Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29350 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. III, 13/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 13/11/2019), n.29350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5236/2018 proposto da:

L.F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO, 22, presso lo studio dell’avvocato MARCO LORENZANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI DELLA COLLETTA;

– ricorrente –

contro

SGM SRL, in persona dell’amministratore, elettivamente domiciliata in

ROMA, P.ZZA MONTELEONE DI SPOLETO, 36, presso lo studio

dell’avvocato EMILIANO CELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO GHEZZE;

– controricorrente –

e contro

D.R.B.R., D.R.F. SAS DI D.R. ING

G. & C;

– intimati –

nonchè da:

L.F.R., D.R.B.R., D.R.F. SAS

DI D.R. ING G. & C in persona de legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRISTOFORO

COLOMBO 436, presso lo studio dell’avvocato RENATO CARUSO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANNA MARIA MEOTTI;

– ricorrenti incidentali –

contro

SGM SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 27 giugno 2000 la società S.G.M. s.r.l. di F. e G.F. deduceva di avere realizzato nell’anno 1994 un fabbricato ad uso artigianale evocando in giudizio davanti al Tribunale di Belluno l’impresa D.R.F. s.a.s. esecutrice dell’opera, il perito edile D.R.B.R., in qualità di progettista e direttore dei lavori e l’ingegnere L.R., quale autore del progetto per le strutture in cemento armato, lamentando che il fabbricato era stato interessato, nel luglio 1999, da fessurazioni con segni di cedimento del pavimento e richiedendo il risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti contestando la responsabilità;

il Tribunale di Belluno, sezione distaccata di Pieve di Cadore, istruita la causa con accertamento tecnico preventivo e successiva consulenza tecnica e relativi chiarimenti, affermava, con sentenza del 16 luglio 2013, la concorrente responsabilità delle parti convenute condannandole in solido al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 890.000. Il primo giudice rilevava la responsabilità dei convenuti ai sensi dell’art. 1669 c.c., in quanto la costituzione sarebbe stata eseguita senza le indagini geologiche e geotecniche necessarie per definire le caratteristiche del sottosuolo nonostante la presenza, nell’area, di materiale di riporto e l’esistenza di vuoti e di materiale anomalo;

avverso tale decisione proponeva appello L.R. ritenendo errata l’applicazione, al caso di specie, delle prescrizioni oggetto del decreto ministeriale 11 marzo 1988, punto H, relativo all’obbligo di studi geologici e geotecnici;

nel merito il giudizio del Tribunale sarebbe stato frutto di una superficiale ricostruzione dei fatti e la presenza di vuoti in profondità costituirebbe un’anomalia sopravvenuta. In ogni caso la responsabilità dell’appellante doveva ritenersi accessoria rispetto a quella del progettista D.R.B.. Si costituivano gli appellati e il progettista spiegava appello incidentale deducendo di non dover rispondere per colpe eventualmente ascrivibili all’appaltatore e al progettista strutturale;

l’impresa F.d.R. proponeva autonomo appello, deducendo l’errata applicazione del citato decreto ministeriale e l’assenza, in fatto, di anomalie del sottosuolo;

disposta la riunione dei procedimenti, la causa è stata decisa dalla Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 3 gennaio 2017 in parziale accoglimento, rideterminando il danno complessivo spettante a S.G.M. s.r.l. nella somma di Euro 918.410, oltre accessori, con condanna delle altre parti al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione L.R. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso S.G.M. s.r.l; D.R.F. s.a.s. deposita controricorso e ricorso incidentale adesivo, affidandosi ad un motivo. Le altre parti intimate non svolgono attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione del D.M. 11 marzo 1988, lettera H.1, H.2, H.3 e lettera A2 e C3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e la violazione l’art. 115 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe operato una errata ricostruzione della quaestio facti e conseguente erronea sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta. L’esecuzione del capannone in oggetto non interessava opere del piano urbanistico, per cui non avrebbero dovuto trovare applicazione le norme del punto H, ma quelle del punto C. Il giudice avrebbe confuso la fase di progettazione del piano urbanistico, di iniziativa pubblica, con l’intervento edilizio privato. Pertanto nel caso di modesti manufatti che ricadono in zone già note, le indagini sui terreni di fondazione avrebbero potuto essere ridotte oppure omesse sempre che fosse possibile conoscere le caratteristiche dei terreni sulla base di notizie raccolte mediante indagini precedenti. Pertanto il consulente D.P. avrebbe rilevato che, tenuto conto della semplicità della struttura, una relazione geotecnica non avrebbe aggiunto nulla di rilevante rispetto a quanto già noto. Il successivo consulente, l’ingegnere T., erroneamente avrebbe fatto riferimento agli insediamenti di cui al punto H) segnalando che le verifiche di fattibilità del punto H3 avrebbero dovuto essere integrate dalle indagini geologiche e geotecniche. Conclusioni fatte proprie dal Tribunale e ribadite dalla Corte d’Appello. Al contrario, tali disposizioni non sarebbero applicabili perchè riferite ai piani esecutivi e, comunque, il punto H3 si riferisce alla fattibilità nell’insieme, non alle singole opere da progettare. In secondo luogo, la sentenza afferma che quelle indagini avrebbero dovuto essere suggerite dal contenuto della perizia C., quanto meno per verificare se le opere rientravano nelle zone dove erano presenti scarpate e impianti. Tale presupposto giuridico sarebbe errato perchè la costruzione in esame rientrava nel concetto di “modesta costruzione” (avendo una estensione di 30 x 20 m, su due piani) e non in zona sismica e non presentava difficoltà costruttive, tanto da essere stata affidata ad un geometra. Quanto alla consulenza C., il richiamo contenuto non riguarderebbe l’area in oggetto, perchè la scarpata interessava il limite orientale e quello settentrionale dell’area. Si tratterebbe di zone distanti da quelle in oggetto in quanto la scarpata nei pressi del capannone non può essere una di quelle indicate dalla geologo C.. In ogni caso la Corte territoriale avrebbe violato l’orientamento della giurisprudenza che attribuisce la qualifica di “modesto fabbricato”, sulla base delle misure della cubatura;

il motivo è inammissibile. Sotto l’apparente deduzione di una violazione di norma tecnica parte ricorrente sollecita la Corte di Cassazione ad un esame esclusivamente fattuale relativo alle caratteristiche del fabbricato, al suo posizionamento e alle modalità di costruzione del manufatto al fine di verificare se la disciplina richiamata dalla Corte d’Appello è riferibile allo stabile in oggetto, e se lo stesso possa farsi rientrare nel concetto di edificio di “modesta costruzione”. Sotto tale profilo il motivo è dedotto in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè non è dato conoscere le caratteristiche dell’immobile e i soggetti incaricati di curarne la esecuzione. Analoghe considerazioni riguardano la circostanza se lo stesso rientrasse o meno nella area segnalata nella consulenza della geologo C. dell’anno 1985. Anche sotto tale profilo il ricorso difetta della allegazione necessaria per esprimere una qualsiasi valutazione al riguardo. In ogni caso le considerazioni espresse dalla Corte nell’escludere che la costruzione potesse rientrare tra quelle di modesto rilievo costituisce una valutazione fattuale, non sindacabile in sede di legittimità. La non sindacabilità di tali profili rende non decisivo il riferimento alle diverse ipotesi enucleate dal citato decreto ministeriale del 1 marzo 1988 riguardo alle verifiche di fattibilità non potendosi affermare, in virtù di quanto detto in premessa, se fosse possibile fare affidamento sulle notizie e sugli accertamenti già espletati in precedenza o se, al contrario, quella indagine geologica avesse evidenziato proprio dei profili di pericolosità che avrebbero imposto, come ritenuto alla Corte territoriale, particolari cautele per vagliare la fattibilità, dal punto di vista geologico e geotecnico dell’immobile;

con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto storico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte avrebbe omesso di considerare il parere espresso dal consulente tecnico di ufficio ingegnere D.P., secondo cui l’espletamento di una perizia geologica avrebbe aggiunto poco rispetto alla relazione di calcolo già allegata al progetto. In secondo luogo avrebbe negato erroneamente la applicabilità del punto C3 al caso in esame. In terzo luogo non avrebbe preso visione materiale della perizia dell’Ing. C. perchè in tal caso si sarebbe avveduto che la posizione dell’edificio non era tra le zone critiche caratterizzate da scarpate, terreno utilizzato a deposito e terreno recentemente modificato. Nello stesso modo la Corte non avrebbe adeguatamente esaminato la perizia della geologo Fe. depositata dall’Ing. L. che era stata oggetto di discussione tra le parti in sede di comparsa conclusionale davanti al Tribunale e richiamata in appello;

il motivo è inammissibile poichè le circostanze prospettate esulano dal disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che riguarda esclusivamente l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo. Nel caso di specie, invece, le censure si atteggiano quale insufficiente esame o perplessa motivazione relativa alle risultanze degli accertamenti tecnici espletati dal Tribunale e dalle parti. Ciò senza considerare che, con riferimento alla perizia della geologo Fe., la questione è dedotta in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè parte ricorrente omette di individuare la fase processuale nella quale l’atto sarebbe stato tempestivamente prodotto e sottoposto all’esame dei giudici di merito. Quanto agli altri elaborati il motivo si traduce in una critica alla scelta della Corte d’Appello di valorizzare le risultanze della consulenza di ufficio rispetto a quella di parte. Sotto tale profilo la censura è inammissibile, consistendo in un dissenso scientifico sul contenuto di elaborati tecnici e non attinge un vizio del processo logico seguito alla Corte territoriale (Cass. 20 giugno 2017 n. 15201);

con il terzo motivo si lamenta la motivazione illogica, incoerente, perplessa e insufficiente, con conseguente nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 132 c.p.c., n. 4. Erroneamente il giudice di merito ritiene che il ritrovamento, avvenuto 11 anni dopo il cedimento, di un lastrone di calcestruzzo posto ad una profondità di circa 1 m, dopo l’esecuzione di perizie, scavi e trivellazioni, rappresenti prova sufficiente per affermare che al momento della costruzione sarebbe stato opportuno procedere ad un nuovo studio geologico e geotecnico;

il motivo è inammissibile poichè attinge una argomentazione della Corte territoriale non decisiva che il giudice di appello adotta quale ulteriore elemento a riscontro di quanto già precedentemente argomentato. Si tratta di elementi fattuali già evidenziati dal Tribunale il quale aveva rilevato che già a circa 20 cm di profondità era stato reperito del materiale di risulta e alcune zone vuote nel sottosuolo e tali elementi erano stati anche segnalati nella consulenza del dottor Fe. riguardo alla presenza di materiali di riporto e terreno poco addensato al di sotto del piano di calpestio;

con il ricorso incidentale adesivo la s.a.s. F.D.R. di D.R. Ing. G. & C. lamenta la violazione del decreto ministeriale 11 marzo 1988, con riferimento alle medesime lettere oggetto delle precedenti censure e violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Il giudice di appello avrebbe erroneamente considerato applicabile alla fattispecie concreta la disposizione oggetto del punto H del predetto decreto ministeriale che, al contrario, non sarebbe riferibile al caso in esame per le ragioni già espresse nel ricorso principale;

il ricorso è inammissibile in quanto tardivo. La decisione impugnata è del 3 gennaio 2017, notificata al ricorrente in data 1 febbraio 2018 ed il ricorso principale è stato notificato il 2 febbraio 2018, mentre quello incidentale adesivo è stato notificato il 14 marzo 2018, oltre il termine lungo di un anno previsto all’art. 327 c.p.c.. Alla fattispecie in esame si applica tale ultima disposizione e non l’art. 334 c.p.c., in tema di ricorso incidentale tardivo. Trova infatti ingresso il principio secondo cui “qualora un atto, anche se denominato controricorso, non contesti il ricorso principale ma aderisca ad esso, deve qualificarsi come ricorso incidentale di tipo adesivo, con conseguente inapplicabilità dell’art. 334 c.p.c., in tema di impugnazione incidentale tardiva; ciò non esclude che, nell’ipotesi di non contestazione del ricorso principale, quello incidentale possa contenere la richiesta di cassazione della sentenza impugnata per ragioni diverse da quelle fatte valere dal ricorrente in via principale, bastando in tal caso che il medesimo abbia rispettato per la sua proposizione il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1” (Cass. Sez. 1 n. 24155 del 13/10/2017);

ne consegue che il ricorso principale e quello incidentale devono essere dichiarati inammissibili; le spese del presente giudizio di cassazione vanno integralmente compensate nei rapporti tra tali soggetti, mentre entrambi vanno condannati al pagamento delle spese sostenute da S.G.M. s.r.l., liquidate nella misura indicata in dispositivo. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nei confronti del ricorrente principale e incidentale.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale adesivo; compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente principale e quelli incidentali e condanna entrambi, in solido, al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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