Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29340 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 23/12/2020), n.29340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 28619/2013 proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12;

– ricorrente-

contro

Gross 87 srl, rappresentato e difeso dagli avv.to Giuseppe Lai con

domicilio eletto in Roma via Luigi Luciani n. 1, presso lo studio

dell’avv. Daniele Manca-Bitti;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sardegna n. 67/01/13 depositata ii 24/06/2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11/02/2020 dal

Consigliere Dott. Catello Pandolfi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

Udito per la difesa erariale l’avv. Giulio Bacosi e per la società

resistente l’avv. Giuseppe Lai.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della CTR della Sardegna n. 67/01/13 depositata il 24 gennaio 2013.

La vicenda trae origine dalla notifica alla società Gross 87 s.r.l. di due avvisi di accertamento relativi, il primo, ai periodi dal 2003 al 2007, il secondo, dal 2008 al 2010.

In esito ad una verifica fiscale a carico della predetta società. L’ufficio di Cagliari aveva ritenuto che essa avesse fruito indebitamente di un credito d’imposta per investimenti produttivi in aree svantaggiate, previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8. La società aveva opposto gli avvisi innanzi alla CTP con due ricorsi, innanzi alla CTP di Cagliari che, riunitili, accoglieva la tesi della contribuente soltanto con riferimento all’anno d’imposta 2006, rigettando nel resto. La società appellava e la CTR accoglieva interamente il gravame.

L’Agenzia ricorre con un unico motivo per violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, e del D.L. 2003 del 2006, art. 7, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005.

Ha resistito la società Gross 87 srl con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La controversia deriva dalla tesi dell’Ufficio secondo cui la situazione venutasi a creare escludesse che la struttura edilizia (oggetto del beneficio) potesse configurare un “complesso unitario polifunzionale”, sola condizione legittimante il credito d’imposta, dal momento che la società aveva concesso in locazione i due immobili che lo compongono, il primo, alla società La Rinascente s.p.a. (che poi lo aveva sub-locato alla società Auchan s.p.a.), il secondo alla società Superemme s.p.a.

Giova aggiungere che, accanto al contratto di locazione con la società La Rinascente/Auchan, la Gross87 s.r.l., aveva anche stipulato un contratto di deposito per cui l’immobile veniva utilizzato per lo stoccaggio delle merci delle conduttrici, affidate alla ricorrente per la gestione logistica delle stesse. Va anche precisato che per l’altro edificio, locato alla Superemme s.p.a., la ricorrente ha invocato, per contrastare l’assunto dell’Ufficio, l’applicazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 1 bis (convertito dalla L. n. 248 del 200 secondo il quale la locazione a terzi non urta con il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7.

Tale assetto, secondo l’Amministrazione finanziaria, avrebbe, invece, “violato la norma che imponeva di utilizzare i beni agevolati quali beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo minimo di cinque anni” in quanto al fine di attribuire alla struttura la caratteristica di compendio “unitario polifunzionale” farebbe difetto la capacità di creare sinergie ed economie di scopo derivanti dall’esercizio delle singole attività nel complesso immobiliare. Condizione tratta dalla circolare dell’A.d.E. 29/E del 2007.

Ritiene la Corte che l’assunto dell’Ufficio non sia condivisibile dal momento che le fonti normative applicabili al caso di specie orientano diversamente.

Infatti il D.L. n. 203, art. 7, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005, di interpretazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, ha chiarito che quando tale ultimo articolo vieta, sanzionando la violazione con la rideterminazione del credito d’imposta, di destinare i beni (oggetto del beneficio) a strutture produttive diverse da quella che hanno fruito dell’agevolazione, la norma è da intendere nel senso che, anche nel caso in cui gli immobili, costituenti strutturalmente un complesso unitario polifunzionale, siano locati a terzi, non si considerano destinati a strutture produttive diverse, purchè vengano, o continuino ad essere, utilizzati per lo svolgimento di attività d’impresa ai sensi dell’art. 55 TUIR.

Tali, quindi, le sole condizioni che la norma esige per scongiurare la conseguenza della perdita del beneficio.

Ne discende che non contrasta con la disciplina in esame, la circostanza che la locazione del complesso sia totale o parziale e/o intervenga con più locatori, nè impone che le attività produttive, che questi debbono svolgervi, siano la stessa di quella svolta dal locatore/beneficiario.

Nel caso in esame il complesso in parola costituisce strutturalmente un’unità polifunzionale e lo stesso Ufficio esclude tale connotato non per ragioni strutturali, ma solo perchè, a causa della locazione dei due corpi che lo compongono, esso per ciò stesso sarebbe divenuto destinato a struttura produttiva diversa (ricorso pag. 5 capo 4). Ma è proprio tale conclusione che il D.L. n. 203 del 2005, richiamato art. 7, comma 1-bis, esclude, posto che nel caso in esame gli immobili sono comunque destinati ad attività d’impresa. La norma d’interpretazione ha avuto lo scopo di fugare “letture” restrittive del campo d’applicazione del beneficio, in coerenza con la finalità perseguita dal legislatore di stimolare, con la leva fiscale del credito d’imposta, attività produttive così da fungere da volano per la creazione di opportunità di lavoro in un territorio che ne era carente.

Peraltro, nel caso in esame, è ravvisabile, nella situazione data, anche un effetto sinergico – che l’Ufficio, ritenendolo necessario, aveva ritenuto mancante – tra le attività svolte nel complesso immobiliare. La struttura, infatti, ha funto, come è pacifico, da base logistica, gestita dalla ricorrente, per le due società locatarie, entrambe operanti nel settore della grande distribuzione, assicurando loro un servizio necessario per depositare e irradiare le merci verso gli esercizi della zona.

Nella decisione impugnata non si ravvisa pertanto la rilevata violazione.

Il ricorso va rigettato, con condanna alle spese conseguente alla soccombenza. Non sussistono i presupposti per la condanna dell’Amministrazione al versamento del c.d. doppio contributo in forza della giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che “Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo” (Sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778).

La decisione richiamata riflette il “principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte e tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di sè stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge” (SS.UU., 8/5/2014, n. 9938).

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la soccombente al pagamento delle spese del giudizio pari ad Euro 15.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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