Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29337 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. II, 14/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 14/11/2018), n.29337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9608-2014 proposto da:

A.U.E., C.G., rappresentati e difesi

dall’avvocato CLAUDIO MAZZOLENI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO

23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE BRUYERE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1719/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 16/9/2009, A.U.E. e C.M.G. convenivano in giudizio il Condominio sito in (OMISSIS), chiedendo accertarsi e dichiararsi con sentenza costitutiva il loro diritto a sopraelevare e destinare la porzione di sottotetto di loro proprietà esclusiva – costituita dai subalterni 31 e 32-secondo le modalità e finalità dichiarate nella DIA 3.10.2008 e nell’allegato progetto edificatorio dell’Ing. N., nonchè la condanna del Condominio al risarcimento di non meglio determinati danni, asseritamente derivanti dal diniego di assenso al suddetto intervento edilizio da parte del Condominio stesso.

Si costituiva ritualmente in giudizio il Condominio, contestando integralmente la domanda attorea e proponendo domanda riconvenzionale volta a far dichiarare l’insussistenza del diritto vantato dagli attori.

Precisate le rispettive conclusioni, il Tribunale di Torino con la sentenza n. 997/12 dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dagli attori, e, dall’altro lato accertava il diritto dei medesimi ad eseguire gli interventi edilizi oggetto del giudizio, rigettava la speculare domanda riconvenzionale di accertamento negativo proposta dal Condominio, compensava interamente tra le parti le spese di lite.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Condominio (OMISSIS), ritenendola giuridicamente errata in ragione della normativa regolamentare.

Gli appellati, nel costituirsi nel grado, proponevano appello incidentale sulla disposta compensazione delle spese.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1719 del 2013, accoglieva l’appello rigettando la domanda proposta dalle parti appellate e condannava le parti appellate al pagamento delle spese dell’intero giudizio. Secondo la Corte di Appello di Torino, ai sensi della normativa regolamentare, la sopraelevazione che consentiva l’immutazione dell’utilizzo del sottotetto era solamente quella consistente nella edificazione di un sesto piano completo, che nulla ha a che vedere con una semplice trasformazione del sottotetto attuale mediante il recupero dello stesso. Precisava, altresì, che era chiara la strumentale qualificazione del reale recupero del sottotetto ai fini abitativi come fittizia sopraelevazione, al fine di eludere le clausole convenzionali del regolamento; e che, quella oggetto di causa, non era una sopraelevazione contrattualmente prevista, trattandosi di una utilizzazione, diversa rispetto a quella sua propria, del sottotetto, vietata dalla clausola contrattuale di cui all’art. 1, comma 3 del Regolamento condominiale.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da A.U. e C.G. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria. Il Condominio (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con l’unico motivo di ricorso A.U. e C.G. lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. ed, in generale, dei principi e criteri di ermeneutica contrattuale e conseguente nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, nel sostenere che quella (l’opera di trasformazione del sottotetto) oggetto di causa non era una sopraelevazione contrattualmente prevista: a) avrebbe assegnato al sottotetto una funzione: di camera d’aria interposta tra il tetto e la prima soletta dell’edificio condominiale, che non è prevista, nè espressa nelle clausole regolamentari; b) avrebbe, erroneamente, ritenuto che l’obbligo imposto ai sopraelevatori di rifacimento della copertura e di innalzare le canne fumarie fosse riferibile alla realizzazione di un nuovo tetto non tenendo conto, invece, che, comunque, il prolungamento delle canne fumarie sarebbe coerente, anche con l’innalzamento di una falda del tetto per raggiungere le altezze abitabili; c) avrebbe, arbitrariamente, ritenuto che il “(…) il regolamento configura come sopraelevazione solamente l’edificazione di un ulteriore piano il sesto appunto, completo al di sopra dei cinque esistenti. Solo in tal modo si spiegano gli obblighi sia id rifacimento del tetto inesistente in diversa ipotesi, che di prolungamento delle canne fumarie (…)”; d) nell’interpretare il Regolamento condominiale, la Corte non avrebbe tenuto conto neppure di ciò che si pratica, generalmente, nel luogo in cui il contratto è stato concluso perchè avrebbe appreso che sarebbe diffusissimo in Piemonte ed a Torino la creazione di mansarde nei sottotetti ed il fatto che il legislatore regionale abbia accolto anche tale uso e tale tendenza; e) non avrebbe tenuto conto che il condominio aveva già manifestato una volontà di adesione all’utilizzabilità abitativa del sottotetto.

E, comunque al di là di queste precedenti osservazioni, i ricorrenti lamentano il fatto che la Corte non abbia spiegato perchè l’innalzamento di una delle falde del tetto non fosse sufficiente a definire come vera e propria sopraelevazione il progetto degli attori.

1.1.= Il motivo è infondato.

Va qui osservato che l’attività dell’interprete finalizzata a determinare una realtà storica ed obiettiva quale è la volontà delle parti è una tipica attività di accertamento, in fatto istituzionalmente riservata al Giudice del merito e censurabile in cassazione solo e nell’ipotesi in cui il Giudice del merito abbia violato un canone o i canoni interpretativi di cui all’art. 1362 cod. civ., oppure abbia applicato in modo scorretto quei canoni, così come emergerebbe da una motivazione della sentenza illogica e/o incomprensibile. Ed ancora, è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248).

1.2.= Ora nel caso in esame la Corte distrettuale ha operato correttamente e, soprattutto, ha ricercato il significato delle clausole regolamentari richiamate, seguendo i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. La Corte distrettuale, in particolare, non si è limitata a richiamare la normativa regolamentare ma ha, esattamente, indicato le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi che il “(…) sottotetto è, e resta, di proprietà dell’avente diritto, il quale potrà solamente demolirlo e sostituirlo con un piano in sopraelevazione, mantenendolo diversamente, nell’utilizzazione suddetta sin tanto che quel diritto componente del suo diritto di proprietà non eserciti (…..)”. Infatti, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire che “(….) la clausola sub 3 regola il diritto di sopraelevazione, specificando che correlato all’esercizio di tal diritto è l’obbligo di rifacimento del tetto e di prolungamento degli impianti tecnologici dell’edificio, in modo tale da mantenerli al di sopra del nuovo tetto. Il significato di tale seconda clausola contrattuale è chiaro: il regolamento configura come sopraelevazione solamente l’edificazione di un ulteriore piano – il sesto, appunto – completo, al di sopra dei cinque esistenti. Solo in tal modo, si spiegano gli obblighi sia di rifacimento del tetto, inesistente in diversa ipotesi, che di prolungamento di canne fumarie etc. Se per “sopraelevazione” il regolamento avesse inteso la semplice trasformazione del sottotetto in unità abitativa abitabile, ad altezza in-variata, non avrebbe chiaramente disposto l’obbligo contrattuale suddetto a carico del soggetto esercitante il suo diritto di sopraelevazione (….)”.

1.3.= Non solo, ma la Corte distrettuale ha avuto, anche, cura di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che le osservazioni degli appellati, in buona sostanza, riprodotte anche in questa sede di legittimità, non fossero condivisibili, dedicando puntuali riflessioni contenute nella pagg. 16-20 della sentenza che si danno per acquisite razionalmente condivisibili.

1.4.= La verità è che a fronte delle valutazioni della Corte distrettuale gli attuali ricorrenti contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito, non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le proprie aspettative e convinzioni.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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