Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29327 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.C. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa dall’Avv. Biasiello Carmine, in virtù di procura speciale a

margine del ricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Luciana D’Andrea, in Roma, alla v. Pontedera, n. 6;

– ricorrente –

contro

I.M.A., rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Serafino Annamaria ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Massimo Tirone,

in Roma, alla v. G. Ferrari, n. 11;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Campobasso

n. 99 del 2009, depositata il 30 giugno 2009 (e notificata il 7

gennaio 2010);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Carmine Biasiello, per la ricorrente, e Annamaria

Serafino, per la controricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso e, in subordine, per il suo rigetto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso del 19 aprile 2002 I.M.A. adiva il Tribunale di Isernia chiedendo di essere reintegrata nel possesso di alcun locali ubicati in Frosolone con ordine a I.C., autrice dello spoglio o comunque della molestia, di abbattere il muro eretto per impedire l’esercizio della servitù di passaggio da tempo immemorabile utilizzata e consegnare la chiave della serratura sostituita. Negata all’esito della fase a cognizione sommaria l’invocata tutela interdittale, il Tribunale adito rigettò successivamente con sentenza la proposta domanda possessoria.

Interposto appello da parte della I.M.A., nella resistenza dell’appellata, la Corte di appello di Campobasso, con sentenza n. 99 del 2009 (depositata il 30 giugno 2009), accoglieva integralmente il gravame e, quindi, la domanda possessoria avanzata in primo grado, condannando l’appellata alla rifusione delle spese del doppio grado. Con ricorso (notificato l’8 marzo 2010 e depositato il 26 marzo successivo) I.C. ha impugnato per cassazione la suddetta sentenza della Corte di appello di Campobasso (notificatale il 7 gennaio 2010), basato su un unico motivo, avverso il quale l’intimata I.M.A. si è costituita ritualmente con controricorso.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il motivo dedotto la ricorrente ha denunciato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per i giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), avendo il giudice di seconde cure analizzato le deposizioni dei sommari informatori e dei testimoni muovendo da un errato presupposto di diritto e di fatto in ordine alla individuazione delle proprietà delle due contendenti e, per l’effetto, per aver il giudicante erroneamente risolto la fattispecie sottoposta al suo esame. Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento al motivo proposto, per inosservanza de requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 30 giugno 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che la ricorrente si sia attenuta alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c.. Infatti, con riferimento al formulato motivo inerente un vizio di motivazione, dopo la diffusa esposizione della doglianza (peraltro inerente essenzialmente a valutazioni di merito delle quali viene sollecitata inammissibilmente una rivalutazione nella presente sede di legittimità), non si evince alcuna appropriata ed autonoma sintesi dello stesso vizio prospettato e manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro riepilogativo, del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione della sentenza impugnata sia stata omessa o sia risultata contraddittoria, così come difetta la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta deficienza motivazionale si dovrebbe ritenere inidonea a supportare la decisione (non potendo certamente qualificarsi congruo allo scopo il riferimento, a pag. 7 del ricorso, all’asserzione, dopo lo sviluppo delle argomentazioni critiche, che “non si giustifica, dunque, il processo logico-giuridico seguito dal giudicante per giungere alla adottata decisione, tanto più che esso ha ritenuto di non dover ricorrere neppure alle prove orali offerte dai resistenti per integrare, suffragare, ovvero smentire, il potere di fatto sulla res da parte della originaria ricorrente”, risolvendosi tale affermazione, peraltro essenzialmente generica, in una mera asserzione tautologica della sussistenza del vizio denunciato).

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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