Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29342 del 21/10/2021

Cassazione civile sez. III, 21/10/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 21/10/2021), n.29342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10904/2019 proposto da:

COMUNE MELENDUGNO, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso dall’avvocato FRANCESCO PORCARI, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avvocato AMINA L’ABBATE, in ROMA,

VIA DEI GRACCHI N. 39, pec: porcari.francesco.ordavvle.legalmail.it;

aminalabbate.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

contro

A.S.P.I.C.A. ASSUNZIONI SERVIZI PUBBLICI IMPIANTI COSTRUZIONI APPALTI

s.r.l., in liquidazione e in concordato preventivo, in persona del

liquidatore e per LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DI A.S.P.I.C.A. RL IN

LIQUIDAZIONE, AMBIENTE E SVILUPPO SOCIETA’ CONSORTILE ARL, in

persona del liquidatore giudiziale, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIACOMO MASSIMO CIULLO, ed elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA VAGLIA 11 SC B, presso lo studio dell’avvocato GIOIA

QUATTROCCHI, pec: ciullo.giacomo.coabrindisi.legalmail.it;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 259/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/06/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Ambiente e Sviluppo s.r.l. intimò, con un unico decreto ingiuntivo, al Comune di Melendugno e alla società A.S.P.I.C.A. s.r.l., incaricata della riscossione della TIA, il pagamento di alcune fatture relative al servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani presso la piattaforma di trattamento sita in località “(OMISSIS)”, assumendo la sussistenza di una responsabilità solidale degli intimati. Il Comune intimato propose opposizione, citò in via diretta sia il creditore sia la società A.S.P.I.C.A. s.r.l., assumendo la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario con quest’ultima e chiese che la società A.S.P.I.C.A. s.r.l., fosse ritenuta unica responsabile del pagamento dei corrispettivi e che la medesima fosse condannata al pagamento delle somme recate nelle fatture con obbligo di manleva nei confronti di esso Comune.

2. Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 723 del 2014, rigettò l’opposizione del Comune, dichiarò inammissibile la citazione di A.S.P.I.C.A. s.r.l. assumendo che la stessa avrebbe dovuto essere evocata in giudizio con una chiamata di terzo, dichiarò cessata la materia del contendere tra il Comune e la società Ambiente e Sviluppo s.c.a.r.l. e revocò il decreto ingiuntivo.

3. Il Comune propose appello assumendo che la concessionaria per la riscossione era stata considerata erroneamente “terza” rispetto alla vicenda in esame ma la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 259 del 2018, ha rigettato il gravame condividendo l’impostazione del primo giudice, negando la sussistenza di un litisconsorzio necessario – tra il Comune e la concessionaria – e ribadendo che la condebitrice A.S.P.I.C.A. era stata correttamente considerata un soggetto terzo con l’obbligo della sua evocazione in giudizio con una idonea chiamata di terzo, in quanto titolare di una posizione giuridica diversa rispetto a quella azionata monitoriamente.

4. Avverso la sentenza il Comune di Melendugno ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Hanno resistito la società A.S.P.I.C.A. s.r.l. in liquidazione e in Concordato Preventivo e la Liquidazione giudiziale di A.S.P.I.C.A. con controricorso.

5. Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., art. 269 c.p.c., comma 2, art. 645 c.p.c. e del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, commi 9 e art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che le posizioni giuridiche di esso Comune e della concessionaria fossero scindibili e che quest’ultima avrebbe dovuto essere evocata in giudizio con una chiamata di terzo. Ad avviso del ricorrente, in base alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 9 e art. 13, la posizione del Comune avrebbe dovuto essere considerata residuale ed alternativa rispetto alle obbligazioni di A.S.P.I.C.A. di guisa da essere tenuto responsabile solo nella ipotesi in cui la società concessionaria non avesse pagato le fatture alla creditrice.

2. Con il secondo motivo – erroneità della sentenza di secondo grado – violazione e falsa applicazione degli artt. 269,645 e 183 c.p.c. e del loro combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la domanda svolta dal Comune nei confronti della concessionaria fosse nuova rispetto a quella azionata dalla creditrice nei confronti del Comune, questione affermata dal giudice di primo grado e ritenuta assorbita dalla Corte d’Appello. Ad avviso del ricorrente il giudice del merito avrebbe erroneamente travisato la natura di litisconsorzio necessario del rapporto de quo, di guisa che la domanda nei confronti di A.S.P.I.C.A. non avrebbe potuto essere ritenuta in alcun modo nuova.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’erroneità della sentenza di secondo grado, violazione e falsa applicazione dell’art. 49, commi 9 e art. 13 del Decreto Ronchi istitutivo della TIA (tariffa di Igiene Ambientale), del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e art. 264, lett. i, anche in combinato disposto tra loro in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e disapplicazione degli artt. 1 e 6 del Contratto di Appalto n. 5681 del 23/5/2006 e dell’art. 21 C.S.A. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della convenzione 11/1/2002 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente assume che, una volta superate le questioni in rito di cui al 1 e al 2 motivo di ricorso, la causa avrebbe dovuto essere decisa nel merito con l’affermazione della responsabilità esclusiva di A.S.P.I.C.A. nella corresponsione dei corrispettivi.

1-3. I motivi sono infondati.

Nel caso in esame viene in questione la peculiare struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e la correlata declinazione del meccanismo di autorizzazione di cui all’art. 269 c.p.c., comma 2.

Correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente che intendesse chiamare in causa un terzo non potesse citarlo per la prima udienza ma dovesse chiedere al giudice, nell’atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato, determinandosi in mancanza una decadenza rilevabile d’ufficio insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione del terzo.

Nel caso in esame è ben chiaro che la valutazione della domanda di manleva proposta dal Comune di Melendugno con l’atto di opposizione comportava l’introduzione, nel processo, di una serie di questioni ulteriori rispetto al rapporto di debito/credito tra l’opponente e – l’intimante (rapporto che, peraltro, le parti hanno tra loro definito con transazione) e sotto questo profilo correttamente il giudice del merito ha qualificato la domanda di manleva come domanda “nuova”, e cioè diversa “rispetto all’oggetto del ricorso monitorio”, ovvero al rapporto creditorio tra opponente ed opposto.

La sentenza e’, sul punto, del tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti. Ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento e non potendo le parti originariamente essere altre che il soggetto istante per l’ingiunzione e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta, così che l’opponente deve necessariamente chiedere al giudice, con l’atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto” (Cass. 3, n. 4800 dell’1/3/2007; Cass., 1, n. 21101 del 19/10/2015).

Occorre peraltro segnalare che su fattispecie del tutto analoga alla presente, peraltro pronunciata tra le stesse parti, sussistono già due recenti precedenti di questa Corte, entrambi nel senso della infondatezza delle questioni sollevate. Pertanto il Collegio intende dare continuità alle richiamate pronunce (Cass., 1, n. 5132 del 2020 e Cass., 1, n. 728 del 2020) con le quali questa Corte ha affermato la natura di litisconsorzio processu lei facoltativo tra i condebitori in solido.

4. Con il quarto motivo di ricorso – erroneità della sentenza d’appello violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., art. 183, c.p.c. anche in combinato disposto tra loro in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1201 c.c. e dell’art. 1203 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la stessa non si è data carico di valutare gli effetti dell’intervenuta transazione tra le parti in forza della quale il Comune ha acquistato il diritto di surrogarsi alla Ambiente e Sviluppo nel credito vantato nei confronti della società A.S.P.I.C.A. srl. Ove il giudice del merito avesse dichiarato l’operatività della surroga ne sarebbe derivata la cessazione della materia del contendere.

5. Con il quinto motivo di ricorso – erroneità della sentenza di secondo grado – violazione e falsa applicazione degli artt. 2730,2731,2733,2735 c.c., anche in combinato disposto tra loro in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la stessa non ha accertato che la società A.S.P.I.C.A. srl aveva confessato di essere debitrice del Comune di Melendugno per le somme dedotte in causa.

4-5 Il rigetto dei primi tre motivi di ricorso comporta l’assorbimento degli ulteriori quarto e quinto, che sono stati formulati sul presupposto dell’ammissibilità della domanda proposta dal ricorrente nei confronti di A.S.P.I.C.A. srl.

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il Comune ricorrente condannato a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 1.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021

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