Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29329 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Lubiana Salvatore ed elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Domenico Ioppolo, in Roma, alla v. Ottaviano, n. 32

-int. 13;

– ricorrente –

contro

D’.RO. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso dall’Avv. Allegrini Fausto in virtù di procura speciale in

calce al controricorso ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Francesco Mainetti, in Roma, piazza G. Mazzini, n. 27;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro

n. 459 del 2009, depositata il 12 giugno 2009 (e notificata il 12

gennaio 2010);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Francesco Mainetti, per delega, nell’interesse del

controricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione dell’8 febbraio 2001 il sig. D. G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia – sez. dist. di Tropea il sig. D’.Ro. al fine di sentir dichiarare lo scioglimento della comunione relativa ad una cappella funeraria con l’attribuzione della parte a lui spettante; nella costituzione del convenuto, il Tribunale adito accoglieva la proposta domanda e compensava tra le parti le spese processuali. Interposto appello da parte del D’.Ro., nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 459 del 2009 (depositata il 12 giugno 2009), in accoglimento del gravame ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava l’indivisibilità della cappella gentilizia di proprietà dei due germani, lo scioglimento della comunione per effetto dell’attribuzione della cappella stessa al D’.Ro., subordinando l’effetto traslativo della proprietà in capo al medesimo alla corresponsione della somma di Euro 11.648,40, oltre interessi; compensava integralmente tra le parti le spese del doppio grado, ponendo a carico del D.G. gli oneri di c.t.u. di primo e secondo grado.

Avverso la citata sentenza di secondo grado (notificata il 12 gennaio 2010) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 12 marzo 2010 e depositato il 27 marzo successivo) D.G., articolato in sette motivi, in ordine al quale si è costituito in questa fase, con controricorso, l’intimato D’.Ro., il cui difensore ha depositato anche memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza per inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 330 c.p.c., D.P.R. n. 37 del 1934, art. 82 e agli artt. 82 e 170 c.p.c..

Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 342 c.p.c., all’art. 163 c.p.c., comma 5, e all’art. 347 c.p.c..

Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 167 c.p.c., comma 2.

Con il quarto motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per nullità della stessa con violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 345 c.p.c..

Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 201 c.p.c. e all’art. 115 c.p.c..

Con il sesto motivo il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1111, 1112 e 1114 c.c., oltre che in ordine all’art. 720 c.c..

Con il settimo ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 824 c.p.c. e al D.P.R. n. 285 del 1990, art. 90.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’alt 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 12 giugno 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi de ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, relativo alla supposta nullità della sentenza per violazione dell’art. 330 c.p.c., del D.P.R. n. 37 del 1934, art. 82 e artt. 82 e 170 c.p.c., dopo lo svolgimento della doglianza, difetta qualsiasi specifica enucleazione, in modo strutturalmente e funzionalmente autonoma, del quesito di diritto in modo tale da evidenziare un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto del motivo e correlato, in modo preciso, al punto della decisione impugnata;

– in ordine al secondo motivo, inerente la supposta violazione dell’art. 342 c.p.c., dell’art. 163 c.p.c., comma 5, e dell’art. 347 c.p.c., manca ugualmente l’evidenziazione di un apposito, specifico ed autonomo quesito di diritto idoneo ad assolvere la funzione precedentemente puntualizzata;

– anche con riguardo al terzo motivo, riferito alla riportata violazione dell’art. 167 c.p.c., comma 2, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla suddetta violazione di legge, la cui formulazione – tale da contenere un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto della doglianza – avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009);

– anche in relazione al quarto motivo, rapportato alla supposta violazione dell’art. 345 c.p.c., è omessa qualsiasi specificazione di un quesito di diritto da illustrare nei termini reiteratamente chiariti;

– anche con riferimento al quinto motivo, con il quale risulta prospetta la supposta violazione degli artt. 201 e 115 c.p.c., manca l’indicazione di un apposito quesito di diritto;

– anche in ordine al sesto motivo, quanto al richiamato vizio di motivazione, dopo la diffusa esposizione della doglianza, non si evince alcuna appropriata sintesi dello stesso vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione della sentenza impugnata sia contraddittoria, così come difetta la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta deficienza motivazionale si dovrebbe ritenere inidonea a supportare la decisione; anche con riguardo alla supposta violazione di legge ricondotta agli artt. 1111, 1112, 1114 c.c. e art. 720 c.c., risulta omessa qualsiasi puntuale enunciazione del necessario quesito di diritto, da proporsi nei termini precedentemente indicati; – anche con riferimento all’ultimo motivo, relativo alla supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 824 c.c. e D.P.R. n. 285 del 1990, art. 90 manca l’indicazione u dell’indispensabile quesito di diritto imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c. (come detto, “ratione temporis” applicabile).

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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