Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2933 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. I, 08/02/2021, (ud. 15/09/2020, dep. 08/02/2021), n.2933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.C.B., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’avv. Luigi Miagliaccio, ed elettivamente domiciliato presso il

suo studio in Napoli, piazza Cavour 139;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato nei suoi uffici

di Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, depositata il

11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1058/2018 dell’11 luglio 2018, la Corte d’appello di Salerno ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Salerno del 3 aprile 2017, con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Avverso la sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per l’erronea applicazione del principio dell’onere della prova attenuato, nonchè vizi della motivazione in relazione alla ritenuta non credibilità del richiedente, essendo stata omessa una corretta contestualizzazione delle dichiarazioni dello stesso ricorrente; 2) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), sul rilievo che il Tribunale avrebbe dovuto accertare d’ufficio la situazione del paese di origine del richiedente al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria, sotto il profilo dell’esistenza di una minaccia grave alla vita e all’incolumità; 3) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata valutazione della situazione del paese di origine e della integrazione in Italia del ricorrente.

3. L’amministrazione intimata si è costituita con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

4. La difesa del ricorrente ha depositato memoria, con la quale insiste in quanto già dedotto, con particolare riferimento al mancato esame di una memoria integrativa che l’interessato aveva presentato allo scopo di dissipare i dubbi sulla sua credibilità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti ai giudici di merito in relazione a una situazione di persecuzione e minaccia alla quale il richiedente sarebbe sottoposto nel suo paese di origine, essendo stato ingiustamente accusato di violenza sessuale, ed essendo fuggito in Gambia, dove era stato ingiustamente accusato di furto e successivamente in Libia, dove era stato torturato, perchè clandestino. Sul punto, la sentenza impugnata reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia l’assoluta inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall’interessato, del tutto priva di documentazione, di puntuali riferimenti a tempi, persone e luoghi, nonchè caratterizzata da intrinseca irragionevolezza quanto al preteso soggiorno in Gambia, in luoghi e circostanze imprecisati, nel quale la polizia avrebbe inspiegabilmente aiutato il richiedente a chiedere un lavoro; quanto, poi, all’irrilevanza del soggiorno in Libia, la Corte territoriale evidenzia correttamente che l’interessato non aveva prospettato in modo specifico di aver avuto intenzione di stabilire lì la sua nuova residenza. Nè possono rilevare in senso contrario le prospettazioni che il ricorrente afferma di avere proposto con una memoria integrativa che non sarebbe stata presa in considerazione dei giudici di merito. Infatti, dalla semplice lettura del ricorso per cassazione sul punto, emerge che tali prospettazioni non contribuivano a circostanziare la vicenda personale dell’interessato, ma semplicemente a ribadire l’esistenza di una generica condizione di pericolo nel paese di provenienza.

Le considerazioni che precedono rendono irrilevanti le censure difensive relative al mancato accertamento della situazione del paese di origine e del Gambia, dove l’interessato afferma di essersi stabilito per alcuni anni (ex plurimis, Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711). Nonostante l’inattendibilità del ricorrente renda non necessario un approfondimento ufficioso sulla situazione del paese ai fini della protezione sussidiaria, deve rilevarsi che, in ogni caso, la sentenza impugnata contiene puntuali riferimenti a documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, che esclude la configurabilità di situazioni di pericolo generalizzato.

Infine, in relazione alla protezione umanitaria, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, che – come visto – ha reputato non credibile la versione fornita dall’interessato; cosicchè non può essere ritenuto sussistente alcun pericolo di trattamenti inumani, a fronte di un percorso di integrazione in Italia che non è tale da far ritenere che l’espatrio possa presentare fattori ostativi. E la Corte ha anche verificato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine e in Gambia, giungendo ad accertare che egli non presenta comunque profili di vulnerabilità.

2. Il ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

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