Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29339 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 28/12/2011), n.29339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.A. (C.F.: (OMISSIS)), T.

D. (C.F.: (OMISSIS)), TR.Al.

(C.F.: (OMISSIS)), in qualità di eredi di T.

M., tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avv. Gommini Rodolfo ed elettivamente

domiciliati presso il suo studio, in Roma, alla v. D. Millelire, n.

7;

– ricorrenti –

contro

C.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso dall’Avv. Sinopoli Vincenzo in virtù di procura speciale a

margine del controricorso ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio, in Roma, viale Angelico, n. 38;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

2033 del 2009, depositata il 4 maggio 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Rodolfo Gommini, per i ricorrenti, e Vincenzo

Sinopoli, per il controricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato l’8 maggio 1990 il sig. C. M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il sig. T.M. al fine di sentir accertare l’autenticità delle firme apposte sul preliminare di vendita concluso tra le parti il 7 luglio 1990 con conseguente dichiarazione di avvenuto trasferimento della proprietà dei beni di cui alla stessa scrittura.

Nella costituzione del convenuto (che proponeva, a sua volta, domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno), il Tribunale adito, con sentenza n. 25623 del 2003, respingeva sia la domanda principale che quella riconvenzionale. Interposto appello da parte del C., nella resistenza degli appellati T.A., T. D. e Tr.Al., quali eredi di T. M. (che, a loro volta, proponevano appello incidentale), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2033 del 2009 (depositata il 4 maggio 2009), in accoglimento del gravame principale, trasferiva a C.M. la proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS), iscritto nel NCEU al foglio 3, particella 258, partita 7198, in uno alla porzione di terreno annessa, subordinando il disposto trasferimento al pagamento, da parte dello stesso C. in favore degli appellati, della somma di Euro 10.329,13, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale, con ordine al competente Conservatore di procedere alla trascrizione dell’emessa sentenza e dichiarazione di integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la citata sentenza di secondo grado (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione (notificato il 22 giugno 2010 e depositato l’8 luglio successivo) T.A., D. ed Al., articolato in due motivi, in ordine al quale si è costituito in questa fase, con controricorso, l’intimato C. M.. Entrambi i difensori hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa un fatto decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione alla valorizzazione del presupposto, da ritenersi errato, della commerciabilità dell’immobile in quanto sanato.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 189 e 190 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento al ritenuto riconoscimento dell’autenticità della firma apposta dal T. M. e al dichiarato trasferimento dell’immobile in presenza di una domanda riferita ad un contratto preliminare di vendita anzichè ad un contratto definitivo.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ad entrambi i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 4 maggio 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che i ricorrenti si siano attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, riferito al richiamato vizio di motivazione, dopo la diffusa esposizione della doglianza, non si evince alcuna appropriata sintesi dello stesso vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione della sentenza impugnata sia contraddittoria, così come difetta la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta deficienza motivazionale si dovrebbe considerare inidonea a supportare la decisione (non potendo certamente qualificarsi congrua allo scopo, dopo lo sviluppo delle argomentazioni critiche, la seguente affermazione: “aver interpretato in maniera palesemente erronea le risultanze peritali, da parte della Corte territoriale, ne scaturisce una motivazione contraddittoria circa un fatto controverso decisivo per il giudizio”, risolvendosi la stessa, peraltro del tutto generica e priva di correlazione con la fattispecie specifica esaminata dalla Corte di appello, in una mera asserzione tautologica della sussistenza del vizio denunciato); – con riguardo al secondo motivo, riferito alla riportata violazione di legge, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione delle richiamate norme (artt. 189 e 190 c.p.c.), la cui formulazione – tale da contenere un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto della doglianza – avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009). In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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