Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29343 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.L., M.A. (OMISSIS) e M.

A., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv.ti Salemme Antonio e Giancarlo

Violante del foro di Napoli ed elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv.to Angelo Schiano in Roma, via Delle Carrozza n. 3;

– ricorrenti –

contro

F.F. (OMISSIS) P.F. e

F.N., rappresentati e difesi dagli Avv.ti RUSSO

Giuseppe e Stefano Parlati del foro di Napoli, in virtù di procura

speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Rocco Falotico in Roma,

viale Giulio Cesare n. 78;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3305

depositata il 20 novembre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto, che – in assenza delle parti costituite

– ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4 maggio 1988 S.L., An. e M.A. evocavano, avanti al Tribunale di Napoli, F.F. esponendo di essere comproprietari, unitamente ad altre persone, di stradina pedonale privata che dalla traversa (OMISSIS) conduceva alla via (OMISSIS) ed alla spiaggia, ubicata al confine con la proprietà del convenuto, individuata – sulla pianta catastale – con una linea netta continua e, sui luoghi, per il tratto relativo alla proprietà F., in parte con la parete di un fabbricato ivi esistente, in parte con un muro di tufo dell’altezza di circa tre metri; assumevano, altresì, che il F. nel 1991 aveva chiesto ed ottenuto da ciascuno dei comproprietari il permesso di aprire nel muro di confine tra le rispettive proprietà di un varco, che consentisse un più agevole trasporto nella sua proprietà dei materiali necessari per eseguire i lavori di ristrutturazione della sua abitazione, ma dopo averli terminati aveva cominciato a rinviare la chiusura del varco fino all’ottobre 1993, allorchè gli attori gli avevano intimato, con lettera raccomandata, di ripristinare il muro di confine e al rifiuto del F. avevano proposto ricorso possessorio avanti al Pretore di Pozzuoli, che però lo rigettava; tanto premesso, chiedevano la pronuncia di declaratoria di sussistenza del loro diritto di proprietà e di inesistenza di qualsiasi titolo all’esercizio di qualsivoglia diritto di servitù del fondo di proprietà del convenuto a carico della loro proprietà, con condanna del F. al ripristino dello stato dei luoghi.

Istauratosi il contraddicono, nella resistenza del convenuto che eccepiva il difetto di legittimazione degli attori, nonchè l’assunzione nel tempo della natura pubblica d’uso della stradina, deduceva, altresì, la necessità che venisse integrato il contraddicono nei confronti degli altri soggetti contitolari di diritti reali sul bene in contesa, essendosi già svolto altro giudizio su iniziativa di T.M.A., Mo.An. e S.L. nei confronti di F.F. (rimasto contumace), F.G., I.M. e N. F., conclusosi con sentenza dello stesso Tribunale di Napoli n. 7221/1997 del 29.7.1997, che aveva rigettato la domanda per carenza di legittimazione attiva, ciò posto, il Tribunale adito, integrato il contraddittorio nei confronti di P.F. e F.N. – i quali nel costituirsi sostenevano le ragioni del convenuto – con decisione n. 5841/2002 del 17.4/16.5.2002 dichiarava inammissibile la domanda proposta da S.L. e Mo.An. nei confronti di F.N. (per carenza di titolarità attiva e passiva con riferimento al diritto controverso) per giudicato esterno formatosi in virtù della sentenza n. 7221/1997 dello stesso Tribunale, confermata dalla Corte territoriale con sentenza n. 1351/1998; respingeva la domanda proposta dagli attori nei confronti di F.F. e P. F..

In virtù di rituale appello interposto da S.L., An. ed M.A., con il quale contestavano la valenza di giudicato esterno della decisione n. 7221/97 del Tribunale di Napoli, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, rigettava il gravame. A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale – ritenuta l’automatica estensione della domanda attorea all’interventore F.N. – evidenziava che l’efficacia di giudicato della sentenza n. 7221/1997 era da escludere con riferimento a F.F. e P.F., dal lato passivo, e a M.A., dal lato attivo, giacchè gli stessi non avevano partecipato al predetto processo, nè erano succeduti nella posizione soggettiva di coloro che vi avevano partecipato, decisione che però poteva essere valutata dal giudice contenendo elementi di prova in ordine alla situazione giuridica che aveva formato oggetto dell’accertamento. Ciò precisato, la corte distrettuale affermava che le risultanze degli atti prodotti in giudizio non suffragavano i diritto di proprietà vantato dagli appellanti, non soccorrendo all’uopo l’atto pubblico per notaio Calone del 27.5.1845, che non ricomprendeva nell’area di terreno trasferita la strada in contestazione ed anzi dagli atti traslativi succedutisi nel tempo (atto per notaio Spicacci del 18.10.1951 e per notaio Sbriziolo del 19.6.1991) si evinceva che la stessa costituiva addirittura confine dei fondi trasferiti e non parte di essi, con ciò avvalorando la tesi che essa costituisse passaggio per i fondi finitimi, anche per quelli degli appellati.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione S.L., An. ed M.A., che risulta articolato su tre motivi, al quale hanno resistito P.F., F. e F.N. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 per non avere la corte distrettuale considerato quale fonte della pretesa azionata ben altri atti che non quelli esaminati specificamente nella decisione. In primis, quello di divisione per notar Oriani del 28.2,1926 e quindi quelli derivati, quale per i M., l’atto di successione a seguito del decesso della loro madre, T.M.O., che dal menzionato atto del notaio Oriani risultava essere proprietaria della stradina in contesa (porzione della stradina ricadente all’interno delle particelle 83 e 19; mentre la restante parte della stradina risulterebbe insistere nell’ambito della particella 106, di esclusiva proprietà di L. S..

Sotto altro profilo, essendo stato denunciato il vizio di errore in procedendo, viene richiesto dai ricorrenti che la Corte operi direttamente l’esame e la valutazione degli atti processuali onde operare una indagine autonoma.

Il motivo come sopra illustrato è inammissibile, prima che infondato, contrastando con la regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato da giudice di merito, provvedendo alla sua trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. 30 luglio 2010 n. 17915). Nel caso in esame il ricorso non offre alcuna documentazione (attraverso apposita trascrizione) dei rilievi svolti alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla corte di merito con specifico riferimento ai documenti invocati.

Il motivo manca così del requisito della autosufficienza che, come questa Corte ha chiarito, implica la necessità di corredare la censura del ricorso per Cassazione di omessa valutazione di prove documentali non solo della trascrizione del testo integrale o della parte significativa del documento al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche della specificazione degli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate in sede di merito sulla base del documento; infatti del tutto irrilevante giuridicamente dovrebbe considerarsi la sola produzione, in detta sede, non accompagnata da specifica istanza d’esame e da deduzioni circa la rilevanza dei documenti prodotti in relazione alle pretese fatte valere, dato che essa non garantisce alla controparte la possibilità di interloquire sul punto, così come è necessario per assicurare il contraddittorio, e non comporta, comunque, per i giudice alcun onere d’esame e, tanto meno, di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (v. Cass. 25 agosto 2006 n. 18506).

In secondo luogo, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Al fine della congruità della motivazione è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (v. Cass. 28 giugno 2006 n. 14973).

Ne consegue che, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidenti venga a trovarsi priva di base.

Le censure dei ricorrenti vanno esaminate alla stregua di tali principi.

La Corte d’Appello ha correttamente rilevato che in base all’atto pubblico per notaio Calone del 27.5.1845, nonchè dagli atti traslativi succedutisi nel tempo, in particolare quello per notaio Spicacci del 18.10.1951 e per notaio Sbriziolo del 19.6.1991, la strada in contestazione risultava costituire zona di confine dei fondi trasferiti e non parte di essi, avvalorando la tesi che essa costituisse passaggio per i fondi finitimi, compresi quelli dei ricorrenti. Pertanto costituendo la strada l’accesso ai fondi limitrofi, non può essere ricompresa nelle proprietà esclusive in difetto di una specifica prova sul punto.

La tesi dai ricorrenti prospettata, secondo cui i documenti invocati disciplinerebbero proprio detto diritto, non trova alcun fondamento testuale negli atti posti a fondamento della decisione impugnata, valendo per gli altri documenti quanto sopra esposto.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, anche per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto prendendo la vicenda avvio dalla richiesta di un permesso di apertura temporanea di un varco nel muro di confine sulla strada, in vista del soddisfacimento di esigenze del tutto transitorie, avrebbe dovuto considerarsi che trattavasi di una condotta che implicitamente ammetteva il riconoscimento di un potere sulla res controversia in termini di possesso, alla stregua di quanto statuito dal giudice del possessorio. Anche detta censura è infondata.

La sentenza emessa nel giudizio possessorio non può rivestire tale autorità nel successivo giudizio petitorio, in relazione alla diversa natura e alla piena autonomia delle due azioni (v., tra le altre, Cass. 5 ottobre 2009 n. 21233).

Ed infatti, ai fini dell’esercizio delle azioni possessorie, previste dagli artt. 1168, 1169, 1170 c.c., non si richiede che il possesso abbia gli stessi requisiti del possesso ad usucapionem, essendo dette azioni destinate ad assicurare la immediata tutela contro la privazione violenta e clandestina o la menomazione del possesso inteso come esercizio di fatto del potere sulla cosa, espresso in una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di un diritto reale, ed essendo, pertanto, le stesse azioni date a tutela di qualunque possesso, anche se illegittimo o abusivo, purchè avente i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale (v.

ancora Cass. n. 4908 del 1998 e n. 4088 del 2000).

Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per essere erronea la decisione impugnata nella parte relativa alla posizione dell’interventore, F.N., che avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’intervento e non già della domanda, peraltro mai svolta nei suoi confronti da parte di S.L., An. ed M.A.. Il motivo è fondato.

E’ incontestato che nel processo che si è concluso con la decisione n. 7221/97 del Tribunale di Napoli ha preso parte, oltre agli odierni ricorrenti, anche l’attuale interveniente, F.N., in qualità di convenuto, giudizio che è stato definito con il rigetto della domanda attorea di accertamento della contitolarità di diritto reale sul medesimo bene in contesa, proposta da T.M. A., Mo.An. e S.L., per difetto di legittimazione attiva. Va, dunque, ritenuto che, con efficacia di giudicato, è già rimasto accertato, fra le medesime parti, la carenza di titolarità attiva del diritto fatto valere sulla strada in contestazione.

Ne consegue che l’intervento di F.N. nel presente giudizio, violando il principio del ne bis in idem, andava dichiarato inammissibile.

Per effetto dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ., comma 3, nei confronti di N. F. per precedente giudicato e per l’effetto va dichiarata l’inammissibilità del suo intervento, confermata per il resto la decisione di appello.

In considerazione dell’esito complessivo del giudizio, sussistono giusti motivi per dichiarare intermente compensate fra le parti le spese di lite di questo grado di giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri due;

cassa senza rinvio la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e dichiara inammissibile l’intervento di F.N.;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese di questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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