Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29328 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 729/2017 proposto da:

B.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Andreoli Paolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Plastici Rinforzati S.n.c. in Liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1308/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata il 15/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 15 luglio 2016, la Corte d’appello di Bologna ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Modena il 18 aprile 2011, con la quale è stata dichiarata inammissibile la domanda di B.A., volta a proporre l’impugnazione ex art. 2311 c.c. del bilancio finale di liquidazione della Plastici Rinforzati s.n.c., in quanto qualificato dall’opponente come ricorso di volontaria giurisdizione e privo, altresì, dei requisiti minimi di forma e contenuto di un atto di citazione.

Avverso questa sentenza propone ricorso la parte soccombente, affidato a cinque motivi.

Non svolge difese la società intimata.

Il ricorrente ha depositato, altresì, la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso deduce:

1) violazione o falsa applicazione degli artt. 2311 e 2453 (vecchio testo) c.c., sostenendo che l’inammissibilità di una domanda non può mai essere conseguenza della forma dell’atto introduttivo, che nella specie presentava senz’altro i requisiti di un atto di citazione;

2) generica e insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la laconica disamina del ricorso esposta nella sentenza impugnata, che non ha esaminato gli argomenti posti dal B. a fondamento del ricorso;

3) omessa pronuncia su di un motivo di appello, anzi su fatto controverso e decisivo, non avendo la corte territoriale esaminato le ragioni che si opponevano alla chiusura della liquidazione;

4) violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., applicabile anche alle società di persone, dato che la cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta il 23 novembre 2010, ha comportato l’estinzione della stessa: onde il ricorrente medesimo non avrebbe potuto convenirla in giudizio; tanto è vero che egli aveva voluto “correggere il tiro”, sottolineando essenzialmente gli illeciti del liquidatore;

5) contraddittorietà e illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per averlo la corte d’appello condannato alla rifusione delle spese di lite, senza che fosse emersa però una ragione di infondatezza del ricorso, onde invece le spese avrebbero dovuto almeno essere compensate.

2. – Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ora rileva, condividendo il giudizio del primo giudice, che:

a) l’impugnazione del bilancio finale di liquidazione va proposta con atto di citazione in un giudizio ordinario di cognizione, e non, come nella specie avvenuto, mediante ricorso di volontaria giurisdizione;

b) in ogni caso, il ricorso proposto, pur convertibile in astratto in una citazione ordinaria, è privo dei requisiti della stessa, difettando della esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, ai sensi dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4: ciò, in quanto il B., a mezzo del proprio difensore, si è limitato a proporre una generica opposizione ed a segnalare illegittimi comportamenti del liquidatore nel corso dei molti anni della vita sociale, ripetendo le vicende trascorse dell’ente, senza null’altro precisare circa l’oggetto specifico della sua impugnazione, vertente sul bilancio finale di liquidazione. Ed, anzi, lo stesso atto di appello afferma che il giudizio è stato proposto non per impugnare il bilancio finale di liquidazione ed il piano di riparto, ma per evidenziare la condotta illegittima del liquidatore, che non pone a disposizione del socio i documenti societari.

3. – I motivi dal primo al quarto sono inammissibili, in quanto non censurano adeguatamente la ratio decidendi, esposta supra al punto b), dove si è riferita la motivazione della sentenza impugnata.

Infatti, la corte d’appello ha ritenuto dapprima che l’impugnazione del bilancio finale di liquidazione, proposta ai sensi dell’art. 2311 c.c., debba avvenire con atto di citazione, in quanto si tratta di un ordinario giudizio di impugnazione di un rendiconto; ma, poi, ha proceduto a valutare la possibilità di convertire il ricorso di volontaria giuridizione in un atto di citazione ordinario, escludendo che esso ne presentasse i requisiti di contenuto.

3.1. – Pertanto, il primo motivo – che si duole della mancata conversione del ricorso in citazione – è inammissibile, posto che non tiene conto della motivazione della corte territoriale, ma si limita, da un lato, ad evidenziare in modo inconferente che molti giudizi ordinari sono introdotti per legge con ricorso, e dall’altro lato, viola l’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, non riportando in modo specifico il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, a dimostrazione della pretesamente errata valutazione di indeterminatezza ex art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, operata dalla corte d’appello.

Invero, la parte, contravvenendo al principio di specificità, non indica il contenuto degli specifici atti dei giudizi di merito, da cui desumere la fondatezza della doglianza: pertanto, deve farsi applicazione del consolidato principio (e plurimis, Cass. n. 6014/2018; n. 22880/2017; n. 12664/2012; n. 20405/2006) secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di error in procedendo, in relazione al quale la corte è anche giudice del fatto potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, esige che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo.

3.2. – Il secondo motivo, a sua volta, è inammissibile, perchè denunzia un vizio non più esistente (l’insufficiente motivazione), a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dopo la riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, nè coglie nel segno, ove la qualifica come “generica”; e non si confronta, del pari, con la motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto inammissibile l’atto introduttivo, con conseguente assorbimento di ogni questione sul merito.

3.3. – La formulazione perplessa del terzo motivo – che ondeggia tra omessa pronuncia ed omesso esame di fatto decisivo – lo rende già per questo inammissibile, mentre poi si scontra con la motivazione del tutto congrua della corte territoriale sulla ritenuta inammissibilità del ricorso originario: insistendo il ricorrente nel denunziare il mancato esame del cd. fondo della sua domanda, senza considerare che è stata ritenuta radicalmente inammissibile dal tribunale e, poi, dalla corte d’appello, con la decisione ora impugnata.

3.4. – Nel quarto motivo, il ricorrente censura la violazione di una norma relativa alle società di capitali, l’art. 2495 c.c., pretendendo di sanare ex post l’azione proposta, in quanto sostiene che bene egli ha fatto a dolersi solo delle condotte del liquidatore, dato che la società di persone era stata cancellata dal registro delle imprese ed era, quindi, estinta e priva di legittimazione passiva, in sostanza perciò dovendo ritenersi convenuto in giudizio il liquidatore in proprio e legittimamente denunziati i fatti che lo riguardano.

In tal modo, tuttavia, il motivo trascura, ancora una volta, gli argomenti esposti dalla sentenza impugnata, nè considera che la qualificazione della domanda come azione contro il liquidatore viene per la prima volta oggi prospettata, in modo radicalmente inammissibile perciò: dato che, secondo il costante insegnamento del giudice di legittimità, qualora la questione posta sia nuova, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (cfr. Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 2 aprile 2014, n. 7694; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 31 agosto 2007, n. 18440).

4. – Il quinto motivo è inammissibile, pretendendo esso di censurare la decisione di appello, avente ad oggetto la condanna alle spese di lite, per non avere invece operato la compensazione tra le parti di causa.

Ma è stato da tempo chiarito (cfr. Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989) che “la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione”.

5. – Non occorre provvedere sulle spese, non svolgendo difese l’intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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