Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29328 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.L. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dagli

Avv.ti Barsacchi Lucia e Romolo Cipriani ed elettivamente domiciliato

presso lo studio del secondo, in Roma, alla piazza Camerino, n. 15;

– ricorrente –

contro

LUIGI BENDINELLI & C. S.A.S., in persona del legale

rappresentante

pro-tempore (PI.: (OMISSIS));

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Pisa n. 554 del

2009, depositata il 30 aprile 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

e, comunque, per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 1 giugno 2006 la s.a.s. Luigi Bendinelli & C. proponeva appello, dinanzi al Tribunale di Pisa, avverso la sentenza n. 725 del 2006 del Giudice di pace della stessa città nei confronti del sig. S.L., con la quale era stata accolta l’eccezione di applicabilità della prescrizione presuntiva ex art. 2955 c.c., comma 5, malgrado il diritto al pagamento del prezzo non attenesse ad un bene di limitato valore e generalizzato consumo e il pagamento fosse stato differito ad epoca successiva all’installazione del macchinario venduto. Nella costituzione dell’appellato, il suddetto Tribunale, con sentenza n. 554 del 2009 (depositata il 30 aprile 2009) accoglieva il gravame e, dichiarata l’inapplicabilità della richiamata prescrizione presuntiva, condannava il S. al pagamento della somma di Euro 960,00, a titolo di corrispettivo e rimborso spese per la vendita dedotta in giudizio, oltre interessi e rivalutazione, congiuntamente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la citata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato l’11 marzo 2010 e depositato il 22 marzo successivo), il S.L. articolato in tre motivi, in ordine al quale l’intimata società non ha svolto attività difensiva in questa fase.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2955 c.c., n. 5, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo alla ritenuta applicabilità dell’istituto della prescrizione presuntiva solo limitatamente ai casi nei quali l’esigenza dell’acquirente si manifesti quotidianamente e possa soddisfarsi con acquisti reiterati in breve lasso di tempo. Con il secondo motivo il S. ha denunciato la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2736 c.c., nonchè l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo al mancato conferimento di alcuna rilevanza alla prova del giuramento decisorio, ritualmente espletata nel corso della fase istruttoria. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in virtù dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 246 c.p.c., non avendo il giudice di appello ravvisato l’incapacità a testimoniare del teste G. B., nella supposta sussistenza degli inerenti presupposti.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti e tre i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 30 aprile 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010). Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che il ricorrente si sia attenuto alla previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo, quanto al richiamato vizio di motivazione, dopo la diffusa esposizione della doglianza, non si evince alcuna appropriata sintesi dello stesso vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione della sentenza impugnata sia contraddittoria, così come difetta la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici ed in modo autonomo, per le quali la supposta deficienza motivazionale si dovrebbe ritenere inidonea a supportare la decisione; anche con riguardo alla supposta violazione di legge ricondotta all’ari. 2955 c.c., n. 5 risulta omessa la specifica enunciazione del necessario quesito di diritto, da proporsi nei termini precedentemente richiamati;

– pure con riguardo al complesso secondo motivo, riferito alla riportata violazione di legge, non risulta inserita alcuna indicazione, in modo appropriato ed autonomo, di un quesito di diritto riferibile alla supposta violazione della richiamata norma (art. 2736 c.c.), la cui formulazione – tale da contenere un riferimento riassuntivo relativo all’oggetto della doglianza – avrebbe dovuto assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009);

analogamente, con riferimento al dedotto vizio motivazionale, difetta qualsiasi enucleazione, nei termini antecedentemente evidenziati, della chiara, univoca ed autonoma indicazione del fatto controverso in relazione al quale il ragionamento logico del giudicante sarebbe stato carente, così come non si evince l’evidenziazione delle specifiche ragioni poste a fondamento della critica rivolta al percorso motivazionale della sentenza impugnata;

– anche in ordine al terzo ed ultimo motivo, riferito alla supposta violazione o falsa applicazione dell’art. 246 c.c., all’esito del suo svolgimento non si evidenzia alcun quesito di diritto idoneo a svolgere la funzione già delineata e ad esso conferita dall’art. 366 bis c.p.c., “ratione temporis” applicabile.

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza che si debba far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase in virtù della mancata costituzione della società intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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