Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29335 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. II, 14/11/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 14/11/2018), n.29335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25194-2014 proposto da:

G.M.A., P.C., elettivamente domiciliati

in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 34, presso lo studio

dell’avvocato RODOLFO ANTONIO FRANCO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti e controricorrenti al ric. incidentale –

contro

C.R., elettivamente domiciliata ROMA, VIA POMPEO TROGO 21,

presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CASANOVA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MASSIMO BON;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

e contro

P.M.A., C.R., R.V., G.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3588/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per accoglimento 1^ motivo

assorbiti i restanti motivi del ricorso principale; inammissibilità

1-2, rigetto dei restanti motivi del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Ettore TRAVARELLI, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RODOLFO Franco, difensore dei ricorrenti, che si

riporta agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 3588/2014 la corte d’appello di Roma, adita dai signori G.M.A. e P.C. (attori in primo grado) per la riforma della sentenza n. 19/2008 del tribunale di Viterbo, si pronunciava sulle azioni di impugnativa negoziale che gli appellanti avevano proposto nei confronti di P.M.A. (ex coniuge della prima e padre del secondo) e di C.R. (seconda moglie di P.M.A.), aventi ad oggetto due contratti ai rogiti notar I. con i quali P.M.A. aveva venduto a C.R., in data 8 febbraio 1996, la nuda proprietà (riservando a se stesso l’usufrutto) di un immobile denominato “(OMISSIS)” e, in data 19 aprile 1996, la nuda proprietà (sempre riservando a se stesso l’usufrutto) di altri tre immobili, nonchè la piena proprietà di un ulteriore immobile.

La corte capitolina, per quanto qui ancora interessa, rigettava (confermando sul punto la sentenza di primo grado) la domanda di declaratoria di nullità di tali contratti e accoglieva (riformando sul punto la sentenza di primo grado) la domanda di declaratoria della simulazione dei medesimi, limitando, tuttavia, la portata di tale declaratoria (e di quella, conseguente, di inefficacia dei contratti) nei confronti del solo P.C.. A tale ultimo proposito il giudice di secondo grado rilevava che la domanda di simulazione avanzata da G.M.A. risultava preclusa dal giudicato formatosi sulla sentenza della corte di appello di Roma n. 4481/2009 con cui la simulazione di detti contratti era stata accertata negativamente nell’ambito del giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione forzata (di crediti verso P.M.A.) sugli immobili che dei medesimi formavano oggetto; giudizio di opposizione instaurato da C.R. ed al quale anche G.M.A. aveva partecipato, in qualità di creditore.

Quanto alla statuizione di rigetto della domanda di nullità dei suddetti contratti, la sentenza gravata disattende l’assunto degli appellanti secondo cui i medesimi dovrebbero giudicarsi nulli perchè gli immobili che ne formavano oggetto erano inalienabili, in quanto insistevano su terreni gravati da uso civico in favore della Università agraria di (OMISSIS); al riguardo la corte distrettuale sviluppa tre distinte considerazioni:

a) per quanto riguarda il contratto datato 8 febbraio 1996, riprende il rilievo del primo giudice secondo cui la nullità di tale contratto aveva formato oggetto di accertamento negativo nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 631/1999 del tribunale di Viterbo, cosicchè il giudicato calato su tale sentenza spiegherebbe effetto preclusivo dell’esame della domanda di declaratoria di nullità di G.M.A., che aveva partecipato al giudizio definito con detta sentenza (pag. 4, penultimo cpv, della sentenza qui gravata);

b) per entrambi i contratti, assume che la nullità concernente l’inalienabilità dei beni che formano oggetto sarebbe solo relativa e, pertanto, potrebbe essere fatta valere solo dall’ente preposto alla loro tutela e non da terzi (pag. 5, terzo cpv, e 6, secondo cpv, della sentenza qui gravata);

c) sempre per entrambi i contratti, argomenta che gli effetti dell’affrancazione degli immobili dal vincolo di uso civico (intervenuta dopo la stipula degli impugnati contratti) retroagirebbero alla data della relativa domanda (anteriore a detta stipula), con conseguente sanatoria della nullità contrattuale derivante dall’incommerciabilità dei beni compravenduti (pag. 6, secondo cpv, della sentenza qui gravata).

Quanto alla statuizione di accoglimento, nei confronti del solo P.C., della domanda di simulazione, la corte distrettuale ha ritenuto raggiunta la prova presuntiva della simulazione, sulla scorta delle seguenti risultanze:

a) il legame affettivo tra P.M.A. e C.R. (nella sentenza si sottolinea come la stipula dei contratti impugnati risalga ad epoca compresa tra la rottura del matrimonio tra G.M.A. e P.M.A. e le nuove nozze tra quest’ultimo e la C.);

b) la deposizione della figlia di P.M.A., S., che aveva riferito di aver appreso dal padre che gli impugnati contratti tendevano a sottrarre i beni ai creditori del medesimo;

c) la mancanza di prove certe del pagamento del prezzo.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i signori P.C. e G.M.A., sulla scorta di tre motivi.

C.R. ha depositato controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale al quale P.C. e G.M.A. hanno resistito con controricorso a ricorso incidentale.

P.M.A., R.V. e G.C. – gli ultimi due intervenuti in primo grado come creditori tanto di P.M.A. quanto di G.M.A. – non hanno spiegato attività difensive in questa sede.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 21 novembre 2017 e, in quella sede, è stata rimessa in pubblica udienza in ragione “della particolare rilevanza della questione di diritto concernente la possibilità o meno di fare valere la nullità degli atti posti in essere in violazione del divieto di cessione tra privati di beni soggetti ad uso civico successivamente all’avvenuto positivo completamento della procedura di legittimazione L. 16 giugno 1927, n. 1766, ex art. 9”. La causa è stata quindi discussa nella udienza dell’8 maggio 2018, per la quale non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti – sottolineato che originariamente (e ancora nel 1996) i terreni de quibus non erano allodiali, ma rientravano nel demanio civico (e P.M.A. ne era livellario), in quanto gravati di uso civico in favore della Università agraria di (OMISSIS) – denunciano l’erronea o falsa applicazione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 9 in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando la domanda di nullità dei contratti del febbraio e dell’aprile 1996 con cui il suddetto P.M.A. aveva venduto a C.R. la nuda proprietà (e, per un immobile, la piena proprietà) dei fabbricati ivi insistenti, nonostante la incommerciabilità dei medesimi; incommerciabilità derivante appunto, si argomenta nel motivo di ricorso, dalla natura demaniale dei terreni su cui detti immobili sorgevano.

Al riguardo i ricorrenti sottolineano come, in relazione a tali terreni, soltanto nel 2000, con la Det. Regione Lazio 3 ottobre 2000, n. 1027, era stato perfezionato il procedimento di legittimazione L. n. 1766 del 1927, ex art. 9 e R.D. n. 332 del 1928, artt. 25 e 26 necessario per rimuoverne la natura demaniale (e, quindi, renderli commerciabili) e solo nel 2001 era stato concluso il procedimento di affrancazione (necessario per liberarli dal canone enfiteutico imposto ai sensi della L. n. 1766 del 1927, art. 10); donde la loro incommerciabilità, nel 1996, e la conseguente nullità degli impugnati contratti.

Sulla scorta di tali premesse i ricorrenti assumono che la corte d’appello avrebbe erroneamente confuso il procedimento di affrancazione con quello di legittimazione, giudicando validi gli impugnati contratti di trasferimento in quanto risalenti ad epoca (1996) successiva a quella (1990) di presentazione della domanda di affrancazione dei terreni ove gli immobili ceduti insistevano.

Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1346 e 1421 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in cui la corte capitolina sarebbe incorsa ritenendo, per un verso, che gli atti di compravendita tra il P. e la C. fossero validi, pur essendo anteriori al perfezionamento della procedura di legittimazione, e, per altro verso, che, comunque, la legittimazione a dolersi della violazione dei diritti di uso civico competesse esclusivamente all’ente preposto alla loro tutela.

Col terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 1766 del 1927, art. 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa qualificando la nullità negoziale conseguente al divieto stabilito con tale disposizione (alla cui stregua “prima dell’affrancazione le unità suddette non potranno essere divise, alienate, cedute per qualsiasi titolo”) come nullità relativa, che solo l’ente preposto alla tutela dei diritti civici sarebbe legittimato far valere.

I tre mezzi del ricorso principale sono suscettibili di trattazione unitaria, perchè essi svolgono sostanzialmente una medesima doglianza, concernente la mancata declaratoria di nullità dei contratti impugnati per impossibilità (sub specie di incommerciabilità) dell’oggetto, declinata sotto tre diverse prospettive, rispettivamente concernenti:

1) l’errore nella mancata distinzione tra la procedura di affrancazione e la procedura di legittimazione dell’occupazione dei beni rientranti nel demanio civico di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 9;

2) l’errore nel mancato rilievo dell’anteriorità dei contratti dedotti in giudizio rispetto al momento di perfezionamento della procedura di legittimazione;

3) l’errore nella ritenuta natura relativa della nullità dei suddetti contratti e, conseguentemente, nel riconoscimento della legittimazione a far valere tale nullità alla sola pubblica amministrazione preposta alla tutela dei diritti civici.

Prima di esaminare detta doglianza va però preliminarmente rilevato che i ricorrenti principali non hanno impugnato la statuizione della sentenza gravata che ha giudicato preclusa a G.M.A. la domanda di nullità della compravendita dell’8.2.96 (trascritta il 5.3.96), sul rilievo che costei, avendo partecipato al giudizio definito con la sentenza del tribunale di Viterbo n. 631/99, soggiace al giudicato calato sulla statuizione, contenuta in tale sentenza, che la nullità dell’atto di compravendita dell’8 febbraio 1996 può essere fatta valere solo dalla pubblica amministrazione.

Il ricorso per cassazione va pertanto dichiarato inammissibile, limitatamente alla posizione di G.M.A., nella parte in cui attinge la statuizione di rigetto della domanda di nullità del contratto dell’8 febbraio 1996, essendo la stessa G.M.A. priva di interesse a tale impugnazione, non avendo impugnato la statuizione della sentenza di primo grado che aveva escluso la sua legittimazione a far valere la nullità di detto contratto.

Il ricorso va quindi esaminato, quanto alla posizione di G.M.A., con esclusivo riferimento alle censure mosse alla statuizione di rigetto della domanda di nullità del contratto del 19 aprile 1996, e, quanto alla posizione di P.C., con riferimento alle censure mosse al rigetto della domanda di nullità di entrambi i contratti dedotti in giudizio, dell’8 febbraio e del 19 aprile 1996.

Nei limiti emergenti da quanto premesso, il ricorso va giudicato fondato.

Come più volte ribadito, ancora di recente, da questa Corte (Cass. n. 19792/2011, Cass. n. 1534/2018) il regime di circolazione dei beni appartenenti al demanio civico prevede rigorose limitazioni: in particolare, è principio consolidato che l’espressa previsione dell’inalienabilità, prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o sclassificazione, connota il regime giuridico dei beni di uso civico dei caratteri propri della demanialità, sicchè detti beni sono da reputarsi inalienabili ed incommerciabili, nonchè insuscettibili di usucapione.

Conseguentemente la cessione tra privati di beni comunali (o di università o altre organizzazioni agrarie) soggetti ad uso civico è nulla (non già per illiceità bensì) per impossibilità dell’oggetto o per contrasto con norma imperativa (cfr. Cass. n. 1940/04; Cass. n. 11265/90); da tanto consegue l’erroneità di entrambi gli assunti posti dalla corte d’appello a fondamento della propria statuizione di rigetto della domanda di nullità degli atti notar I. dell’8 febbraio 1996 e del 19 aprile 1996, vale a dire l’assunto secondo cui la legittimazione all’esercizio dell’azione di nullità competerebbe solo all’ente pubblico preposto alla tutela dei diritti civici e l’assunto (per il cui esame, specialmente, la trattazione della causa è stata spostata dalla camera di consiglio alla pubblica udienza) secondo il quale gli effetti dell’affrancazione dei beni dall’uso civico retroagirebbero al momento della presentazione della relativa domanda.

Quanto al primo assunto, è sufficiente considerare che la nullità che affligge gli atti di trasferimento di beni appartenenti al demanio civico (vale a dire dei beni appartenenti alla collettività locale, ancorchè catastalmente intestati ad enti pubblici, come i comuni, in quanto enti esponenziali delle collettività locali interessate, o altre figure organizzative di appartenenza delle terre civiche, genericamente indicate nell’art. 11 dalla L. n. 1766 del 1927 come “università ed altre associazioni agrarie”) non può essere classificata come nullità relativa perchè, come chiarito nei precedenti sopra richiamati, essa discende dalla impossibilità dell’oggetto (per una espressa qualificazione di tale nullità come assoluta, peraltro, si veda Cass. 21488/12, nella cui motivazione si fa riferimento, con riguardo al fenomeno delle vendite di terreni di demanio civico, alle “rigorose conseguenze della nullità assoluta di tali vendite” vedi pag. 17, quintultimo rigo); nè alcuna disposizione di legge deroga, per tali atti, al principio che la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse, fissato dall’art. 1421 c.c..

Quanto al secondo assunto, va preliminarmente evidenziato che – poichè i terreni in questione, appartenendo alla collettività territoriale rappresentata dall’Università agraria di (OMISSIS), erano terre di uso civico – la rimozione della loro incommerciabilità presupponeva il compimento delle procedimento di legittimazione dell’occupazione di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 9; quest’ultimo procedimento, infatti, attribuisce all’occupatore la piena proprietà della terra, con il peso del canone enfiteutico, trasformando il demanio in allodio (Cass. SSUU, 1275/1991, in motivazione, e Cass. n. 8506/13), mentre l’ affrancazione tende alla liberazione del fondo dal suddetto canone di natura enfiteutico, imposto sul fondo, in esito al procedimento di legittimazione dell’occupazione, ai sensi della L. n. 1766 del 1907, art. 10.

Ciò posto, va escluso che gli effetti di trasformazione del demanio in allodio possano retroagire ad epoca anteriore alla emanazione del provvedimento di legittimazione, avendo già questa Corte chiarito (cfr. sent. n. 19792/2011) che, soltanto una volta completate le procedure volte a far perdere all’immobile la sua destinazione all’uso civico, sorge in favore del possessore (quand’anche abusivo) un diritto soggettivo di natura privatistica e i beni perdono la natura di beni assoggettati a proprietà collettiva e diventano commerciabili; prima di tale momento, l’occupante abusivo di terreno in uso civico appartenente ad un comune, o ad una università agraria, è titolare di una posizione di mero interesse legittimo, il quale assume natura e consistenza di diritto soggettivo reale, opponibile “erga omnes”, solo se e quando tale provvedimento venga emanato (vedi Cass. 5906/95, che sulla base di tale presupposto ha escluso l’occupante che abbia conseguito il provvedimento di legittimazione possa agire per il risarcimento dei danni in relazione ad eventi anteriori al momento in cui è divenuto proprietario del fondo). Erroneamente, quindi, la corte capitolina ha attribuito rilevanza, ai fini dell’accertamento della commerciabilità degli immobili de quibus, alla data di presentazione della domanda di affrancazione.

Il ricorso principale va pertanto accolto – e la sentenza gravata va cassata in relazione alla statuizione di rigetto delle domanda di nullità proposte da P.C. con riferimento ad entrambi i contratti dell’8 febbraio e de 19 aprile 1996 e da G.M.A. con riferimento al contratto del 19 aprile 1996 – in base ai seguenti principi di diritto:

la nullità che affligge gli atti di trasferimento di beni appartenenti al demanio civico (vale a dire dei beni appartenenti alla collettività, ancorchè catastalmente intestati ad enti pubblici, come i comuni, in quanto enti esponenziali delle collettività locali interessate, o altre figure organizzative di appartenenza delle terre civiche, genericamente indicate nell’art. 11 dalla L. n. 1766 del 1927 come “università ed altre associazioni agrarie”) non può essere classificata come nullità relativa perchè discende dalla impossibilità dell’oggetto; nè alcuna disposizione di legge deroga, per tali atti, al principio che la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse, fissato dall’art. 1421 c.c.;

gli effetti di trasformazione del demanio in allodio che derivano dal provvedimento di legittimazione di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 9 non retroagiscono ad epoca anteriore alla emanazione del provvedimento stesso, poichè, soltanto una volta completate le procedure volte a far perdere all’immobile la sua destinazione all’uso civico, sorge in favore del possessore (quand’anche abusivo) un diritto soggettivo di natura privatistica e i beni perdono la natura di beni assoggettati a proprietà collettiva e diventano commerciabili.

Il ricorso incidentale va giudicato assorbito in ragione dell’accoglimento del ricorso principale.

Con il ricorso incidentale, infatti, si censura, la statuizione della sentenza di appello che, in riforma la sentenza di prime cure, ha accertato la natura simulata dei contratti impugnati, dichiarandone la relativa inefficacia nei confronti di P.C..

Tale ricorso si fonda su quattro motivi, rispettivamente riferiti: il primo, alla violazione dell’art. 2729 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo sufficienti, ai fini dell’accertamento della simulazione, gli elementi di prova offerti dagli appellanti, senza tuttavia motivare circa la gravità, precisione e concordanza di tali elementi; il secondo, all’omesso esame di un fatto decisivo in cui la corte territoriale sarebbe incorsa limitandosi ad accertare l’esistenza della volontà simulatoria in capo al solo venditore P.M.A. e trascurando di verificare l’esistenza di tale volontà in capo alla compratrice C.R.; il terzo, alla violazione dell’art. 1416 c.c., comma 2, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa riconoscendo la legittimazione di P.C. alla proposizione di una domanda di simulazione in qualità di creditore del simulato alienante sulla base di una sentenza di condanna (Trib. Viterbo n. 504/1998) posteriore rispetto agli atti pregiudizievoli, in assenza di prova circa il fatto che il credito dell’attore fosse sorto prima del compimento di tali atti; il quarto, alla violazione dell’art. 1414 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa dichiarando l’inefficacia dei contratti relativamente al solo attore P.C. – nonostante che l’art. 1414 c.c., comma 1 disponga che il contratto simulato non produce effetti tra le parti – in tal modo sostanzialmente utilizzando arbitrariamente l’istituto della simulazione per raggiungere gli effetti dell’istituto della revocazione ex art. 2901 c.c..

Osserva al riguardo il Collegio che tutti i motivi del ricorso incidentale attingono la statuizione di simulazione dei contratti impugnati. Statuizione che, tuttavia, deve ritenersi caducata, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., dalla cassazione della statuizione (da cui essa è dipendente) di rigetto della domanda di nullità di tali contratti proposta dal medesimo P.C..

In definitiva si deve quindi accogliere il ricorso principale e dichiarare assorbito il ricorso incidentale, con cassazione della sentenza gravata in relazione ai motivi del ricorso principale e rinvio alla corte di appello di Roma, che si atterrà agli enunciati principi di diritto e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di G.M.A., in relazione alla impugnativa della statuizione di rigetto della domanda di nullità del contratto del 28.2.1996; accoglie il ricorso di G.M.A., in relazione alla impugnativa della statuizione di rigetto della domanda di nullità del contratto del 19.4.1996; accoglie il ricorso di P.C.; dichiara assorbito il ricorso incidentale di C.R.; cassa la sentenza gravata in relazione ai motivi del ricorso principale e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che si atterrà agli enunciati principi di diritto e regolerà le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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