Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29336 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. II, 14/11/2018, (ud. 25/05/2018, dep. 14/11/2018), n.29336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27624-2014 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VESALIO 22,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DI LORENZO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO ROMA;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

AMERICO VESPUCCI 16, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MILONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELE Di NOI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 565/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ROMA Angelo, difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il signor P.A. ricorre avverso la sentenza della corte d’appello di Lecce n. 565 del 11.07.2014 che, confermando la sentenza del tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, ha accolto la domanda dalla signora T.E. di risoluzione per inadempimento dell’atto di donazione con cui essa attrice aveva trasferito in favore del sig. P. la nuda proprietà dei suoi beni, con l’onere in capo al donatario di prestarle assistenza fisica e morale, vita natural durante.

Nel corso del giudizio d’appello, in seguito al decesso della signora T., il signor M.F. si è costituito in qualità di erede testamentario della stessa.

La corte salentina ha rigettato l’appello del signor P., argomentando che correttamente il tribunale aveva posto a carico del medesimo l’onere di provare l’adempimento del modus e che tale onere non era stato da lui assolto; si legge in proposito nell’impugnata sentenza: (il signor P.) “non solo non ha dimostrato di aver adempiuto tale obbligazione nelle forme e nei modi previsti in contratto, ma non ha neppure provato le ragioni che potevano giustificare tale mancata e/o inesatta prestazione” (pagg. 5, in fine, e 6, in principio). Il ricorso si articola in sei motivi.

Il signor M.F. ha depositato controricorso.

La causa è stata discussa nell’udienza del 25 maggio 2018, per la quale non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla contro ricorrente sul rilievo della mancanza della procura ad litem sulla copia notificata del ricorso e, conseguentemente, dell’ incertezza sulla anteriorità del rilascio di tale procura rispetto alla notifica del ricorso. E’ sufficiente al riguardo rilevare che l’anteriorità del rilascio della procura rispetto alla notifica del ricorso si desume dall’annotazione, sottoscritta dal difensore del ricorrente, avvocato Angelo Roma, “si notifichi con urgenza”, apposta sulla prima pagina dell’originale del ricorso, in calce alla procura ad litem (cfr. Cass. 1981/18Cass. 7286/18).

Il ricorso, ancorchè ammissibile, va tuttavia giudicato infondato, per le ragioni di seguito esposte.

Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione delll’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1. Secondo il ricorrente, la motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe inesistente o apparente, risultando priva delle indicazioni dei fatti rilevanti per la decisione e risolvendosi in una mera adesione, non meglio giustificata, alla ricostruzione dei fatti di causa operata dal primo giudice.

Il motivo va giudicato infondato perchè la motivazione della sentenza gravata consente di ricostruire le ragioni della decisione, esplicitate nell’inosservanza dell’onere, che la corte territoriale ha ritenuto gravante sull’odierno ricorrente, di provare l’adempimento del modus apposto alla donazione da lui ricevuta. Tali ragioni possono essere criticate sotto il profilo del vizio di violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) oppure sotto il profilo del vizio di omesso esame di fatti decisivi che abbiano formato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), ma non può ritenersi che la loro esposizione non sia sufficiente a soddisfare il “minimo costituzionale” della motivazione della sentenza (cfr. Cass. SSUU 8053/14); donde l’infondatezza del primo mezzo di ricorso.

Col secondo motivo di ricorso si denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la corte di appello, nell’affermare la risoluzione del contratto, omesso di valutare gli elementi di segno contrario indicati dall’istante e, conseguentemente, dato per provato l’inadempimento della P.” (pag. 21 del ricorso). In sostanza il ricorrente si duole dell’apprezzamento operato dalla corte distrettuale in ordine alla coerenza e convergenza delle risultanze dell’istruttore testimoniale.

Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 “per omessa valutazione della prova documentale offerta” e, in particolare, per l’omesso esame della documentazione, già prodotta in primo grado, comprovante tutti gli oneri economici sopportati per l’assistenza alla signora T..

Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente perchè, entrambi, propongono sostanzialmente doglianze di merito, chiedendo alla Corte di cassazione di sostituirsi al giudice territoriale nell’apprezzamento delle risultanze istruttorie. Al riguardo è appena il caso di ricordare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione non è consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Col quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ragionamento motivazionale sviluppato dalla corte territoriale sarebbe, secondo il ricorrente, contraddittorio sotto un duplice profilo. Da un lato (p. 9.4.a del ricorso), la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria perchè, dopo aver premesso che il giudice civile può utilizzare atti e documenti del giudizio penale, ha valorizzato, facendo proprie le conclusioni del primo giudice, le dichiarazioni rese dalla teste M. alla polizia giudiziaria, e confluite in un verbale di sommarie informazioni testimoniali, in tal modo equiparando queste ultime, ancorchè raccolte senza le garanzie del processo, alle prove acquisite nel giudizio penale. D’altro lato (p. 9.4.b del ricorso), la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria perchè, dopo aver affermato che, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni rese dei testi escussi, non poteva ritenersi raggiunta la prova nè dell’inadempimento, nè dell’adempimento del signor P. al modus previsto nell’atto di donazione, ha poi ritenuto accertata la gravità dell’inadempimento del medesimo signor P. ai fini della risoluzione della donazione modale.

Il motivo va rigettato. Premesso che, dopo la riforma del testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il vizio di contraddittorietà della motivazione non è più deducibile come mezzo di ricorso per cassazione (vedi Cass. n. 23940/17: “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia”) il Collegio osserva che, al di là di qualche opacità terminologica, l’impugnata sentenza ha semplicemente preso atto del mancato adempimento, da parte del P., dell’onere, su di lui gravante, di dimostrare di aver adempiuto al modus.

Quanto alle valorizzazione delle sommarie informazioni testimoniali rese dalla teste M. alla polizia giudiziaria, rispetto alle dichiarazioni, parzialmente difformi, rese dalla medesima teste davanti al giudice penale, è sufficiente considerare che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. n. 16499/09).

Col quinto motivo, articolato in duplice censura, il ricorrente lamenta, sub a), la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 113 c.p.c., comma 1, dell’art. 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la corte avrebbe omesso di utilizzare il criterio soggettivo del comportamento delle parti nel valutare la gravità dell’inadempimento; sub b), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 793 c.c., comma 2, nonchè dell’art. 113 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata.

Con la censura sub a) il ricorrente lamenta che la corte territoriale avrebbe errato nel non considerare il comportamento delle parti nell’esecuzione della prestazione, e, in particolare, il comportamento della sig.ra T., la quale, si argomenta nel mezzo di ricorso, per i primi due anni (vale a dire, in sostanza, fino al momento in cui decise l’interruzione del rapporto) sarebbe stata soddisfatta del livello di cure assicurato dal P., personalmente e a mezzo di incaricati, senza formulare lamentele o maggiori richieste; l’inadempimento del modus, seppure sussistente, non si sarebbe quindi potuto considerare grave.

Con la censura sub b) il ricorrente sostiene che nelle obbligazione di facere, come quella di cui si discute, l’onere di provare la misura della prestazione dovuta dal donatario incombe sul creditore e tale onere non sarebbe stato assolto dalla sig.ra T..

Il motivo non può trovare accoglimento.

Quanto alla censura sub a), è sufficiente considerare che essa si fonda su una circostanza di fatto – non essersi la sig.ra T. lamentata, per i primi due anni di rapporto, del livello di assistenza fornitole dal sig. P. (oltre che sulla ulteriore circostanza di fatto, implicita nel ragionamento del ricorrente, che il livello di assistenza garantito dal P. sia rimasto costante nel tempo) – che non emerge dalla sentenza gravata, che non può formare oggetto di accertamento in sede di legittimità ed il cui mancato accertamento in sede di merito non è censurabile nel giudizio di cassazione sotto il profilo del vizio, qui dedotto dal ricorrente, di violazione o falsa applicazione di legge.

Quanto alla censura sub b), è sufficiente considerare che la corte distrettuale non ha fatto applicazione – esplicita o implicita – di alcuna regola di diritto contrastante con il principio che la prova della misura della prestazione dovuta dal donatario a titolo di modus grava sul donante, ma ha ritenuto con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di cassazione sotto il profilo del vizio, qui dedotto dal ricorrente, di violazione o falsa applicazione di legge – che l’onere probatorio della sig.ra T. risultasse soddisfatto mediante la produzione dell’atto di donazione, là dove esso fa riferimento a “ogni assistenza e cura anche in caso di malattia, giorno e notte, provvedendo al suo sostentamento con somministrazione del vitto, alla sua pulizia, al suo vestiario, alle cure mediche, ai medicinali, all’alloggio…” (così lo stralcio dell’atto di donazione riprodotto a pag. 7, terzultimo capoverso, della sentenza gravata).

Col sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sulle spese del sub procedimento cautelare introdotto dalla sig.ra T. per il sequestro giudiziale dei beni donati, negato dalla medesima corte con pronuncia di rigetto confermata anche in sede di reclamo.

Il motivo va rigettato, non ricorrendo la dedotta omissione di pronuncia; la corte territoriale si è infatti pronunciata implicitamente sulle spese del sub procedimento cautelare, ricomprendendo le stesse in quelle complessive della lite, come fatto palese dall’espresso richiamo che si legge nell’ultimo capoverso di pag. 8 della sentenza gravata, al principio che l’individuazione della parte soccombente va operata alla stregua dell’esito complessivo della lite.

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza, con declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater da parte del ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.800, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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