Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29347 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 23/12/2020), n.29347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27854/2013 R.G. proposto da:

Binvest s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta mandato a margine del ricorso,

dall’Avv. Giancarlo Contento, elettivamente domiciliato presso il

suo studio, in Roma, Via Ildebrando Goiran, n. 23;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 136/52/2013, depositata il 22 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla Binvest s.p.a., società di costruzioni, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso presentato dalla contribuente contro l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2005, ai fini Iva, Ires ed Irap, per varie irregolarità contabili riscontrare. In particolare, l’Agenzia delle entrate, tra l’altro, effettuava una rettifica sulle rimanenze iniziali dell’anno 2005, riducendole di Euro 351.255,43 (da Euro 700.00,00 ad Euro 348.745), mentre la contribuente rilevava che, per il principio della continuità dei valori di bilancio, poichè le rimanenze iniziali del 2005 erano le medesime indicate nel bilancio del 2004, quindi al 31-12-2004, non era possibile procedere a tale rettifica. La contribuente contestava anche il recupero a tassazione di presunti ricavi non contabilizzati. Il giudice di appello evidenziava che la società non aveva esibito per l’anno 2005 il libro giornale mancante dall’1-1-2005 al 31-12-2005 per mancata tenuta dello stesso, oltre alla mancata allegazione e compilazione del modello degli studi di settore, con possibilità, quindi, per l’Agenzia delle entrate di utilizzare il metodo induttivo puro di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3, comma 2, lett. c), anche avvalendosi di presunzioni supersemplici. Inoltre, nella nota integrativa al bilancio del 2005 non erano esplicitati i criteri per la valutazione delle rimanenze; era valida la rettifica effettuate per l’accertamento delle plusvalenze relative agli immobili di (OMISSIS), erano corretti i recuperi a tassazione per i costi non inerenti relativi alle auto Porche Cayenne e Porche 911 a disposizione dell’amministratore, come pure era motivata la ripresa a tassazione dei costi indeducibili.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente deduce: “violazione e falsa applicazione di legge-violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, n. 7, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, n. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma n. 3, per la non rettificabilità delle rimanenze iniziali di immobili 2005, dovendo coincidere anche per evitare la duplice tassazione, il loro valore con le già tassate rimanenze finali di immobili 2004, per il loro incremento rispetto alle rimanenze iniziali 2004”, in quanto il giudice di appello ha violato il principio inderogabile della continuità dei valori di bilancio con riferimento alle rimanenze, perchè le rimanenze finali di un esercizio rappresentano le rimanenze iniziali del successivo esercizio, e ciò vale anche in caso di rettifica del loro valore da parte dell’Ufficio; per evitare la duplice tassazione, infatti, qualora siano rettificate le rimanenze finali di un esercizio, il medesimo valore accertato deve essere riconosciuto per le rimanenze iniziali dell’esercizio successivo. Nella specie, invece, l’Agenzia delle entrate ha rettificato in diminuzione le rimanenze iniziali di immobili esposte nel bilancio 2005 per Euro 700.000,00, riducendole ad Euro 348.745,00, con il recupero a tassazione di presunti costi non documentati sostenuti nel 2004. Tuttavia, in tal modo per il 2004 le rimanenze finali di Euro 700.000,00 erano state già sottoposte a tassazione per il loro incremento rispetto alle rimanenze iniziali del 2004 di Euro 137.685,00, con la duplice tassazione dell’importo di Euro 351.255,00 recuperato a tassazione nel 2005, quali minori rimanenze iniziali determinate con l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di legge-violazione delle combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, n. 3, e art. 92, n. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la non rettificabilità delle rimanenze iniziali di immobili 2005, attesa la legittimità della loro stima al valore corrente – normale di mercato indicato nella nota integrativa al bilancio 2005”, in quanto il giudice di appello ha rilevato erroneamente l’omessa indicazione del criterio di stima delle rimanenze nella nota integrativa al bilancio 2005, mentre si legge in tale nota che le rimanenze sono state stimate al valore corrente e includono gli immobili-merce destinati alla rivendita; l’uso del criterio del valore corrente o normale di mercato praticato per i beni similari nella zone è legittimo, non essendo state indicate sia nel pvc sia nell’avviso di accertamento le ragioni per cui doveva essere utilizzato il criterio del costo ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, previsto per le opere pluriennali.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione di legge-violazione del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la non rettificabilità delle rimanenze iniziali di immobili 2005, con il recupero a tassazione di presunti costi non documentati del 2004, esercizio ricadente ai fini della rettifica, nella competenza territoriale dell’ufficio di Roma (OMISSIS), avendo la società accertata quivi ricorrente, avuto sede legale in (OMISSIS) sino al (OMISSIS)”, in quanto la rettifica dei costi incidenti sul 2005 è stata effettuata previa verifica della documentazione contabile dei lavori di ristrutturazione effettuati nel 2004, con un ammontare di costi documentati di Euro 348.744,57, con il recupero a tassazione di costi non documentati sostenuti nel 2004 di Euro 351.255,43. L’Agenzia delle entrate, quindi, ha rettificato costi del 2004, esercizi ricadente nella competenza territoriale dell’Ufficio di Roma (OMISSIS), il cui esame era ad essa precluso.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di legge-violazione delle combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39,40 e 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, attesa l’inadoperabilità di presunzioni semplici non provate e contrastate dalla realtà, ossia dalla tassazione delle rimanenze finali di immobili 2004 per il loro incremento rispetto alle rimanenze iniziali 2004”, in quanto il giudice di appello ha richiamato in modo acritico il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza del (OMISSIS). Le rimanenze iniziali di immobili del 2005 sono state rettificate sulla base di mere presunzioni semplici, come la ipotizzata sopravvalutazione delle rimanenze finali del 2004, al fine di mascherare l’evasione di maggiori ricavi nel 2004. Tuttavia, gli immobili sono stati alienati solo nel 2005, come risulta dal medesimo processo verbale di constatazione. Le rimanenze finali del 2004 hanno concorso al reddito di esercizio del 2004 di Euro 700.000,00, per il loro incremento rispetto alle rimanenze iniziali di immobili del 2004 di Euro 137.865,07, essendo state tassate ai fini Ires e Irap per Euro 562.134,93, con evidente duplicazione di tassazione per l’importo recuperato a tassazione nel 2005, quali minori rimanenze iniziali di Euro 351.255,00.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza appellata per omessa pronuncia ex artt. 112 e 132 c.p.c. da parte dei giudici di appello sulle eccezioni e domande della società quivi ricorrente inerenti la non rettificabilità delle rimanenze iniziali di immobili 2005 per la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, n. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto in nessuna parte della sentenza vi è alcun riferimento al principio di continuità dei valori aziendali ed a quello della competenza dell’Ufficio impositore.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza appellata per illogicità e contraddittorietà di motivazione per l’erroneo riferimento alla presunta rettifica induttiva in realtà analitica eseguita dall’Ufficio, alla presunta omissione del criterio di stima delle rimanenze di immobili nella nota integrativa al bilancio 2005, in realtà indicato per il valore corrente e per la presunta irrogazione da parte dell’Ufficio della sanzione per omessa tenuta delle scritture contabili in luogo di quella effettivamente irrogata per la tenuta non conforme, in relazione all’art. 360 c.p.c., art. 1, comma n. 5”, in quanto il giudice di appello ritiene che la verifica sia avvenuta in forma induttiva, mentre la stessa è stata effettuata in modo analitico. Inoltre, nella nota integrativa al bilancio 2005 è indicato il criterio del “valore corrente” per la valutazione delle rimanenze. La sanzione è stata, poi, irrogata, non per omessa tenuta del libro giornale, ma per tenuta non conforme alle prescrizioni di legge di scritture contabili.

4.1. Si premette che la società non ha impugnato la decisione di prime cure con riferimento ai costi non inerenti per autovetture, ai ricavi non contabilizzati per vendite di immobili, alle plusvalenze non dichiarate in base ai preliminari di vendita rinvenuti in sede di accesso nei locali dell’impresa, sicchè l’avviso di accertamento limitatamente a tali riprese a tassazione è divenuto definitivo.

4.2. I motivi primo e quarto di impugnazione, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

4.3. Invero, si rileva che il giudice di appello ha accertato, con una valutazione di fatto che non può essere censurata in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012 (in questo caso la sentenza è stata depositata il 22-4-2013), che la società non ha tenuto il libro giornale per l’anno 2005. Infatti, in motivazione si riporta il contenuto del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza in data (OMISSIS) (“La parte non ha esibito le seguenti scritture contabili la cui tenuta e conservazione è obbligatoria per legge e da cui risulta l’esistenza: libro-giornale mancante dal 1/1/2005 al 31/12/2005 per mancata tenuta”). In motivazione si aggiunge che “tale rilievo si ripete al foglio n. 34 e 35 del detto PVC, nel quale si rileva la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 13, per omessa tenuta delle scritture contabili, nel caso di specie mancata consegna, all’atto dell’accesso, del libro-giornale per l’esercizio 2005, nonchè mancata allegazione e compilazione del modello degli studi di settore”.

Il giudice di appello ha, quindi, correttamente ritenuto che tali omissioni consentivano l’accertamento induttivo puro compiuto dalla Agenzia delle entrate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c, con la conseguente facoltà per l’Ufficio di determinare il reddito di impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti, con la possibilità di avvalersi di presunzioni “supersemplici”.

4.4. Invero, per questa Corte, in tema di avviso di accertamento in rettifica delle dichiarazioni Iva, IRPEG ed Ilor a carico della società, ed Irpef, a carico dei soci, rispettivamente il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, e il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), permettono il ricorso al metodo induttivo allorchè il contribuente non abbia consentito l’ispezione di una o più scritture contabili obbligatorie, com’è, ai sensi dell’art. 2214 c.c., il libro degli inventari; nè è rilevante che la indisponibilità di esso sia incolpevole, poichè, comunque, la circostanza in sè integra il requisito normativo della incompletezza della contabilità, con conseguente inattendibilità delle sue risultanze (Cass., sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9201).

Si è anche affermato che l’irregolare tenuta della contabilità derivante dalla mancata scritturazione del libro degli inventari, riscontrata per plurimi esercizi e, comunque, per l’intero periodo oggetto di ispezione, giustifica il ricorso all’accertamento induttivo anche per l’anno nel quale, alla fine del periodo considerato, era ancora possibile redigere detto inventario, essendo il relativo termine non scaduto, in quanto, pur nella indipendenza di ogni esercizio economico rispetto agli altri, la mancanza di dati contabili per gli anni precedenti si riflette anche su quello in contestazione, rendendo plausibilmente impossibile verificare la correttezza dei dati contabili della frazione considerata (Cass., sez. 5, 25 marzo 2011, n. 6937).

La mancata tenuta del libro degli inventari, prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, legittima, dunque, l’Amministrazione erariale alla ricostruzione dell’imponibile in via induttiva anche sulla base di presunzioni semplici e con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass., sez. 5, 23 marzo 2011, n. 6623).

4.5. Pertanto, è stata adeguatamente valorizzata la circostanza, desunta dagli atti di causa, che le rimanenze iniziali di magazzino al 2005, indicate in 700.000,00, in corrispondenza del resto anche del valore delle rimanenze finali del 2004, in realtà, all’esito del controllo, erano di Euro 348.255,00, sicchè si è proceduto all’accertamento di ulteriori ricavi per il 2005 pari ad Euro 351.255,00, ossia la differenza tra le rimanenze indicate in contabilità e quelle effettivamente esistenti nel 2005.

La verifica della Guardia di finanza, dunque, ha mutato il computo delle rimanenze iniziali del 2005, rendendole difformi dalle rimanenze finali del 2004, indicate in bilancio per Euro 700.000,00.

Non v’è stata, però, alcuna violazione del principio di continuità dei valori del bilancio di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7.

Invero, l’art. 92 comma 7 citato, dispone che “le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo”.

La rilevazione del magazzino, invero, consente di rispettare il principio di competenza, in quanto i costi sostenuti per i beni-merce sono posti a confronti solo nel momento in cui si verifica il disinvestimento o ricavo. Trattasi, dunque, di un “costo sospeso”, da cui origina la necessità di “neutralizzare” il costo di acquisto ai fini della formazione del reddito del periodo, fino a quando i beni diventano produttivi di ricavi per effetto della cessione (Cass., sez. 1, 27 dicembre 2013, n. 28667, seppure in relazione alla peculiare fattispecie della individuazione delle soglie di fallibilità, sub specie di “ricavi lordi”, ai sensi dell’art. 1 L. Fall.).

Le rimanenze finali di un esercizio costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito di esercizio (Cass., sez. 5, 10 febbraio 2017, n. 3567; Cass., sez. 5, 30 luglio 2014, n. 17298; Cass., sez. 5, 12 maggio 2008, n. 11748).

E’ necessario effettuare un “inventario fisico” per individuare i beni oggetto di valutazione; sicchè le imprese tenute all’istituzione della contabilità di magazzino, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d, devono utilizzare quale punto di partenza le relative risultanze, ossia l’inventario contabile, da mettere a confronto con l’inventario fisico. In tal modo si riscontrano le eventuali differenze.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 1, prevede che le “variazioni” delle rimanenze finali, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio.

Nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7, è stata, però, soppressa la dizione “e tenuto conto delle rettifiche apportate dall’ufficio”, contenuta nel D.P.R. n. 597 del 1973, quasi a voler sottolineare che il valore attribuito alle rimanenze finali dell’esercizio debba sempre corrispondere al valore delle esistenze iniziali dell’esercizio successivo, anche nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia accertato un maggior valore delle rimanenze finali del primo esercizio. In realtà, però il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7, deve essere posto in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 8, che dispone che “la rettifica da parte dell’ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi”. In tal caso “l’Ufficio tiene conto direttamente delle rettifiche operate e deve procedere a rettificare le valutazioni relative anche agli esercizi successivi”. Tale norma, dunque, sancisce il principio della continuità dei valori di bilancio, ponendo l’obbligo a carico dell’ufficio accertatore di tenere conto del maggior valore attribuito alle rimanenze anche negli esercizi successivi (Cass., sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22932).

Nella specie, dunque, nel caso in cui l’Agenzia delle entrate accerti la insussistenza di parte delle rimanenze iniziali di magazzino, ben può incidere sulle stesse, senza che vi sia violazione del principio della continuità dei valori di bilancio.

Infatti, se è vero che, in caso di rettifica del valore delle rimanenze finali di un esercizio, l’Ufficio deve provvedere automaticamente a rettificare e riliquidare di conseguenza la dichiarazione dei redditi relativa all’anno successivo, senza che, a questo fine, si renda necessaria una qualunque attivazione da parte del contribuente e a prescindere da una specifica attività di accertamento avente ad oggetto tale periodo d’imposta, tuttavia, non è vero il contrario. Infatti, per questa Corte, in caso di definizione del valore delle rimanenze iniziali di un periodo di imposta, l’Agenzia delle entrate mantiene, comunque, il diritto/potere di rettificare il valore delle rimanenze finali dell’esercizio precedente (Cass., sez. 5, 12 settembre 2012, n. 15250).

4.6. Peraltro, non v’è neppure il divieto di doppia imposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973. Infatti, si rileva che effettivamente la riduzione delle rimanenze iniziali al 2005 ha come conseguenza inevitabile, anche la riduzione delle rimanenze finali al 2004. Tuttavia, la contribuente ha già pagato le imposte sulla variazione delle rimanenze tra l’inizio del 2004 e la fine del 2004, quindi su un importo maggiore rispetto a quello effettivo.

Ciò avrebbe potuto consentire alla ricorrente di presentare una istanza di rimborso, per quanto eventualmente pagato in misura maggiore rispetto a quella poi accertata dalla Agenzia delle entrate.

4.7. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, poi, dispone che “i prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio, salvo quanto stabilito nell’art. 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale”.

Infatti, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, comma 1 (opere, forniture e servizi di durata ultrannuale) “le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito di esercizio”, ma “a tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono…”.

Invero, per questa Corte, in tema di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 92 e 93, la valutazione delle giacenze relative a commesse ultrannuali deve essere effettuata con il criterio della percentuale di completamento che determina la suddivisione dell’utile totale che scaturisce dall’operazione nei vari esercizi di svolgimento della stessa ed in proporzione ai lavori eseguiti per ciascun periodo, al fine di evitare la concentrazione dell’imponibile nell’ultimo esercizio (Cass., sez. 5, 1 ottobre 2018, n. 23692).

Nel ricorso non si specifica neppure, pur richiamando la società il disposto dell’art. 93 TUIR, se le rimanenze riguardavano beni relativi a commesse infrannuali o ultrannuali.

5. Va, poi, esaminato prioritariamente il sesto motivo di impugnazione, con cui si censura la illogicità e la contraddittorietà della motivazione, in quanto tale motivo è pregiudiziale all’esame delle doglianze di legittimità di cui ai motivi secondo e terzo.

5.1. Il sesto motivo è inammissibile.

Infatti, poichè la sentenza di appello è stata depositata il 22-4-2013, la censura fondata sul vizio di motivazione doveva essere articolata secondo il modello delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012.

6. Il secondo motivo, relativo alla indicazione del criterio di stima delle rimanenze nella nota integrativa, ed il terzo motivo, inerente alla incompetenza territoriale della Agenzia delle entrate di Napoli, in quanto la società aveva sede legale a (OMISSIS), sono infondati.

6.1. Invero, il giudice di appello, in ordine al contenuto della nota integrativa al bilancio, ha accertato che nella stessa non sono esplicitati i criteri di valutazione delle rimanenze iniziali e la rettifica dei valori di tali rimanenze. La ricorrente deduce, invece, con censura fondata sulla violazione di legge, la circostanza che nella nota integrativa al bilancio è stato indicato come criterio di valutazione quello del “valore corrente” e che non vi erano ragioni per utilizzare il criterio del costo di cui all’art. 93. La censura, però, doveva impingere nel vizio della motivazione, sub specie di omesso esame di un fatto decisivo. Una volta ritenuto inammissibile il sesto motivo, incentrato esclusivamente sul vizio di motivazione, ma con riferimento alla vecchia stesura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e quindi inammissibile, diviene definitivo l’accertamento in fatto conseguito alla declaratoria di tale inammissibilità.

7. Quanto al terzo motivo, relativo alla individuazione della sede legale della società nel 2005, la ricorrente deduce che competente per territorio era l’Ufficio di (OMISSIS), avendo la società la sede a (OMISSIS). In realtà, dal controricorso emerge che la sede della società nel 2005 era a (OMISSIS). Anche in tal caso, la definitività dell’accertamento in fatto contenuto nella motivazione della sentenza del giudice di appello, rende insindacabile tale valutazione nel merito, e quindi sterilizza la deduzione di violazione di legge.

8. Il quinto motivo è infondato.

Infatti, poichè la Commissione regionale ha rigettato l’appello della contribuente, sono stati implicitamente rigettati tutti i motivi di appello.

9. Le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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