Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29343 del 07/12/2017


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Cassazione civile, sez. III, 07/12/2017, (ud. 10/11/2017, dep.07/12/2017),  n. 29343

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.R., M.C. e M.S. convenivano dinanzi al Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, C.A. e la coniuge M.A. al fine di sentire accertare e dichiarare la mala gestio del primo, in qualità di amministratore della società di fatto Ge. Be. Ma, e condannare in solido entrambi al risarcimento dei danni patrimoniali subiti a causa della distrazione da loro posta in essere di ingentissime somme di danaro, frutto dei proventi delle vendite dei beni di proprietà di B.R. e M.F., e costituenti patrimonio della società formata da tutte le parti.

I convenuti si costituivano a ministero di differenti difensori e con distinte comparse, sollevando entrambi eccezioni preliminari; chiedevano, nel merito, che la domanda venisse rigettata.

Con sentenza n. 98/2013 depositata il 7.5.2013, le domande venivano respinte e gli attori condannati a rifondere le spese di lite ad M.A. ed all’avvocato Claudio Tarchiani quale difensore antistatario di C.A..

Con ordinanza del 4.6.2013, il Tribunale adito provvedeva alla correzione dell’errore materiale denunciato dall’avv.to Leonardo Banchi, difensore di M.A., consistente nell’omessa distrazione delle spese di lite in suo favore, nonostante la dichiarazione di antistatarietà.

Con atto di citazione notificato il 17.1.2014 M.C. ha impugnato la sentenza sopra indicata proponendo sei motivi di gravame.

La Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento della preliminare eccezione sollevata da C.A. e da M.A., con sentenza n. 28/2015 dell’8.1.2015, resa ex art. 281 sexies c.p.c., ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, proposta oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1 e non concernendo la parte della sentenza corretta con ordinanza del 4.6.2013 – che era riferita alla sola questione concernente l’omessa pronuncia sulla distrazione delle spese processuali, estranea ai motivi di gravame prospettati.

Ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del grado, in favore di ciascuna controparte.

Avverso detta sentenza, M.C. ha proposto il ricorso per Cassazione in esame, affidando le sue doglianze a due articolati motivi.

C.A. ed M.A. hanno presentato congiuntamente controricorso, chiedendo il rigetto del gravame.

Il Collegio ha deliberato che la motivazione sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame, richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 288 c.p.c., comma 4 e art. 327, comma 1, M.C. censura, con riferimento al c.d. “termine lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, la violazione dell’art. 288 c.p.c., comma 4, che prevede che “le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione”.

Assume, al riguardo, che la Corte d’Appello di Firenze, escludendo che la procedura di correzione dell’errore materiale esperita potesse essere utilmente invocata ai fini della rimessione in termini per l’impugnazione, aveva omesso di considerare che gli effetti della distrazione disposta mediante detta ordinanza andavano ad incidere in modo rilevante sul contenuto precettivo della sentenza impugnata, riverberandosi sulla legittimazione passiva del soggetto finale cui indirizzare la richiesta di restituzione delle spese in caso di accoglimento del gravame, ed incidendo quindi sulla sostanza del giudicato.

Ha chiesto, pertanto, che venisse dichiarato che la decorrenza del termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Firenze fosse calcolato dal 4.6.2013, data dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale, e non dalla data di pubblicazione della sentenza, con applicazione dell’art. 288 c.p.c., comma 4.

Con il secondo motivo, la ricorrente, invocando l’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 2 (comma 1), art. 4 (commi 1, 2 e 5, lett. d) e 8 (comma 1) D.M. n. 55 del 2014, si duole dell’errata applicazione delle tariffe vigenti, in quanto la Corte fiorentina, dopo aver dichiarato l’inammissibilità del gravame per tardività, l’aveva condannata a rifondere ad entrambi i convenuti le spese di lite, che liquidava, per ciascuno, in Euro 6440,00 oltre accessori di legge.

Ritenendo l’importo eccessivo, lamenta, al riguardo, che:

1. era stata disposta una duplicazione dei compensi a favore di due difensori a fronte di posizioni processuali identiche, con palese violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 8, comma 1, che prevede che, in caso di incarico plurimo a carico del soccombente, dovessero essere computati i compensi per un solo avvocato; era stato altresì ignorato il principio secondo cui, nel caso dell’avvocato chiamato a difendere più persone aventi una medesima posizione processuale, il compenso unico poteva essere aumentato nei limiti del 20%;

2. i compensi erano stati erroneamente quantificati in relazione all’impegno difensivo effettivamente profuso, certamente inferiore a quello medio, avuto riguardo all’unicità della questione affrontata ed all’assenza di ogni esame del merito della controversia, con conseguente sproporzione delle somme liquidate;

3. erano stati erroneamente quantificati i compensi dovuti per la fase decisionale tenuto conto della circostanza che la sentenza era stata resa con motivazione contestuale.

Ha chiesto, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata.

Il primo motivo è infondato.

L’art. 288 c.p.c., comma 4, prevede, a chiusura della disciplina del procedimento di correzione dell’errore materiale, che il termine ordinario per impugnare le parti corrette della sentenza debba farsi decorrere dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, circoscrivendo in tal modo le ipotesi di estensione della decorrenza del termine alle parti della sentenza oggetto di modifica ed escludendo implicitamente che tale dilatazione possa ricomprendere i capi che rimangono non intaccati dal provvedimento di cui all’art. 288 c.p.c., comma 2.

Nel caso in esame, come dedotto dallo stesso ricorrente, il provvedimento di correzione riguarda esclusivamente la distrazione delle spese in favore del difensore antistatario della convenuta M.A., con la conseguenza che, per le restanti parti, il termine per la proposizione dell’appello doveva farsi decorrere dal giorno della pubblicazione della sentenza di primo grado, così come correttamente statuito dalla Corte d’Appello di Firenze.

Al riguardo, va rilevato che il ricorrente, pur mostrando di essere consapevole dei fondamentali arresti di questa Corte – che ha richiamato – secondo i quali, qualora il giudice di primo grado abbia distratto le spese processuali riconosciute alla parte vittoriosa in favore del suo avvocato, questi non diviene contraddittore necessario nel giudizio d’appello (Cass. 1371/2012) e non assume, pertanto, in tale giudizio – a meno che esso non investa la sussistenza dei presupposti per la distrazione delle spese – la qualità di parte (Cass. 23444/2014), mostra di non trarne le corrette conseguenze affermando, erroneamente, che la statuizione di distrazione avrebbe inciso sul complessivo giudicato in quanto, ove fosse intervenuta una riforma della pronuncia del giudice di prime cure, il soggetto legittimato passivo alla richiesta di restituzione delle spese di lite sarebbe stato il difensore della parte: tale tesi è totalmente contrastante con il consolidato orientamento di questa Corte sopra richiamato, dovendosi precisare – in ordine ai presupposti su cui si fonda – che nel caso in esame le statuizioni di merito della sentenza sono rimaste intatte e non sono mai state oggetto della richiesta di correzione.

Il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

La prima censura è infondata.

Le norme richiamate dal ricorrente sono applicabili alla duplice ipotesi in cui la parte vittoriosa sia difesa da più avvocati o in cui un medesimo difensore assista più parti: nel primo caso, infatti, il D.M. n. 55 del 2014, art. 8, comma 1, prevede che a carico del soccombente debbano essere computati i compensi per un solo avvocato; mentre, nel secondo caso, l’art. 4, comma 2 stesso testo dispone che il compenso possa essere aumentato, fino a ad un massimo di 10 soggetti, nei limiti del 20% per ciascuna parte in più.

Tali previsioni sono del tutto estranee al caso in esame, in cui i convenuti si sono costituiti separatamente, a ministero di differenti difensori, in favore dei quali, pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente liquidato i compensi previsti dalle tariffe vigenti.

La seconda e la terza censura sono inammissibili, visto che nella determinazione del quantum sono stati rispettati i minimi inderogabili previsti ex D.M. n. 55 del 2014 per i compensi: il motivo, in parte qua, investe dunque il merito della liquidazione ed è, pertanto, estraneo al sindacato di legittimità (Cass. 20289/2015).

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con l’enunciazione, ex art. 384 e art. 360, comma 1, n. 3, dei seguenti principi di diritto:

“Il termine per impugnare previsto dall’art. 288 c.p.c., comma 4, decorrente dalla notificazione dell’ordinanza di correzione, non ha la funzione di una rimessione in termini concessa per denunciare errori di giudizio e non consente, pertanto, di estendere il controllo impugnatorio alle parti della pronuncia estranee al provvedimento di correzione, per le quali la decorrenza dovrà essere computata dalla data di pubblicazione della sentenza”.

“Qualora il giudice di primo grado abbia distratto le spese processuali riconosciute alla parte vittoriosa in favore del suo avvocato, questi non diviene contraddittore necessario nel giudizio d’appello, quand’anche sia stato impugnato il capo relativo alle spese, con riferimento all’entità delle stesse, e, conseguentemente, le statuizioni oggetto della sentenza passata in giudicato non subiscono alcuna modifica”.

“In tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità”.

Le spese del grado seguono la soccombenza e devono essere distratte in favore del difensore antistatario.

Ricorrono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna M.C. a rifondere ad C.A. e ad M.A. le spese del grado che liquida in complessivi Euro 5800,00 oltre accessori e rimborso forfettario nella misura di legge, da distrarsi in favore dall’avv.to Claudio Tarchiani, dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017

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