Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29344 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 23/12/2020), n.29344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23366/2013 R.G. proposto da:

M.A., rappresentata e difesa, giusta mandato a margine del

ricorso, dall’Avv. Paolo Pannella, elettivamente domiciliato presso

il suo studio, in Roma, Via Labicana, n. 58;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 48/23/2013, depositata il 7 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento ((OMISSIS)) nei confronti di M.A., per l’anno 2004, per maggior reddito da plusvalenza ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, realizzato con la vendita di due terreni, uno di mq. 1.744,00, sito in (OMISSIS), con rettifica da Euro 12.220,00 ad Euro 121.833,00, e l’altro, di mq. 5.444,00, sito in (OMISSIS), con rettifica da Euro 45.000,00 ad Euro 147.587,00. Veniva contestata anche la sanzione pecuniaria di Euro 258,00, per il mancato esito all’invito a comparire con avviso di contestazione n. (OMISSIS).

2. La Commissione tributaria provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, in quanto recava solo il mero riferimento a due atti di compravendita registrati presso gli Uffici di Napoli e Noia. Inoltre, la sanzione irrogata era illegittima in quanto l’invito a comparire aveva ad oggetto documenti già nella disponibilità dell’amministrazione finanziaria.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando che, quanto alla contestazione della sanzione, l’Ufficio non aveva proposto impugnazione, sicchè era confermata la decisione di prime cure; quanto al merito, rilevava che si era formato il giudicato, favorevole alla contribuente, in relazione alla controversia sulla imposta di registro, avendo la Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza 15-3-2012, passata in giudicato, annullato l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dalla Agenzia delle entrate di Napoli (OMISSIS), che aveva rettificato il valore del terreno sito in (OMISSIS) di mq. 5.444.

Quanto al terreno sempre sito in (OMISSIS), di mq. 1.746,00, invece, la Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza 191/17/2007 del 26-10-2007, passata in giudicato, aveva confermato l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Nola dell’Agenzia delle entrate. Pertanto, sia i contratti di compravendita sia gli avvisi di accertamento relativi alla imposta di registro erano conosciuti dalla contribuente, i primi in quanto da lei stipulati, i secondi in quanto notificati ed impugnati. La motivazione dell’avviso di accertamento era, quindi, sufficiente.

Essendo le due sentenze relative alla impugnazione degli avvisi per maggiore imposta di registro passate in giudicato, tali rettifiche di valore non potevano che riverberare i loro effetti sugli avvisi di accertamento in contestazione emessi per una maggiore plusvalenza ai fini Irpef. Pertanto, doveva essere annullato l’avviso di accertamento ai fini Irpef relativo al terreno di superficie di mq. 5.444, mentre doveva essere confermato l’avviso di accertamento ai fini Irpef per il terreno di mq. 1.744, per Euro 60.916,00, pari al 50 % del valore accertato di Euro 122.833,00 (in realtà Euro 121.833,00), gravando l’imposta di registro su entrambi i contraenti.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

5. L’Agenzia delle entrate si costituisce al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

6. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 – della violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 3 -” (cfr. pagina 9 del ricorso per cassazione e pagina 10 sub lettera A), in quanto nell’avviso di accertamento ai fini Irpef non è stato allegato l’atto assunto quale termine di comparazione per la valutazione dell’immobile, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, avendo riguardo ai trasferimenti anteriore di non oltre i tre anni alla data dell’atto, che abbiano avuto ad oggetto immobili con analoghe caratteristiche. In alternativa, l’Ufficio avrebbe dovuto far riferimento al reddito netto di cui gli immobili erano suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato a tale data e nella stessa località. L’avviso di accertamento Irpef, quindi, deve essere motivato non solo con il richiamo agli atti di compravendita degli immobili, ma con l’aggiunta della valutazione comparativa, attraverso l’indicazione dei criteri tecnici assunti quale termine di comparazione. Inoltre, l’avviso di accertamento non aveva dato atto della esistenza di due giudicati, recati dalle sentenze della CTR Campania n. 59/15/10 e n. 197/17/07. Tra l’altro, la seconda sentenza ha confermato l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Nola, ma tenendo conto della riduzione di percentuale del 35 %, già operata dal giudice di prime cure. L’avviso di accertamento ai fini Irpef, comunque, era un atto di autotutela, da ritenersi sostitutivo dei precedenti atti di accertamento, privo però di idonea struttura argomentativa.

1.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, per questa Corte, nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (Cass., sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., sez. 5, 23 giugno 2017, n. 16147).

Inoltre, si evidenzia che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., sez. 5, 13 novembre 2018, n. 29093).

Nella specie, ove gli atti impugnati sembrano essere due (avviso di accertamento oltre alla autonoma contestazione di sanzione) la ricorrente non soltanto non ha trascritto gli stralci essenziali degli avvisi di accertamento, ma non ha neppure indicato nel ricorso in quale fascicolo si trovi l’avviso di accertamento ed in quale fase processuale sia stato depositato.

2. Con il secondo motivo (cfr. pagina 9 del ricorso e pagina 23 lettera B) la ricorrente si duole “dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa ed erronea valutazione della sentenza n. 197/17/2007 prodotta dalla M.”, in quanto il giudice di appello, nel confermare la legittimità dell’avviso di accertamento Irpef per il terreno di mq. 1.744, sito in (OMISSIS), a seguito del giudicato favorevole alla contribuente formatosi con la sentenza della CTR Campania 197/17/2007, non ha tenuto conto della circostanza che in primo grado, nella controversia relativa alla imposta di registro, il giudice aveva ridotto l’importo della ripresa a tassazione del 35 %, per la presenza dei vincoli di cui alla L. n. 1497 del 1939 e della L. n. 431 del 1985, con successiva conferma della decisione da parte della CTR Campania. La Commissione regionale della Campania avrebbe dovuto, allora, confermare l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), ma con la riduzione del 35 % operata sull’importo di Euro 60.916,00 (pari al 50 h del valore accertato di Euro 122.833,00).

2.1. Tale motivo va accolto, anche se per una ragione diversa da quella esposta dalla contribuente.

2.2. Invero, si rileva che la Commissione regionale è incorsa in errore, laddove ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo al terreno di mq. 1.744, nella sua integrità, senza tenere conto della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (n. 57/08/06), che aveva ridotto l’importo del 35 %, poi confermata dalla CTR della Campania n. 197/17/07, in relazione alla controversia sulla quantificazione della imposta di registro.

2.3. Tuttavia, deve tenersi conto dello ius superveniens costituito dal D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3.

Infatti, per questa Corte, nel giudizio di legittimità, lo “ius superveniens”, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorchè dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass., sez. 5, 2 agosto 2018, n. 19227; Cass., sez. L, 26 luglio 2011, n. 16266; Cass., sez. L., 1 ottobre 2012, n. 16642; Cass., sez. 5, 8 maggio 2006, n. 10547). Il giudizio di legittimità ha ad oggetto, del resto, non solo l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (Cass., sez. L., 28 febbraio 2017, n. 5226).

Nella specie, la contribuente, in definitiva, ha contestato che il giudicato proveniente da una controversia relativa alla applicazione di una maggiore imposta di registro su un bene immobile, potesse riverberare i suoi effetti su un accertamento ai fini Irpef, per plusvalenza, in relazione al medesimo immobile, senza tenere conto che, in realtà, il giudicato presupposto aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nella misura del 35 %, e non per l’intero. Inoltre, nei motivi di ricorso per cassazione la contribuente ha anche dedotto che l’avviso di accertamento relativo alla plusvalenza non era stato motivato con riguardo agli altri immobili venduti in quel periodo nella stessa zona per effettuare una comparazione, in qualche misura, quindi, censurando l’automatismo dell’avviso di accertamento Irpef, scevro da una effettiva valutazione sul valore effettivo dell’immobile in relazione al prezzo di acquisto dello stesso.

2.4. La Commissione regionale, quindi, ha provveduto alla determinazione della asserita plusvalenza da cessione del terreno, esclusivamente tenendo conto della rettifica del valore del terreno in sede di imposta di registro. Tale valore sarebbe divenuto definitivo, anche ai fini irpef, dopo il giudicato formatosi in altro processo ai fini delle imposte dirette, peraltro nella misura intera e non in quella del 35 % dell’importo ripreso a tassazione.

In realtà, deve osservarsi che la tesi dell’Agenzia delle entrate, fatta propria dalla Commissione regionale, si fondava sul tralaticio orientamento giurisprudenziale (Cass.Civ., 16254/2015; Cass.,Civ., 14485/2009), per cui il valore del bene determinato ai fini della imposta di registro, spiegava effetto anche sulla determinazione della plusvalenza generata dalla cessione del medesimo bene; sicchè era onere del contribuente, al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore.

2.5. Tale orientamento è stato, però, travolto dal D.L.gs. n. 149 del 2015, n. 147, art. 5, comma 3, in base al quale “Gli artt. 58, 68, 85 e 86 T.U.I,R., approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, e il D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.

Pertanto, per questa Corte, il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, che esclude l’accertamento induttivo della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, è una norma interpretativa e, come tale, retroattiva, in ragione del chiaro intento del legislatore, desumibile, peraltro, dal detto art., comma 4, che contempla una disciplina transitoria solo per le disposizioni di cui al comma 1, senza nulla statuire per quelle contenute nei commi 2 e 3 (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12131; Cass. Civ., 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. Civ., 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. Civ., 2 agosto 2017, n. 19227).

La presunzione suindicata, quindi, non è più legittima, in base alla novella legislativa, solo sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. Civ., n. 6135/2016; Cass. Civ., n. 11543 del 2016), posto che la base imponibile Irpef è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.

Pertanto, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione Irpef, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’Ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12131; Cass., sez.5, 30 gennaio 2019, n. 2610;).

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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