Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2933 del 01/02/2022
Cassazione civile sez. trib., 01/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 01/02/2022), n.2933
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1923/18 proposto da:
Parmalat s.p.a. rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra
loro, dall’avv. Alessandro Trivoli e dall’avv. Marco Pasquali giusta
procura in atti, elettivamente dom.ti presso lo studio “Trivoli
& associati” in Roma via Marocco 18;
– ricorrente –
contro
Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso
l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3605/2016, pronunciata il 26 settembre 2016,
depositata il 12 dicembre 2016 della COMM.TRIB.REG., Emilia Romagna;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/12/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
Fatto
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1.La contribuente s.p.a. “PARMALAT”, quale assuntore nella procedura di amministrazione straordinaria della “PARMALAT NETHERLANDS BV”, propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della CTR dell’Emilia Romagna di accoglimento dell’appello proposto da detta società avverso la sentenza della CTP di Parma, che aveva respinto il ricorso della “PARMALAT NETHERLANDS BV” in a.s. avverso un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva chiesto il pagamento dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, ai sensi dell’art. 8, lett. c) della tariffa parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, sulla sentenza di opposizione promosso dalla società John Hancok Insurance Comany of Vermont, con cui il Tribunale di Parma, in sede di opposizione allo stato passivo, sciolta la riserva di produzione documentale, in precedenza emessa dal g.d. del Tribunale di Parma in ordine alla domanda di ammissione al passivo per Euro 414.528,00 della procedura di amministrazione straordinaria della “PARMALAT NETHERLANDS BV”, dato atto dell’avvenuta produzione della documentazione necessaria, aveva ammesso al passivo della procedura anzidetta il credito vantato da detta società, in seguito ad “un accordo raggiunto tra le parti”; che, secondo la CTP di Parma, la sentenza da registrare non conteneva accertamenti di diritti a contenuto patrimoniale, in quanto i provvedimenti che avevano deciso sull’esistenza dei diritti a contenuto patrimoniale erano stati i decreti del giudice delegato di ammissione con riserva al passivo dell’amministrazione straordinaria dei crediti insinuati, si che la sentenza doveva essere assoggettata all’imposta di registro in misura fissa; che, al contrario, secondo la CTR dell’Emilia Romagna, la sentenza di opposizione allo stato passivo aveva definito una fase giurisdizionale, atteso che, con essa, era stata accertata la sussistenza di diritti a contenuto patrimoniale e la precedente ammissione con riserva, fatta dal giudice delegato costituiva una sorta di prenotazione, che non esimeva i creditori dal sottoporsi al controllo del Tribunale circa la regolarità della documentazione prodotta, con conseguente legittima applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, ai sensi dell’art. 8, lett. c) della tariffa parte I allegato A al D.P.R. n. 131 del 1986.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la società Parmalat sulla base di un unico articolato motivo. Deposita memoria.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Diritto
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO
2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione art. 8, tariffa parte I lett. c) e d) allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, L. n. 267 del 1942, art. 95 nella versione applicabile ratione temporis; nonché degli artt. 3,24 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per erronea interpretazione dell’istituto fallimentare dell’ammissione al passivo con riserva di produzione documentale, di cui all’art. 98 L. Fall., nella versione anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 5 del 2006, con il quale la domanda di ammissione al passivo con riserva non è più sottoposta al vaglio del Tribunale, essendo stato lo stesso g.d. abilitato a modificare lo stato passivo con decreto, una volta verificatosi l’evento (produzione documentale), in vista del quale la domanda di insinuazione al passivo viene accolta con riserva. Assume la ricorrente che anche prima della modifica legislativa da ultimo citata, era da ritenere che il provvedimento che decideva la sussistenza di un diritto a contenuto patrimoniale era il decreto del giudice delegato che, dichiarando esecutivo lo stato passivo, presupponendo l’esistenza di un documento non potuto produrre dalla parte e dal contenuto conforme a quanto dedotto, valutava positivamente la sussistenza del credito insinuato, si che il successivo provvedimento emesso dal Tribunale a seguito d’impugnazione riguardava solo la revoca della riserva sulla base di un giudizio che aveva ad oggetto non il credito, ma l’accertamento dell’esistenza del documento e del suo contenuto.
Secondo l’assunto della società ricorrente, nel caso in esame invero il giudice delegato aveva ammesso al passivo della procedura di amministrazione straordinaria il credito vantato dalla società istante, presumendo che i documenti giustificativi sarebbero stati prodotti in seguito e quindi delibando in modo favorevole l’esistenza del credito, del quale era stata chiesta l’insinuazione al passivo; sul creditore gravava solo l’onere di proporre opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 98 L. Fall. ed esibire i documenti nel giudizio che ne sarebbe seguito, si che detta opposizione aveva solo funzione di conservare l’efficacia dell’ammissione al passivo, già fatta dal giudice delegato; pertanto la sentenza emessa dal Tribunale di Parma non aveva risolto alcuna contestazione in ordine alla quantità o qualità dei crediti, ma aveva solo disposto lo scioglimento della riserva concernente la produzione documentale; e poiché essa non aveva comportato il trasferimento, la condanna o l’accertamento di diritti a contenuto patrimoniale, doveva essere assoggettate all’imposta di registro in misura fissa.
3. La censura risulta priva di consistenza.
L’art. 8, comma 1, lett. c) della Tariffa, parte prima, allegata al TUR dispone che sono oggetto di tassazione in misura proporzionale dell’1%, tutti gli “atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti di aggiudicazione e quelli di assegnazione, anche in sede di scioglimento di comunioni, le sentenze che rendono efficaci nello Stato sentenze straniere e i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali” (…) “di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale”, mentre la successiva lett. d) prevede che siano tassati in misura fissa, pari ad Euro 200,00, tutti gli atti sopra indicati “non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale”.
Nel caso di specie l’Ufficio ha sottoposto a tassazione la decisione resa all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo del tribunale applicando l’imposta di registro in misura proporzionale (1%) prevista per la registrazione degli atti giudiziari “di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale”, che invece, ad avviso della contribuente, dovrebbe essere applicata in misura fissa, atteso che la sentenza si sarebbe limitata ad “eliminare la riserva” apposta dal giudice delegato.
Come precisa lo stesso ricorrente, l’istanza di ammissione al passivo è stata avanzata in una procedura concordataria apertasi nel 2004, e ad essa trova pertanto applicazione l’art. 95 L. Fall., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, il quale prevedeva, al comma 2, l’ammissione con riserva dei crediti condizionali e di quelli per i quali non fossero ancora stati presentati i documenti giustificativi.
In dottrina si assumeva che la questione del “significato di un’ammissione definitiva con riserva di un credito non documentato” doveva essere risolta nel senso che la “riserva di documentazione” era giustificata in quanto si precisava che si trattava di una riserva meramente processuale che “non comportava un giudizio sull’esistenza ed opponibilità del credito da parte del giudice delegato, difettando la documentazione probatoria per cui è necessaria l’opposizione per permettere una valutazione circa la prova del credito che si assume esistente”.
Occorre premettere che, nella giurisprudenza di legittimità, costituisce principio ormai consolidato quello secondo cui l’ammissione di un credito al passivo fallimentare con riserva della produzione dei documenti giustificativi non dispensa il creditore dall’onere di proporre opposizione allo stato passivo (nel testo anteriore alla recente riforma), la quale costituisce l’unico mezzo per ottenere lo scioglimento o l’eliminazione della riserva, non essendo sufficiente a tal fine il mero deposito dei documenti nella cancelleria del giudice delegato o rinvio degli stessi al curatore, successivamente all’emissione del decreto di esecutorietà dello stato passivo, poiché ciò comporterebbe l’elusione del controllo degli altri creditori e quindi dell’onere, incombente all’istante, di fornire la prova del proprio credito in contraddittorio (cfr. Cass. 268/2010; Cass. Sez. 1, 19 giugno 2008, n. 16657; 25 agosto 2004, n. 16859; 16 aprile 2003. n. 6010).
L’opposizione risulta necessaria, tuttavia, non solo quando il creditore intenda contestare la riserva apposta dal giudice, ma anche quando intenda adempiere alla stessa, mediante il deposito della documentazione integrativa richiesta, in tal senso deponendo d’altronde l’ampia formulazione dell’art. 98 L. Fall., il quale, nell’attribuire la relativa legittimazione ai creditori esclusi o ammessi con riserva, non introduce alcuna distinzione con riguardo alla causa giustificativa della riserva (Cass. n. 11143 del 04/07/2012.)
Si è altresì affermato da parte di un indirizzo giurisprudenziale che, allorquando la riserva concerne documenti giustificativi richiesti non quale integrazione di una prova, allegata ma non prodotta, ma quale requisito di proponibilità della domanda, previsto a tutela del debitore (Cass. 2 maggio 1991, n. 4786; n. 13073/2003)(ad esempio per evitare la possibilità dell’insinuazione di altri creditori in via cambiaria ovvero per assicurare al debitore l’esercizio di eventuali azioni cambiarie di regresso), il giudizio di opposizione, indipendentemente dal fatto che allo stesso si assegni natura di vera e propria impugnazione ovvero di gravame sui generis che determina l’apertura di un giudizio ordinario di primo grado a cognizione piena, può avere soltanto due possibili oggetti: l’accertamento della conformità dei titoli prodotti a quelli richiesti con la riserva, ove ad essa l’opponente presti acquiescenza, ovvero l’accertamento della legittimità della stessa riserva, ove l’opponente la contesti. Si esclude in ogni caso che l’opposizione possa avere ad oggetto la prova del credito che sarebbe già stata fornita nel corso della verificazione del passivo e già valutata positivamente dal giudice delegato. Ciò, in quanto i limiti del giudizio di opposizione sono segnati, oltre che dalla domanda di insinuazione al passivo, anche dal provvedimento del giudice delegato, del quale, come dimostra il difetto di legittimazione all’opposizione del curatore, non è possibile la reformatio in pejus (Cass. 4 giugno 1980, n. 3636).
Secondo altro orientamento di questa Corte, invece, la contestazione di un capo del provvedimento del giudice delegato apre su di esso un giudizio a cognizione piena nel quale la sussistenza del credito può essere contestata dalla procedura con eccezioni diverse da quelle accolte dal giudice delegato (Cass. 1 agosto 1996, n. 6963), ciò tuttavia presuppone che l’accertamento del credito non sia esaurito; ciò accade nel caso della ammissione con riserva della produzione, ad integrazione della prova, di documenti giustificativi allegati ma non prodotti e non anche quando la prova del credito non sia oggetto di riserva e questa riguardi soltanto la proponibilità dell’azione. In questo ultimo caso, l’accertamento del credito non è contestato dal creditore opponente, che comunque non avrebbe interesse a proporre opposizione sul punto, e non è contestabile dal curatore, privo di legittimazione all’opposizione, con la conseguenza che il giudice dell’opposizione non può portare su di esso il proprio esame.
A ben guardare, il giudizio di opposizione non è finalizzato alla sola eliminazione della riserva attraverso la produzione documentale richiesta, bensì ha la funzione di consentire l’accertamento in merito alla idoneità della produzione documentale nel rispetto del contraddittorio e di consentire al giudice delegato di escludere il credito ammesso con riserva ovvero ammetterlo solo in parte o ancora eliminare la riserva apposta al momento dell’ammissione al passivo, ponendolo sul medesimo piano degli altri crediti ammessi senza riserva. Ne deriva, pertanto, che, durante il corso della procedura fallimentare, in sede di scioglimento della riserva deve ritenersi sempre aperta ogni questione riguardante il detto credito.
L’art. 95 L. Fall. riconosce al giudice delegato, difatti, il potere di adottare il decreto di ammissione con riserva che ha natura di provvedimento cautelare atteso che, nel periodo di tempo necessario per la realizzazione della condizione, della definizione del giudizio ovvero dell’acquisizione del documento, si tutelano le ragioni del creditore tramite la previsione della formazione di “quote di accantonamento” a suo favore nell’ambito di riparti parziali e del riparto finale. Il provvedimento in esame ha l’effetto di differire la cognizione del giudice alla realizzazione dell’evento che ha imposto l’apposizione della riserva destinato ad essere sostituito, all’atto dello scioglimento della riserva stessa, da un provvedimento che costituisce il risultato dell’esercizio di un’attività di cognizione, sia pure solo “endofallimentare”, e che non sembra in alcun modo vincolato dalla precedente valutazione relativa all’ammissione del credito al passivo fallimentare con riserva.
L’ammissione con riserva opera dunque esclusivamente come una sorta di prenotazione, in vista degli accantonamenti da disporre nell’ambito di eventuali ripartizioni parziali dell’attivo realizzato, a favore del creditore che non disponga del titolo giustificativo del credito, ma ritenga poterselo procurare nel corso della procedura; essa non esclude tuttavia l’esigenza del controllo da parte del giudice in ordine alla regolarità della documentazione prodotta ed alla sua idoneità a fornire la prova del credito insinuato al passivo, controllo che deve necessariamente svolgersi in contraddittorio tra le parti, in ossequio al principio concorsuale cui è improntata l’intera disciplina del fallimento ed alla natura giurisdizionale comunemente riconosciuta al procedimento di verifica dei crediti. L’ammissione con riserva non permette dunque al creditore di sottrarsi a tale controllo mediante la semplice produzione della documentazione richiesta, ma rende possibile la prosecuzione del procedimento di verifica anche dopo l’emissione del decreto di cui all’art. 97, comma 1, L. Fall., attraverso la proposizione dell’opposizione, la quale tiene in vita il rapporto processuale d’insinuazione, consentendone la conclusione nonostante l’emissione del predetto decreto. Laddove il creditore abbia chiesto l’ammissione al passivo puramente e semplicemente ed il giudice delegato abbia disposto l’ammissione con riserva, si verifica una situazione di soccombenza, che legittima il creditore ad impugnare immediatamente il provvedimento, trattandosi, ai sensi dell’art. 98, comma 2, L. Fall., di un’ipotesi di accoglimento soltanto parziale della domanda. In particolare, l’opposizione al passivo deve ritenersi ammissibile a beneficio dei creditori ammessi con riserva, ove, all’esito di un raffronto tra il tenore letterale della domanda di insinuazione presentata e il tenore formale della corrispondente decisione giudiziale, esista un divario – fra l’aspirazione del creditore a un quid pluris, costituito dall’ammissione immediata e incondizionata del suo credito allo stato passivo, e il provvedimento di ammissione con riserva adottato – da apprezzarsi in termini di soccombenza.
Al riguardo, la sentenza n. 177/2017 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. c), della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto non trova applicazione al caso di specie, nel quale si controverte solo sulla misura dell’imposta applicata in relazione alla natura della sentenza che definisce l’opposizione allo stato passivo.
Ne consegue che, in tema di imposta di registro, la sentenza che, a seguito di giudizio di opposizione, ammette al passivo di un fallimento un credito in precedenza ammesso “con riserva”, deve essere assoggettata alla imposta proporzionale di registro dell’uno per cento, prevista dall’art. 8, lett. c), della Tariffa, Parte Prima, Allegato A) al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto si tratta di pronuncia emessa in esito ad un giudizio contenzioso di cognizione, che contiene l’accertamento, nei confronti della procedura fallimentare, dell’esistenza e dell’efficacia del credito, con l’effetto di consentire al contribuente la partecipazione al concorso, con possibile soddisfazione in sede di riparto; ciò perché l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa alle sentenze con cui viene disposto il pagamento di corrispettivi, ovvero di prestazioni soggette ad IVA, opera soltanto in relazione agli specifici atti indicati nella nota II, in calce all’art. 8, Parte Prima, della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, con conseguente applicazione dell’imposta in misura proporzionale alle sentenze di mero accertamento e, per quanto qui d’interesse, a quelle con cui il credito viene ammesso al passivo della procedura concorsuale (Cass. n. 4748/2006; n. 6125/2011; n. 14816/2011, n. 31409/2018).
L’eliminazione della riserva ha dunque effetti immediati e diretti sul credito vantato, atteso che l’opposizione prevista dall’art. 98 L. Fall. è il rimedio che la legge attribuisce al creditore escluso o ammesso con riserva per veder modificata la sua domanda di ammissione, esclusa in tutto o in parte dal giudice delegato.
dell’accertamento operato dal giudice dell’opposizione.
Non risultano pertinenti i richiami giurisprudenziali operati dalla ricorrente, laddove questa corte ha stabilito che “la sentenza che, in accoglimento dell’opposizione allo stato passivo, riconosca la natura privilegiata di un credito fatto valere nella procedura fallimentare, e già ammesso in via chirografaria dal giudice delegato, è soggetta ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. d), della parte I della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131”, atteso che essa incide esclusivamente sul profilo qualitativo del credito, determinando un mutamento della sua posizione nel concorso, in quanto l’ammontare ed il titolo, che rappresentano gli unici aspetti rilevanti ai fini dell’imposta in esame, risultano già determinati per effetto del decreto di ammissione (Cass., 18 Settembre 2013, n. 21310; Cass. 5 Giugno 2013, n. 14146). Le sentenze della Suprema Corte dianzi citate hanno dunque stabilito che l’imposta proporzionale di registro (di cui all’art. 8, citata lett. c)) si applichi esclusivamente ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria ricognitivi di crediti e non ai provvedimenti che nulla aggiungono, in quel caso esaminato, rispetto al credito precedentemente accertato.
Negli stessi termini, recentemente questa Corte, nel ribadire che l’imposta di registro è imposta d’atto, ha affermato che essa va applicata in relazione all’atto che viene presentato per la registrazione, di talché nel caso al suo esame, ove oggetto di imposta era la sentenza che aveva accertato la diversa natura del credito già ammesso al passivo, non poteva essere pretesa l’imposta in misura proporzionale sul presupposto della asserita mancata registrazione di un atto affatto diverso, ovvero il decreto di ammissione allo stato passivo che e’, esso si, assoggettabile ad imposta di registro proporzionale (Cass. n. 29383/2020).
Sennonché, nel caso in esame non è dato conoscere la ragione della riserva apposta dal giudice delegato; tuttavia la ricorrente ha precisato che la sentenza si è conclusa a seguito di accordo, il quale non sarebbe stato necessario se il giudizio avesse avuto ad oggetto la mera integrazione documentale e non anche la prova del credito, con la conseguenza della legittimità dell’accertamento operato dal giudice dell’opposizione in merito all’an debeatur.
Nella presente fattispecie, al contrario dei precedenti relativi all’accertamento della qualità del credito ammesso con riserva, non si tratta di valutare il profilo qualitativo del credito già ammesso, ma di valutare l’assolvimento dell’onere probatorio e l’accertamento della rilevanza dei documenti prodotti in relazione alla esistenza ed alla quantità del credito.
Il ricorso va dunque respinto.
In considerazione della novità della questione e del mancato consolidamento giurisprudenziale in epoca antecedente alla proposizione del ricorso, sussistono i presupposti per compensare le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Corte di cassazione, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022