Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29328 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. III, 13/11/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21478-2018 proposto da:

G.I.M., elettivamente domiciliata ROMA, VIA DOMENICO

CHELINI N. 5, presso lo studio Ud. 18/06/2019 dell’avvocato LUCA

MARIA PIETROSANTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore ad

negotia, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 4,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BORGIA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROBERTO DE STEFANO;

– controricorrente –

e contro

P.R., EREDITA’ C.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2758/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 30.5.2003 il Tribunale di Latina, accertata la esclusiva responsabilità di P.R. nella causazione del sinistro stradale in cui subivano lesioni personali C.P. e G.I., ha condannato l’autore dell’illecito, in solido con SAI Ass.ni s.p.a., società assicuratrice della RCA, quest’ultima nei limiti del massimale di polizza di Lire 50.000.00, già interamente corrisposto -, al risarcimento dei danni liquidati a favore del C. nell’importo di Euro 489.507,00 ed a favore della G. nell’importo di Euro 390.653,00.

Il Giudice di appello di Roma, decidendo sulla impugnazione proposta dai danneggiati, con sentenza in data 24.4.2012 n. 2169 (e non in data 13.5.2011, come erroneamente riportato nella sentenza di appello), ha riformato parzialmente la decisione di prime cure, avendo rilevato: che il documento di polizza con limite di massimale, prodotto dalla Compagnia assicurativa, era inefficace non essendo fornita prova del rinnovo della polizza; che la operatività della garanzia – per l’intero importo risarcitorio – non era stata contestata da SAI s.p.a.; che la società assicurativa, quale responsabile civile, era stata condannata in solido al P., nel giudizio penale definito dal Pretore di Roma con sentenza confermata dal Tribunale in grado di appello, che aveva pertanto precluso qualsiasi ulteriore questione inerente la

limitazione del massimale. Ha quindi condannato SAI s.p.a., in solido, al pagamento dell’intero importo liquidato a titolo di risarcimento del danno.

La decisione di appello è stata cassata, con rinvio, con sentenza di questa Corte in data 14.4.2015 n. 12870, essendo risultato che il documento di polizza recava nel retro apposita clausola di proroga tacita in mancanza di disdetta, e che agli atti vi era prova del pagamento del premio per il semestre successivo alla scadenza.

Deceduto il C., tanto SAI s.p.a., quanto la G. riassumevano il giudizio che veniva deciso in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Roma con sentenza 30.4.2018 n. 2758.

Il Giudice distrettuale rilevava la formazione del giudicato interno:

– in ordine all’accertamento contenuto nella decisione del Tribunale di Latina della esclusiva responsabilità civile del P., confermata dalla Corte di appello con statuizione non investita sul punto con ricorso per cassazione

– in punto di quantificazione dell’ammontare del danno risarcibile, anche in questo caso avendo la Corte di appello confermato la decisione del primo Giudice con statuizione non investita sul punto con ricorso per cassazione

in ordine al rigetto delle domande dei danneggiati circa la liquidazione del danno morale, la rivalutazione monetaria, e la responsabilità ex art. 96 c.p.c., rigetto confermato dalla Corte d’appello con statuizione non investita da impugnazione per cassazione.

Il Giudice del rinvio riteneva inoltre:

a) inammissibile, in quanto generico, il giuramento decisorio deferito dalla G. al P. sulla stipula di un diverso contratto assicurativo rispetto a quello prodotto in causa dalla Compagnia SAI, non essendo stato neppure indicato, nella formula interrogativa, l’elemento essenziale della esistenza od inesistenza di un massimale di polizza;

b) incompatibile con la pronuncia di cassazione con rinvio la riproposizione della eccezione di giudicato, in ordine alla questione della limitazione di massimale, fondata sulla asserita autonomia della “ratio decidendi” della decisione della Corte d’appello – oggetto di cassazione – incentrata sul giudicato penale di condanna; eccezione di giudicato comunque infondata, in quanto la G. non aveva prodotto in giudizio le sentenze penali e, dalle copie di tali sentenze depositate da SAI s.p.a. risultava soltanto la pronuncia di una “condanna generica” al risarcimento dei danni;

c) infondata, altresì, la dedotta di inammissibilità della eccezione concernente il massimale per tardiva produzione della polizza, in quanto il giudizio era stato introdotto prima della introduzione, con la L. n. 353 del 1990, delle preclusioni per fasi processuali ed in ogni caso la parte eccipiente la inammissibilità non aveva dimostrato di avere tempestivamente formulato la eccezione.

Nel merito, non avendo i danneggiati ed il P. depositato i rispettivi fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio, la Corte d’appello ritenuta sussistente la prova documentale della polizza che prevedeva il limite di massimale, rigettava gli appelli principali proposti dai danneggiati, e gli appelli incidentali proposti dal P. e da SAI Ass.ni s.p.a..

La sentenza di appello, notificata in data 21.5.2018, è stata impugnata da G.I.M. con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Resiste con controricorso UNIPOL SAI Assicurazioni s.p.a..

Non hanno svolto difese P.D. e la eredità giacente di C.P. in persona del curatore ai quali il ricorso è stato notificato rispettivamente in data 12 e 16 luglio 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Infondata è da ritenere la eccezione pregiudiziale di inammissibilità per carenza di interesse del ricorso per cassazione proposto dalla G., in quanto con i motivi sarebbe stata investita soltanto la “ratio decidendi” che ha escluso l’esistenza del giudicato civile e del giudicato penale in punto di condanna solidale “senza limitazioni di massimale”, senza che fosse contestato l’accertamento della esistenza della polizza che prevedeva il limite di massimale. E’ appena il caso di osservare, infatti, come le due asserite distinte “rationes decidendi” non integrino capi di sentenza autonomi, ma si pongano in relazione di stretta pregiudizialità logica, nel senso che laddove fosse accertata (in accoglimento del motivo di ricorso per cassazione della G.) la intervenuta formazione del giudicato civile o penale di condanna della società assicurativa – in solido – al risarcimento dei danni “senza limitazioni”, ogni questione e pronuncia sulla esistenza del limite di massimale verrebbe comunque ad essere preclusa dalla efficacia di giudicato del contrario accertamento, incompatibile con l’allegato limite di responsabilità della società assicuratrice.

Venendo all’esame dei motivi del ricorso, si osserva quanto segue.

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed ancora violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sostiene la ricorrente che la Corte di legittimità, con la sentenza n. 12870/2015 (interamente trascritta nel ricorso), aveva cassato con rinvio la sentenza di appello n. 2169/2012, esclusivamente in quanto affetta da vizio di motivazione sulla rilevanza ed efficacia probatoria del documento di polizza, con la conseguenza che la pronuncia cassatoria non aveva investito anche il giudicato penale formatosi sui capi relativi alle domande civili, della cui esistenza non poteva quindi ridiscutersi nel giudizio di rinvio, rimanendo in conseguenza fermo l’accertamento compiuto su tali capi dal Pretore di Roma che aveva condannato la SAI s.p.a., quale responsabile civile, ed il P., quale imputato autore dell’illecito, al risarcimento integrale del danno in favore delle parti civili senza disporre alcuna limitazione in ordine al quantum dovuto dalla società assicurativa.

Il motivo è infondato.

Appare opportuno, preliminarmente, riepilogare brevemente lo statuto dei poteri riservati al Giudice di merito, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., cui la causa perviene dalla Corte di cassazione che ha disposto il rinvio cd. prosecutorio, e che è stato ampiamente indagato e definito dalla giurisprudenza di questa Corte secondo le seguenti linee guida:

in sede di giudizio di rinvio, giusta dell’art. 394 c.p.c., il comma 2 è fatto divieto alle parti di formulare nuove conclusioni e, quindi, di proporre domande ed eccezioni nuove o di prospettare nuove tesi difensive, atteso che l’oggetto di siffatto giudizio è predeterminato e che il giudice di rinvio è tenuto, nel decidere la causa, ad applicare, in virtù del vincolo derivante dall’art. 384 c.p.c. il principio di diritto – e cioè l’enunciazione della volontà della legge con riferimento alla concreta fattispecie decisa nella sentenza impugnata – formulato dalla S.C. (Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 5249 del 13/05/1995): tale divieto si estende in via generale al potere di allegazione di nuovi fatti ma anche di prospettazione di nuove questioni in diritto (Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 9401 del 06/09/1995), non essendo consentita alcuna immutazione del precedente “thema decidendum” (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15952 del 13/07/2006)

qualora la sentenza della Corte di Cassazione abbia fissato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, i criteri che devono informare la risoluzione della controversia, tutte le questioni in proposito precedentemente dedotte devono intendersi implicitamente decise quale presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronuncia espressa in diritto, con la conseguenza che la sentenza di legittimità che dispone il rinvio vincola il giudice al quale la causa è rinviata non solo in ordine ai principi di diritto affermati, ma anche in relazione ai necessari presupposti di fatto da ritenersi accertati in via definitiva nella precorsa fase di merito, quali premesse logico – giuridiche della pronunzia di annullamento (Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 10659 del 29/10/1997; id. Sez. 3, Sentenza n. 8252 del 20/08/1998; id. Sez. 3, Sentenza n. 11615 del 18/11/1998; id. Sez. 2, Sentenza n. 1524 del 11/02/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 11650 del 03/08/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 11939 del 22/05/2006), rimanendo preclusa finanche la rilevabilità “ex officio” del giudicato interno, non rilevata dalla Corte di legittimità (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5800 del 28/06/1997), così come la rilevabilità, in sede di rinvio, delle questioni rilevabili di ufficio ma non considerate in sede di legittimità, che non possono essere più esaminate nel successivo giudizio di rinvio, e neppure nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongano la sentenza del giudice di rinvio (Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5131 del 04/06/1996; id. Sez. 3, Sentenza n. 1437 del 09/02/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 14075 del 01/10/2002; id. Sez. 2, Sentenza n. 12479 del 07/07/2004; id. Sez. 2, Sentenza n. 6292 del 31/03/2016), con la sola eccezione delle questioni ricollegabili al “jus superveniens” (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9015 del 27/08/1999)

è stato ulteriormente precisato che, anche nel caso in cui, nel giudizio di cassazione, la sentenza impugnata sia stata annullata per il vizio di violazione di legge, si deve ritenere che il giudice di rinvio abbia il potere di procedere nuovamente all’accertamento del fatto, nell’ambito delle conclusioni precedentemente assunte dalle parti, valutando liberamente le prove già raccolte, come può desumersi dalla considerazione: che l’art. 394 c.p.c., in realtà, non pone il divieto di immutare la base di fatto che costituisce il presupposto del principio di diritto enunciato nella sentenza d’annullamento; che una simile conclusione è indiscutibile nell’ipotesi di efficacia del principio di diritto in un nuovo giudizio, dopo l’estinzione di quello in corso; e, infine, che nuovi accertamenti di fatto nel giudizio di rinvio sono implicitamente presupposti dal nuovo testo dell’art. 384 c.p.c., sulla decisione della causa nel merito, che può essere adottata dalla Corte di legittimità soltanto “qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto” (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 2436 del 17/03/1999). Ciò si verifica in particolare quando la sentenza di cassazione con rinvio reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perchè ritenuti erroneamente privi di rilievo, rendendosi in tal caso ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, (Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 16180 del 26/06/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9768 del 18/04/2017). In ogni caso tale ulteriore sviluppo istruttorio del giudizio di rinvio deve intendersi correlato eziologicamente esclusivamente alla pronuncia di annullamento, essendo inibita alle parti ogni nuova attività, istruttoria od assertiva “che non dipenda strettamente” dalle statuizioni della Corte (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 23380 del 16/12/2004), insorgendo un vero e proprio vincolo per il Giudice del rinvio a svolgere le ulteriori indagini di fatto, laddove sia stato allo stesso demandato, dalla sentenza di cassazione della SC, il compito di procedere ad ulteriori accertamenti di fatto, non potendo a ciò sottrarvisi adducendo la tardività delle relative istanze istruttorie (Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 3186 del 01/03/2012)

è stato, quindi, definitivamente confermato l’orientamento giurisprudenziale (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 6707 del 06/04/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 8381 del 05/04/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 22885 del 10/11/2015; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 16660 del 06/07/2017) per cui i vincoli alla attività del Giudice del rinvio debbono ricercarsi interamente all’interno del “dictum” della sentenza di cassazione con rinvio, ex art. 383 c.p.c., comma 1, venendo tali poteri a dimensionarsi in modo differente secondo il tipo di vizio di legittimità che ha determinato la necessità del rinvio prosecutorio, e dunque a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, ovvero per “vizi di motivazione” in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero “per l’una e per l’altra ragione”: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (in tal caso limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale – salvo solo il caso di giuridica inesistenza – o di constatato errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neppure alla stregua di arresti giurisprudenziali precedenti, contestuali o successivi della Corte di legittimità: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3458 del 06/03/2012); nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi (essendo peraltro tenuto ad osservare il divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 12102 del 29/05/2014); nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse.

Alla stregua, pertanto, dello “statuto” che disciplina il giudizio di rinvio, deve dunque essere esaminata la relazione che è stata istituita nella sentenza cassatoria tra la demolizione della pronuncia di appello impugnata, per vizio di motivazione, ed il preesistente giudicato penale, individuando quindi i limiti entro i quali era consentito al Giudice del rinvio ridiscutere le questioni prospettate dalle parti.

Orbene dalla lettura della motivazione della sentenza di appello n. 2169/2012 emerge che il Giudice di merito, dando atto dell’intervenuta irrevocabilità della sentenza penale con la quale, accertata la esclusiva responsabilità del P. nella causazione del sinistro stradale, veniva dichiarato estinto per amnistia il reato di lesioni personali allo stesso ascritto nonchè veniva pronunciata la condanna in solido del predetto e di SAI Assicurazioni s.p.a. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, ha affermato che “il tentativo di rimettere in discussione tale questione è, pertanto, inammissibile”. La Corte territoriale è quindi passata ad esaminare la diversa questione della sussistenza di un massimale di polizza, rigettando la impugnazione sul punto di SAI s.p.a. rilevando: 1-che la società assicurativa non aveva contestato la operatività della garanzia assicurativa; 2-che difettava la prova del rinnovo o della proroga della polizza prodotta in giudizio, contenente la limitazione di massimale, relativa a periodo precedente a quello del sinistro; 3-che la sentenza penale irrevocabile, aveva pronunciato sui capi civili condannando in solido la società assicurativa senza alcuna limitazione, essendosi quindi sul punto formato il giudicato.

Orbene, indipendentemente dal rilievo che la pronuncia sui capi civili della sentenza era limitata all'”an”, sicchè la pronuncia di condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civile, veniva a qualificarsi come condanna generica, passata in giudicato, essendo rimessa la successiva liquidazione del “quantum” (nell’ambito del quale assumono rilievo i differenti titoli di responsabilità civile dei coobbligati in solido, e la eventuale distinta incidenza che tali titoli producono sulla determinazione dell’importo debitorio di ciascun coobbligato) al separato giudizio civile; e premesso altresì che appare anomalo il modus procedendi del Giudice di appello della sentenza cassata, laddove pur avendo ritenuta coperta dal giudicato penale “anche” la mancanza di limitazioni di importo della polizza assicurativa, ha poi ritenuto di dover esaminare autonomamente tale questione affidandola anche ad altre “rationes decidendi”; ebbene tutto ciò premesso occorre osservare che la sentenza della Corte di cassazione in data 14.4.2015 n. 12870 – che è stata anche interamente trascritta nel ricorso – ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto da Fondiaria SAI Assicurazioni s.p.a., con l’unico motivo, ha censurato le statuizioni relative all’accertamento negativo della esistenza del massimale di polizza, fondate: a) sulla preclusione del giudicato penale; b) sul difetto di assolvimento dell’onere probatorio (in ordine alla polizza vigente al momento del sinistro, contenente il limite di massimale).

La Suprema Corte di legittimità ha accolto il motivo di ricorso ritenendo che il Giudice di appello avesse disatteso le evidenze probatorie – relative tanto alla efficacia della copertura assicurativa della RCA al momento del sinistro, quanto della clausola limitativa del massimale assicurato – che risultavano dal documento contrattuale prodotto dalla società assicurativa, ed ha cassato la sentenza impugnata con rinvio.

In sede di giudizio di rinvio la Corte d’appello di Roma, con la sentenza 30.4.2018 n. 2758, oggetto dell’esame di questo Collegio, ha riesaminato la questione relativa al giudicato penale in ipotesi preclusivo dell’accertamento del limite di massimale, ed ha rigetto la eccezione, da un lato, rilevando che la sentenza cassatoria aveva annullato integralmente la decisione n. 2169/2012, sicchè non erano residuati capi della sentenza cassata suscettibili di passaggio in giudicato interno; dall’altro, con argomento che pare svolto ad abundantiam – nella ipotesi in cui si fosse ritenuto che la sentenza cassatoria non avesse esaminato anche la eccezione di giudicato -, rilevando la infondatezza della eccezione in quanto la decisione penale conteneva una mera condanna generica del P. e della SAI s.p.a., “senza precisare se in solido o meno o se entrambi per la totalità o meno” (cfr. sentenza appello, in motivazione paragr. 6 e 6.1, pag. 8).

Osserva il Collegio che la decisione della Corte d’appello va esente dai vizi censurati.

Premesso che dalla stessa sentenza cassatoria risulta che, con l’unico motivo di ricorso, Fondiaria SAI s.p.a. aveva impugnato anche la statuizione della sentenza di appello n. 2169/2012 che aveva escluso accesso alla deducibilità del limite di massimale “per avere considerato (ndr. erratamente) vincolante il giudicato formatosi in sede penale”, con la conseguenza che la eccepita preclusione – per asserita mancata impugnazione del relativo capo di sentenza – doveva ritenersi destituita di fondamento, appare corretta la prima, dirimente, “ratio decidendi”, anche se deve essere meglio precisata la motivazione che riconduce – sinteticamente – la inesistenza di qualsiasi vincolo preclusivo determinato dagli accertamenti compiuti dal Giudice di appello, all’effetto cassatorio “senza alcuna limitazione” della sentenza della Corte di legittimità.

Non può, infatti, scindersi nella sentenza di appello n. 2169/2012, il capo relativo all’accertamento della copertura del giudicato penale – asseritamente – estesa anche alla assenza di limiti al “quantum” dovuto dalla società assicurativa, da quello relativo all’accertamento – per difetto di prova – della insussistenza del limite di massimale della polizza, non trattandosi di autonomi accertamenti suscettibili di integrare autonome “rationes decidendi” ma di questioni legate da nesso di pregiudizialità-dipendenza.

Indipendentemente dalla formula adottata nel dispositivo della sentenza cassatoria, l’accoglimento del motivo di ricorso per vizio di omessa od inesatta valutazione della prova documento-polizza, con rinvio al Giudice del gravame per riesame dei fatti, implica necessariamente, infatti, che non può essere fatta salva la – asserita – diversa “ratio decidendi” della sentenza di appello in punto di giudicato penale di condanna senza limiti di massimale, proprio perchè altrimenti si renderebbe priva di alcuna efficacia – in evidente contrasto con la disciplina normativa processuale del giudizio di rinvio – la pronuncia di cassazione con rinvio, che impone al Giudice di merito di riesaminare una prova decisiva oggettivamente incompatibile con l’ipotizzato vincolo esterno del giudicato penale ed interno del giudicato civile (sul presupposto – da ritenere, come precedentemente rilevato, infondato – della omessa impugnazione della Fondiaria SAI s.p.a. con ricorso per cassazione della relativa statuizione della sentenza di appello n. 2169/2012), risultando implicito nell’accoglimento del motivo di ricorso indicato anche l’accoglimento della questione presupposto concernente la mancanza di alcuna preclusione ex iudicato all’accertamento, nella prosecuzione del giudizio di merito, del diverso importo debitorio gravante sulla società assicurativa in ragione del limite di massimale di polizza.

Se è pur vero che la Suprema Corte non pronuncia espressamente anche sulla censura formulata con il motivo di ricorso inerente la questione del vincolo sul “quantum” determinato dal giudicato penale, tuttavia detta questione deve ritenersi, in ogni caso, risolta dalla sentenza cassatoria in quanto: 1-il nesso di pregiudizialità-dipendenza esclude alla radice la possibilità di ravvisare un assorbimento della censura sulla preclusione del giudicato; 2-la rilevata fondatezza dell’omesso esame di una prova documentale decisiva (attinente alla efficacia della polizza contenente la clausola limitativa del massimale) esclude per necessità di implicazione logica la esistenza di un vincolo di giudicato sulla assenza di limiti di massimale. Vale peraltro aggiungere che, qualora si ipotizzasse – come sembra avere prospettato, con argomento “ad abundantiam”, la Corte d’appello nella sentenza n. 2758/2018 – una omessa valutazione da parte della Suprema Corte della eccezione di giudicato, tale questione – in quanto incompatibile con la pronuncia cassatoria, per le ragioni sopra evidenziate – non potrebbe più essere rilevata dal Giudice del rinvio o riproposta avanti a quello dalle parti nel giudizio di rinvio, essendo definito l’ambito oggettivo di detto giudizio dai limiti imposti dalla pronuncia cassatoria il cui dictum (nella specie, il riconoscimento del carattere decisivo da attribuire ai fini della decisione di merito alla prova documentale costituita dalla polizza, contenente il limite di massimale, la cui efficacia risultava prorogata tacitamente alla data del sinistro) che non può, in ogni caso, essere disattesa dal Giudice del rinvio.

Ne consegue che deve ritenersi:

– infondata la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.: avendo espressamente statuito sul punto la Corte territoriale ritenendo che alla pronuncia di cassazione non era sopravvissuta alcuna altra “ratio decidendi” della sentenza di appello n. 2169/2012;

– inammissibile la censura svolta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: in quanto il giudicato è elemento normativo della fattispecie ed eventuali errori di rilevazione ed estensione della relativa efficacia preclusiva può determinare vizio di violazione di legge e giammai vizio per “errore di fatto”;

infondata la censura prospettata come violazione dell’art. 2909 c.c. in ordine agli effetti preclusivi del giudicato (penale e) civile, richiamandosi al proposito le considerazioni tutte e gli argomenti in diritto precedentemente esposti.

Secondo motivo: violazione dell’art. 2909 c.c. con riferimento al giudicato penale. Violazione degli artt. 75 e 654 c.p.p., dell’art. 187 c.p. dell’art. 2055 c.c. e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144.

La ricorrente censura l’affermazione del Giudice di appello secondo cui le sentenze penali non avevano affermato specificamente la responsabilità solidale degli obbligati al risarcimento, rilevando come l’intero sistema normativo tanto della responsabilità civile (art. 187 c.p. e art. 2055 c.c.), quanto della responsabilità automobilistica prevede ex lege la coobbligazione solidale senza limitazioni dell’assicurato e dell’assicuratore.

Il motivo, di non chiara esplicazione, è infondato.

La ricorrente, da un lato, incorre in equivoco sulla motivazione svolta nella sentenza impugnata; dall’altro vorrebbe surrettiziamente recuperare la efficacia preclusiva del giudicato penale ipotizzando una solidarietà “illimitata” tra assicurato ed assicuratore della RCA.

La Corte territoriale, con l’argomentazione svolta “ad abundantiam” sopra indicata, ha correttamente rilevato che nelle sentenze penali (prodotte peraltro in copia solo dalla società assicurativa) era stata disposta la condanna delle parti convenute al risarcimento del danno “senza precisare se in solido o meno e se entrambi per la totalità o meno” (come emerge dalla trascrizione parziale di tali sentenze riportata nel ricorso per cassazione, una condanna solidale è stata pronunciata dalla sentenza di appello soltanto per la rifusione delle spese di lite), intendendo con tale affermazione escludere che la irrevocabilità della statuizione sui capi civili fosse da ritenere estesa anche alla mancanza di limitazioni di massimale incidenti sulla obbligazione risarcitoria gravante sull’assicuratore.

Al riguardo valgono le considerazioni già svolte nell’esame del primo motivo di ricorso e dunque la censura, ove meramente reiterativa della precedente distinguendosi solo per il riferimento al giudicato penale anzichè a quello civile, deve essere anch’essa ritenuta infondata.

Inammissibile perchè non coglie la “ratio decidendi” e comunque infondata è, altresì, la censura volta a far valere la solidarietà “illimitata” delle parti tenute a risarcire il danno.

La Corte d’appello non ha affatto negato la solidarietà ex lege dei coobbligati tenuti a risarcire il danno, ma ha piuttosto rilevato che la condanna generica contenuta nel giudicato penale non precludeva l’accertamento della esistenza e dell’ammontare del “quantum” nei confronti di ciascun obbligato, in quanto tenuto verso il danneggiato in base a diverso titolo (illecito aquiliano: autore della condotta dannosa; ex lege: assicuratore della RCA).

La pronuncia è conforme all’insegnamento di questa Corte, e va dunque esente da censura, essendo appena il caso di ribadire il consolidato principio di diritto secondo cui, in tema di assicurazione per i danni conseguenti alla circolazione stradale, l’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore è contenuta nei limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione, e la solidarietà fra assicurato ed assicuratore ha natura atipica, atteso che il debito aquiliano del primo discende “ex delicto” ed è illimitato, mentre quello del secondo di natura indennitaria deriva “ex lege” e trova limite nella capienza del massimale, senza che nessuna influenza possa attribuirsi, per derogare a quest’ultimo limite, al fatto che in sede penale, con sentenza passata in giudicato, l’assicuratore sia stato condannato quale responsabile civile, in solido con l’imputato assicurato, al risarcimento del danno in via generica nei confronti del danneggiato, giacchè la solidarietà, disposta in via generale ed astratta dall’art. 489 c.p.p. (ora abrogato e sostituito dall’art. 538 c.p.p.), non preclude ed, anzi, impone, l’accertamento, nei singoli casi concreti, del titolo in forza del quale ciascuno dei coobbligati è tenuto alla prestazione e se l’unicità di quest’ultima soffre o meno limitazioni per effetto di particolari disposizioni convenzionali o legali (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7993 del 03/06/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 14537 del 10/06/2013).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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