Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29340 del 21/10/2021

Cassazione civile sez. III, 21/10/2021, (ud. 25/05/2021, dep. 21/10/2021), n.29340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.A.M., (codice fiscale (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Marco Lanzilao, del Foro di Roma, presso il cui studio

e’ elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38.

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12.

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli n. 6393/2019, pubblicato

il 9/9/2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9 marzo 2021

dal Presidente Dott. Giacomo Travaglino.

La Corte:

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor M., nato in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli, che lo ha rigettato con decreto reso in data 9 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, non comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese, oltre che per le assai precarie condizioni economiche, perché gravemente minacciato dalla famiglia della promessa sposa, contrari al matrimonio;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto estremamente generico con riferimento al presunto dissidio con la famiglia della ragazza di cui era innamorato, del tutto non circostanziato in relazione al rischio (ritenuto insussistente) di subire trattamenti inumani e degradanti, privo dei necessari elementi di riscontro in relazione alle vicende narrate, attenendo le dichiarazioni rese in commissione a ragioni esclusivamente economiche – senza che lo stesso ricorrente, pur avendone avuto modo, avesse allegato alcuna circostanza in relazione al presunto rischio di rimpatrio, essendosi sottratto senza giustificato motivo al libero interrogatorio fissato dal giudice all’udienza di comparizione; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 5 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per mancato rispetto dell’art. 35 bis, commi 8 e segg. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).

Il motivo, che lamenta l’omessa audizione del ricorrente da parte del Tribunale, è infondato in fatto (essendosi il ricorrente volontariamente sottratto all’audizione) e in diritto, alla luce dei principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35, commi 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore, ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).

Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria una nuova audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, venendo, piuttosto, esposti soltanto i principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale.

2. Col secondo motivo, si lamenta l’omesso/errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5);

Il motivo, che lamenta l’errata valutazione della credibilità del richiedente asilo da parte del Tribunale, non può essere accolto, sia pur con le precisazioni che seguono.

2.1. Non erra il difensore nell’evidenziare in premessa (f. 8 del ricorso) come il giudice della protezione internazionale “debba onerarsi di un ruolo attivo nell’istruzione della domanda di protezione, prescindendo del tutto dal principio dispositivo del giudizio civile e dalle relative preclusioni e, di contro, debba fondarlo sulla possibilità sulla possibilità di acquisizione officiosa di informazioni e documentazione necessari” (viene richiamato, in proposito, il dictum di cui a Cass. ss.uu. 27310/2008), specificando ancora (f. 7) che “se è corretto analizzare tutti gli elementi richiesti dalla legge per l’analisi sia soggettiva che oggettiva del richiedente e della sua situazione, è pur vero che essi non devono necessariamente essere tutti compresenti”.

2.1.1. Erra, di converso, la stessa difesa, sia pur soltanto in parte qua (e cioè con riferimento alla relazione tra la valutazione di credibilità del richiedente asilo e il dovere di cooperazione istruttoria, mentre diverso discorso va svolto in relazione alla protezione umanitaria, cui pure è fatto cenno nel corpo del motivo in esame al folio 7) quando sostiene che “il richiamo alla generale situazione del paese di rimpatrio operato dallo stesso dato normativo citato dal giudice sconfessa la tesi secondo cui non sarebbe meritevole di protezione il ricorrente che non avesse (ancora) subito minacce o torture o danni, perché è proprio questa generale situazione che deve essere indagata d’ufficio”.

2.2. Tali, non inopinate osservazioni critiche, rivolte, su di un piano generale, al decreto oggi impugnato impongono alcune brevi premesse di metodo.

2.3. La valutazione di credibilità del richiedente asilo è tema processuale assai delicato, perché pone, in parte qua, la questione del significato e del contenuto dell’attribuzione, al giudice civile, di peculiari compiti istruttori (sintagma diverso “dall’obbligo di cooperazione istruttoria”), come fondatamente evidenzia la difesa di parte ricorrente.

2.3.1. Dal composito quadro normativo dettato in subiecta materia, così come dalla sua stessa specificità, emerge la oggettiva complessità del tema della prova, cui si collega quello – altrettanto incerto in seno allo stesso diritto processuale civile ordinario – dell’allegazione dei fatti.

2.3.2. L’indiscutibile rilevanza riconosciuta dal legislatore, interno e sovranazionale, alle condizioni emotive, culturali, materiali, fisiche e psicologiche in cui versa il richiedente asilo, ed alle conseguenti difficoltà di offrire le prove richieste, ha dischiuso ampi spazi all’iniziativa officiosa del giudice, disegnando un plesso extra ordinem di regole probatorie di cui farsi interprete in un processo retto pur sempre dal principio della domanda – ed in cui il monopolio dell’allegazione dei fatti è comunque rimesso alle parti – così che i poteri istruttori del giudice devono muoversi all’interno del (pur ampio) confine tracciato dai fatti allegati.

2.3.3. L’essenza (e la centralità) probatoria del procedimento di protezione internazionale e’, comunque, rappresentata dall’audizione del richiedente asilo che, tecnicamente, ha natura di vera e propria testimonianza della parte, sul presupposto che tutti i fatti dedotti in giudizio siano noti soltanto all’istante, e che (in assenza di prove diverse dalla dichiarazione rappresentativa di quei fatti), la narrazione non possa essere declinata in termini di irrilevanza processuale all’esito di una valutazione non conforme agli speciali criteri legislativamente predeterminati.

2.3.3.1. Questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 8819/2019) come lo sguardo dell’interprete andrebbe volto, mutatis mutandis, oltre che alle regole proprie del processo civile, alla stessa ragion d’essere ed alla filosofia che permeano il processo penale, teso all’accertamento della verità, per quanto possibile, anche ad opera dell’organo d’accusa, in ossequio ad un elementare principio di civiltà giuridica: e tanto è a dirsi quantomeno in relazione a vicende in cui le dichiarazione della parte appaiono l’unica possibile fonte di prova (si pensi ai reati di violenza sessuale perseguiti in seno al processo penale ordinario sulla base delle sole dichiarazioni della parte lesa, cui non appare impredicabile un’ideale equiparazione della condizione del richiedente asilo, a sua volta parte lesa di violenze in vario modo inflittegli dalla sua stessa storia e dalle sue stesse condizioni originarie di vita).

2.3.4. Se nel processo civile “ordinario” è discussa la stessa funzione probatoria dell’interrogatorio libero delle parti – momento di chiarificazione dei fatti di causa e – sia pure una dimensione di minor condivisione – strumento di conoscenza di quei fatti (secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni rese dalla parte nell’interrogatorio libero di cui all’art. 117 c.p.c., pur non essendo un mezzo di prova, possono essere fonte anche unica del convincimento del giudice di merito), l’utilizzazione del “sapere” della parte nella formazione del convincimento del giudice che ascolta e'” di converso, momento centrale dell’istruttoria nel sistema della protezione internazionale.

2.3.5. Sotto il profilo della prova, i principi di cui all’art. 2967 c.c., operano secondo un meccanismo che, diversamente da altre tipologie di processo civile (compresi quelli cd. “a modello istruttorio acquisitivo”, caratterizzati dall’iniziativa istruttoria del giudice), annette alla testimonianza della parte un’efficacia probatoria diversa da quella tradizionalmente riservata alle dichiarazioni rese in seno all’interrogatorio libero, e non si limita ad ampliare le ipotesi in cui sono previsti poteri officiosi di assunzione dei mezzi di prova.

2.4. Integra, pertanto, gli estremi dell’errore di diritto, come tale censurabile in sede di legittimità, tanto una motivazione meramente “di stile” (come quella predicativa, sic et simpliciter, di una pretesa “non credibilità o scarsa verosimiglianza delle allegazioni”, apoditticamente ritenute “contraddittorie, intrinsecamente illogiche, non sufficientemente circostanziate”, se non addirittura “non supportate da riscontri ulteriori, anche di tipo documentale”) quanto una valutazione del contenuto delle dichiarazioni che si sostanzi nella sua acritica scomposizione e nel sistematico frazionamento dei suoi singoli frammenti narrativi, volto alla ricerca delle altrettanto singole ed eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione stessa, mentre il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio (stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione – caratteristica del processo civile ordinario – di oggettivo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte inter pares.

2.4.1. Funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve ritenersi quella – peraltro, del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria – di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di tali diritti fondamentali della persona risulta funzionale – al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale – alla complessiva sintesi, qualitativamente e quantitativamente accurata, delle informazioni raccolte, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, andranno opportunamente valutate in una dimensione di senso e di significato complessivamente inteso (quae singula non possunt, collecta iuvant), secondo un criterio di unitarietà argomentativa e non di sistematico frazionamento, logico e sintattico, della narrazione, come confermato dal disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), a mente del quale, nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente “e’, in generale, attendibile”.

2.4.2. Se, considerato isolatamente, ogni frammento dichiarativo può non essere ritenuto sufficiente a pervenire ad un giudizio complessivo di credibilità (ma idoneo a fondare un acritico giudizio di non credibilità), è l’insieme intrinseco delle connessioni logico-espositive delle dichiarazioni a formare oggetto di valutazione, che deve risultare complessiva, e non parcellizata e/o relativizzata rispetto ad ogni singolo episodio esaminato ex se in modo del tutto avulso dalla complessa trama narrativa oggetto di esame e di giudizio all’esito di un fenomeno di precomprensione in negativo dei fatti. E, nella valutazione della complessiva credibilità del racconto del richiedente asilo, ove, rispetto ad alcuni dettagli, residuino all’organo giudicante dubbi in parte qua, può trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio (contra, non condivisibilmente, Cass. n. 16028 del 2019, in aperto – e forse inconsapevole – contrasto con quanto più volte affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova: “stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto” così, CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50; CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53; CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59).

2.5. Alla luce di tali principi, osserva il collegio che le critiche mosse al decreto impugnato con il motivo in esame, pur corrette nelle loro premesse metodologiche, non colgono poi nel segno sotto il profilo fattuale nel caso di specie.

2.5.1. La motivazione adottata dal Tribunale, difatti, si conforma a tutti i principi sinora indicati, volta che l’intero plesso narrativo viene criticamente valutato e correttamente scomposto e poi ricomposto nei suoi due differenti aspetti, correttamente colti dal giudicante, delle ragioni prettamente economiche dell’espatrio (ritenute, nella specie, verosimili) e della fuga per asseriti motivi di persecuzione prematrimoniale (giudicate, di converso, motivatamente non credibili), con la conseguenza che la doglianza circa la mancata attivazione dei poteri officiosi, in relazione alla situazione personale del richiedente asilo (e cioè in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ovvero di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b)) non ha giuridico fondamento, potendo quei doveri legittimamente attivarsi solo in presenza di dichiarazioni credibili, dalle quali emergano le condizioni e i presupposti per il riconoscimento delle invocate forma di protezione.

2.6. Diverso discorso va svolto, di converso, con riferimento alla protezione sussidiaria di cui alla lett. c) del ricordato D.Lgs. ed alla protezione umanitaria, come meglio si dirà nel corso dell’esame dei restanti motivi di ricorso.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e art. 10 Cost. – la contraddittorietà tra le fonti citate, il loro contenuto e le conclusioni raggiunte – la motivazione solo apparente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il motivo è infondato.

3.1. Lamenta la difesa del ricorrente la non corretta consultazione e valutazione delle fonti informative utilizzate, per essersi il giudice di merito “limitato a citare tali fonti valutandole senza ancorarle al loro effettivo contenuto”.

3.1.1. Allega, nel corpo del motivo in esame, un Report di Amnesty International del 2017 ove si legge (f. 11) che la condotta del governo in risposta all’attivismo di gruppi armati “era stata caratterizzata da violazione dei diritti umani, compresi arresti arbitrari, sparizioni forzate, uccisioni illegali, tortura e altri maltrattamenti, mentre il diritto alla libertà di espressione è stato ulteriormente limitato”, lamentando l’assoluta contraddittorietà tra la fonte citata e le relative conclusioni cui è giunto il Tribunale.

3.2. La motivazione del decreto impugnato, contrariamene a quanto opinato dalla difesa del ricorrente, risulta del tutto conforme a diritto, da un canto, per avere il Tribunale acquisito e consultato in ossequio ai principi più volte affermati da questa Corte (per tutte, Cass. 8819/2019) nell’esercizio dei suoi obblighi di cooperazione istruttoria al di la ed a prescindere dalla valutazione di credibilità del ricorrente – in relazione alla domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), più di una fonte, tra cui il Report (più aggiornato rispetto a quello allegato dal ricorrente) Human Rights Wacth del 2018, e quello EASO del dicembre 2017, per trarne poi la conclusione (a seguito di una valutazione non censurabile in sede di legittimità, poiché correttamente motivata) che le evidenti e gravissime criticità emergenti da tali Report non assurgevano ai (pur necessari, ai fini in esame) livelli di violenza indiscriminata in seno ad un conflitto armato interno.

4. Con il quarto e quinto motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,6,14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I motivi possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione.

4.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:

La violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, che avrebbe altresì trascurato il valore delle circostanze di fatto all’uopo richiamate specificamente in ricorso “non tanto con riferimento alle condizioni soggettive di vulnerabilità quanto alla verifica del livello di tutela o, ai contrario, di violazione dei diritti umani nel Paese di origine” (ff. 16-18 del ricorso), allegando, all’uopo, numerose COI dell’anno 2019 (ff. 20-21) da cui emergerebbero sistematiche violazioni dei diritti umani;

La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra la situazione del Paese di origine, con specifico riguardo alla mancata tutela dei diritti umani fondamentali, ed il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo, “che aveva sempre lavorato in Italia sin dal suo arrivo, nel 2016 (come peraltro riconosciuto dallo stesso tribunale), mostrando l’effettività del suo inserimento sociale e personale, oltre che lavorativo” (f. 24).

Il motivo è manifestamente fondato.

4.2. Il decreto impugnato non si conforma, in parte qua, ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) una valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana (norma che, come è noto, fu oggetto di un intenso dibattito in Assemblea costituente, ed il cui contenuto immediatamente precettivo, nonostante il contrario avviso di una retriva e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, fu immediatamente rilevato dalla dottrina maggioritaria e definitivamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle sezioni unite del 26 maggio 1997, n. 4674).

4.2.1. Di qui, il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo – un diritto perfetto, pertanto, in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione. Pur vero che, da questa Corte, è stato ripetutamente affermato il principio (fra le altre, Cass. 4/8/2016 n. 16362) secondo cui il diritto di asilo riconosciuto dall’art. 10 Cost., risulterebbe interamente attuato e regolato attraverso le tre forme di protezione previste dall’ordinamento vigente (rifugio, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) – con la conseguenza che, al di fuori della “esaustiva normativa” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto dell’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione” (Cass. 26/6/2012 n. 10686) è vero altresì che tale indirizzo (non da tutti condiviso) deve pur sempre confrontarsi con la norma costituzionale (e con le norme sovranazionali), di rango superiore in sede di interpretazione della legge ordinaria, escludendone l’applicabilità tutte le volte che tale interpretazione si ponga in conflitto con la norma gerarchicamente sovraordinata.

4.3. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza (e della comparazione) degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta parzialmente credibile, ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata, come nella specie. A tal fine, tale giudizio comparativo deve volgersi altresì alla compiuta disamina anche della condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata, oltre che da ragioni d’instabilità politica od altro, altresì di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento essenziale, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi (Cass. n. 12418/2021; n. 16119 del 2020; n. 18443 del 2020);

4.4. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula, pertanto – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto diritti fondamentali della persona, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra dare esplicitamente atto, nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere la sola esistenza di un conflitto armato.

4.5. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente anche soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

4.6. La motivazione non risulta, pertanto, conforme a diritto, sul piano comparatistico, anche in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente al f. 24 dell’odierno atto di impugnazione, che rammenta come sia stata sostanzialmente trascurata, nella specie, la pur determinante valutazione dell’attività lavorativa costantemente svolta dallo straniero sin dal 2016.

5. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nella nuova valutazione della domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare una valutazione comparativa della situazione oggettiva (oltre che eventualmente soggettiva) del richiedente con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione di quei diritti, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, rilevando a tal fine, in modo pregnante, proprio l’attività lavorativa ivi svolta (in tal senso, di recente, Cass. ss.uu. n. 24413 del 2021).

PQM

La Corte accoglie il quarto e quinto motivo del ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia il procedimento al Tribunale di Napoli, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021

 

 

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