Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29337 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 28/12/2011), n.29337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Q.P. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti

Antonucci Arturo e Gregoria Maria Failla ed elettivamente domiciliato

presso il loro studio, in Roma, corso Trieste, n. 87;

– ricorrente –

contro

C.I. (C.F.: (OMISSIS)); C.R.

(C.F.: (OMISSIS)); C.F. (C.F.:

(OMISSIS)); C.E. (C.F.: (OMISSIS)),

tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Pontoriero Pasquale e

Giuseppe Di Fabio in virtù di procura speciale a margine del

controricorso ed elettivamente domiciliati presso lo studio del

primo, in Roma, v. A. Baiamonti, n. 10;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

1092 del 2009, depositata l’11 marzo 2009 (e notificata il 18 maggio

2009);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 30 giugno 1997 i sigg. F., I., R. ed C.E. convenivano dinanzi al Tribunale di Frosinone il sig. Q.P. per sentir dichiarare essi attori proprietari della corte comune annessa al fabbricato sito in (OMISSIS) in cat 138/152 (già particelle n. 211/A e n. 211/B, foglio 41) e, per l’effetto, condannare il suddetto convenuto alla rimozione immediata ed a sue spese delle opere dallo stesso illegittimamente realizzate oltre alla condanna per il risarcimento dei danni conseguenti all’abusiva occupazione del predetto immobile. Nella costituzione del Q., il Tribunale adito accoglieva la domanda proposta e condannava il convenuto al pagamento delle spese giudiziali.

Interposto appello da parte del Q. e nella resistenza degli appellati (che, a loro volta, proponevano appello incidentale), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1092 del 2009 (depositata l’11 marzo 2009), rigettava il gravame principale ed accoglieva quello incidentale, condannando il Q. a corrispondere sull’indennizzo già liquidato in complessivi Euro 1910,89 la rivalutazione e gli interessi dalle singole scadenze al saldo, confermando nel resto l’impugnata sentenza e condannando l’appellante principale alla rifusione delle spese del grado.

Avverso la citata sentenza di secondo grado (notificata il 18 maggio 2009) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 15 luglio 2009 e depositato il 4 agosto successivo) il Q., articolato in tre motivi, in ordine al quale si sono costituiti in questa fase, con un unico controricorso, tutti e quattro gli intimati C..

I difensori del ricorrente hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, per la supposta mancata applicazione del principio “iura novit curia”, congiuntamente al vizio di omessa o insufficiente motivazione in ordine alle censure sul punto contenute nell’atto di appello.

Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato l’omessa pronuncia e l’omessa motivazione circa il rigetto delle richieste istruttorie.

Con il terzo motivo il Q. ha prospettato il vizio di omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti e tre i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata l’11 marzo 2009, rimanendo irrilevante, in proposito, diversamente da quanto dedotto nella memoria ex art. 378 c.p.c. dalla difesa del ricorrente, il momento della proposizione del ricorso per cassazione: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366- bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c, all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria -ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, riferito alla violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1 e a vizio di motivazione, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione di legge, la cui formulazione avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e per chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), così come non si evince alcuna sintesi dello stesso vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia omessa e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale dovrebbe ritenersi inidonea a supportare la decisione;

– con riguardo al secondo motivo (oltretutto non supportato nemmeno dal requisito dell’autosufficienza, non essendo riportato il testo delle richieste probatorie sulle quali la Corte territoriale non avrebbe deciso) – inerente, in modo essenzialmente generico, a un vizio di omessa pronuncia ed omessa motivazione in ordine al rigetto delle istanze istruttorie formulate dallo stesso Q. – non risulta indicato alcuno specifico quesito di diritto e non emerge alcuna sintesi del prospettato vizio motivazionale, mancando la chiara evidenziazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sia carente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini necessariamente specifici, per le quali la dedotta insufficienza motivazionale dovrebbe considerare inidonea a supportare la decisione (non potendo certamente essere conferente allo scopo il riferimento alla circostanza che “appariva evidente l’illogicità e l’erroneità della sentenza sul punto. Che nessuna motivazione fornisce circa il rigetto (implicito) delle censure avanzate in appello”);

– in ordine al terzo motivo, concernente – in modo altrettanto generico – il supposto vizio di omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia, al di là della circostanza che, nel contesto della doglianza, non viene posto alcuno specifico riferimento alle disposizioni normative effettivamente assunte come violate (così incorrendosi nell’inosservanza anche dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), difetta qualsiasi specifica enucleazione, in modo strutturalmente e funzionalmente autonoma, del quesito di diritto in modo tale da evidenziare un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto del motivo e correlato, in modo specifico, al punto della decisione impugnata.

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore dei controricorrenti in via fra loro solidale.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti in via fra loro solidale, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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