecuzione della predetta sentenza.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria; l’Unicredit si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e violazione dell’art. 389 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che nessuna restituzione poteva essere disposta in suo favore, mancando la prova che egli avesse dato esecuzione alla sentenza d’appello del 2009 (che, riformando la sentenza del Tribunale, aveva ritenuto che nulla fosse dovuto dalla banca), omettendo però di considerare documenti attestanti l’avvenuto versamento alla banca, da parte dell’Inps, di somme trattenute sulle rate della pensione del ricorrente pignorate dalla banca.

Il motivo è inammissibile. Esso, da un lato, si risolve nella censura di un apprezzamento di fatto operato dai giudici di merito circa la mancanza di prova della indebita restituzione alla banca delle somme riconosciute al M. dal Tribunale e infine dalla Corte d’appello in sede di rinvio e, in definitiva, nella richiesta di una rivalutazione degli elementi probatori del processo, al di là di quanto consentito dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. n. 8053/2014); dall’altro, il motivo non censura efficacemente l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale le somme pignorate presso l’Inps “non sono state messe nella disponibilità della banca”. Ed infatti non è decisiva la dimostrazione dell’esistenza di una trattenuta operata dall’Inps sulla pensione, essendo necessaria la prova del corrispondente versamento alla banca contro la quale è diretta la domanda di condanna proposta dal M.. L’Unicredit ha fondatamente eccepito che i documenti indicati erano stati prodotti tardivamente in appello, ossia soltanto con la seconda memoria conclusionale e di replica, sicchè la Corte d’appello non avrebbe potuto esaminarli, e il ricorrente non ha spiegato, neppure nella memoria ex art. 378 c.p.c., perchè non li aveva prodotti prima. Neppure è dimostrata (ed anzi è esclusa) la decisività di tali documenti, rappresentati da email dell’Inps che attesterebbero versamenti alla banca sin dal mese di dicembre 2010, cioè da una data processualmente compatibile con l’assolvimento dell’onere probatorio del M., tenuto conto che la causa è stata trattenuta in decisione dalla Corte a giugno 2013. Infine, il riferimento al sopraggiungere di una sentenza del tribunale sull’opposizione all’esecuzione, che la Corte d’appello ha comunque esaminato, non rileva per stabilire se e quale somma fosse stata versata in precedenza dall’Inps alla banca.

Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ritenuto non provata l’esistenza di commissioni ulteriori trattenute dalla banca, oltre a quelle di intermediazione.

Il motivo è inammissibile. E’ perplesso quanto all’individuazione delle commissioni corrisposte, cui si riferisce la domanda restitutoria, e quindi non rispettoso del canone di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, per la formulazione della censura; inoltre, è diretto a sovvertire un apprezzamento di fatto, qual è quello operato dalla Corte di merito, che ha ritenuto non provato l’assunto che il M. abbia sopportato il costo di commissioni ulteriori rispetto a quelle, denominate di intermediazione, già riconosciute dal tribunale.

Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi. Raddoppio del contributo a carico del ricorrente come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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