Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29333 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 26/10/2010, dep. 28/12/2011), n.29333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G. (C.F.: (OMISSIS)) e F.

C. (C.F.: (OMISSIS)), nella qualità di erede di

R.F.C., rappresentati e difesi, in virtù di procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giaconia Giuseppe ed

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Rosaria

Internullo, in Roma, alfa v. Baiamonti, n. 4;

– ricorrenti –

contro

L.N.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catania n.

253 del 2009, depositata il 24 febbraio 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso, in via principale, per

l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, per il suo rigetto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato nel luglio 2002 R.G. F. e R.F.C. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Caltagirone L.N. per la declaratoria della risoluzione di un contratto preliminare di compravendita tra loro intervenuto il 18 dicembre 2000 per inadempimento del convenuto, con il contestuale riconoscimento del loro diritto a trattenere la somma versata dal L. a titolo di caparra confirmatoria. Nella contumacia del convenuto, il Tribunale adito, con sentenza n. 204 del 2004, accoglieva la proposta domanda e condannava il L. anche al pagamento delle spese processuali. Interposto appello da parte del L., nella resistenza degli appellati, la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 253 del 2009 (depositata il 24 febbraio 2009), dichiarava la nullità della sentenza impugnata, rimettendo le parti, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, dinanzi al giudice di primo grado, condannando gli appellati alla rifusione delle spese del grado.

Con ricorso (notificato il 12 aprile 2010 e depositato il 28 aprile successivo) R.G.F. e F.C. hanno impugnato per cassazione la suddetta sentenza della Corte di appello di Catanzaro (non notificata), formulando un unico complesso motivo, avverso il quale l’intimato L.N. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Con l’unico motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sul presupposto che la Corte territoriale avesse errato nell’interpretazione della norma e nella qualificazione giuridica della fattispecie e che, in ogni caso, la norma in questione fosse stata applicata in modo da giungere a conseguenze contrarie a quelle previste dalla legge. A corredo del proposto motivo i ricorrenti hanno indicato il seguente quesito di diritto: “Accerti la Corte se vie stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c. ovvero se la Corte d’Appello di Catania ha errato nella interpretazione della predetta norma e nella qualificazione giuridica della fattispecie e se, in ogni caso, la norma in questione è stata applicata in modo da giungere a conseguenze contrarie a quelle previste dalla legge”.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento al motivo proposto, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 24 febbraio 2009: cfr.

Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal N. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che i ricorrenti si siano attenuti alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c.. Infatti, con riferimento al formulato motivo implicante la deduzione della supposta violazione dell’art. 143 c.p.c., i ricorrenti, dopo aver rappresentato lo svolgimento della complessiva doglianza, hanno concluso lo sviluppo della doglianza con l’indicazione (nei termini precedentemente riportati) di un quesito assolutamente generico (risolventesi in un mero interrogativo tautologico) e, perciò, privo della necessaria specificità, la cui formulazione non risulta, quindi, certamente idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009).

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza doversi far luogo ad alcuna pronuncia delle spese del presente giudizio poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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