Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29326 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26643/2016 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Piemonte n.

39, presso lo studio dell’avvocato Grieco Antonio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Salussoglia Giorgio,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 599/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Torino con decreto ingiuntivo del 25 maggio 2011 condannava, su ricorso di C.F., G.A. a pagargli la somma di Euro 123.949,66, secondo quanto afferma la sentenza impugnata a titolo di corrispettivo per la compravendita di una quota della Il Gelatiere s.r.l., sulla base della scrittura privata inter partes del 5 novembre 2002.

Proposta opposizione, il giudice di primo grado ha revocato il decreto ingiuntivo e condannato G.A. al pagamento della minor somma di Euro 12.549,90, oltre accessori.

La Corte d’appello di Torino – accogliendo l’appello proposto da C.F. ed in riforma della decisione di primo grado – ha condannato invece G.A. a pagare la somma di Euro 108.455,87, oltre accessori.

2. – La sentenza impugnata ha ritenuto che:

a) l’appello fosse ammissibile, in quanto adeguatamente specifico, essendo comprensibili le censure alla ratio decidendi della decisione impugnata, nè era indeterminato l’atto introduttivo in primo grado;

b) dalla scrittura privata posta a fondamento del ricorso monitorio risulta che le parti hanno bene individuato il valore della quota della Il Gelatiere s.r.l., di proprietà del C., e che intesero tenere distinto il rapporto obbligatorio da essa sorto e la durata del rapporto di lavoro tra il C. ed un soggetto terzo, la R.M. s.a.s., onde non risulta nessun patto diretto a collegare il diritto del C. alla percezione del corrispettivo convenuto (pari al 15% dell’effettivo pagato) e la persistenza del rapporto di lavoro; a fronte della documentazione in atti, i richiami normativi agli artt. 115 e 116 c.p.c. sono “del tutto fuori luogo”;

c) applicando l’accordo tra le parti nel suo integrale contenuto, e senza commisurarlo alla effettiva durata della prestazione lavorativa, risulta un debito pari ad Euro 108.455,87, ossia il 15% di Euro 723.039,16, prezzo dell’azienda.

Avverso questa sentenza propone ricorso il soccombente, affidato a due motivi.

Non svolge difese l’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso censurano:

1) violazione o falsa applicazione degli artt. 163,342 e 348-bis c.p.c., perchè ha errato la corte d’appello nel ritenere l’impugnazione specifica, sebbene controparte non avesse affatto sottoposto a critica sufficientemente chiara la sentenza di primo grado, essendosi nell’atto di appello limitato a lamentare la non applicabilità degli artt. 115 e 116 c.p.c.; anche la violazione dell’art. 163 c.p.c., contrariamente a quanto opinato dalla corte del merito, era stata dedotta ad ulteriore supporto dell’eccezion avanzata relativamente all’aspecificità dell’appello;

2) violazione o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo: infatti, sebbene egli, sin dalla comparsa di risposta in primo grado, avesse narrato dettagliatamente i fatti relativi all’intera vicenda – contratto di cessione di azienda bar gelateria intercorso tra la Gimax s.n.c. e la R.M. s.a.s.; connesso contratto in data 5 novembre 2002 di pagamento di una somma, parametrata in misura pari al 15% del prezzo rateale corrisposto di Lire 10.000.000, per Euro 5.164,57 mensili, a C.F., per le sue prestazioni lavorative in favore dell’azienda, da pagargli sino a quando egli avesse lavorato nel locale; interruzione del rapporto di lavoro in questione il 2 maggio 2007 – e sebbene la controparte, nella comparsa di costituzione in primo grado nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si fosse costituita in ritardo, non avesse mai contestato tale vicenda, non avesse depositato memoria e comparsa conclusionale, tuttavia la corte territoriale ha escluso ingiustificatamente ogni ricorso agli artt. 115 e 116 c.p.c.

Inoltre, essa ha ritenuto assente ogni collegamento tra la sussistenza del rapporto di lavoro e il detto accordo tra le parti, argomentando nel senso che il primo intercorreva con la R.M. s.a.s.: sebbene varie parti, fra cui il punto 4 della scrittura inter partes, lo menzionassero espressamente e controparte nulla avesse mai dedotto o contestato sul punto.

In tal modo, la sentenza impugnata ha ignorato il fatto decisivo, consistente nella circostanza che la R.M. s.a.s. era la società che aveva acquistato l’azienda dalla Gimax s.n.c. e pagato il prezzo rateale predetto, ossia quello preso dalle parti dell’odierno giudizio a presupposto per la determinazione dell’importo spettante al C.: incorrendo in una contraddizione, dal momento che non si poteva considerare, nel contempo, la R.M. s.a.s. del tutto estranea al contenuto della scrittura ed, altresì, soggetto la cui prestazione costituiva l’elemento essenziale per la determinazione del dovuto al C. in ragione della sua prestazione lavorativa.

2. – Il ricorso è inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Prescrive invero la disposizione che il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità, di curare “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”.

Tale previsione richiede che il ricorso, omettendo le indicazioni superflue e fuorvianti – specialmente nell’ambito del giudizio di cassazione, ove la S.C. è chiamata ad occuparsi solo delle questioni residuate al suo esame – si dedichi ad illustrare i punti rilevati dei fatti accaduti (extraprocessuali e processuali), in modo sufficientemente specifico, sì da permettere al giudice di legittimità di disporre della cd. premessa minore, nell’ambito del sillogismo giudiziale, e di essere posto nella condizione di valutare le censure proposte ex art. 360 c.p.c.

Lo scopo della fondamentale disposizione dell’art. 366 c.p.c. è quello di agevolare la comprensione della pretesa, in relazione al tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura.

Il primo requisito del ricorso per cassazione è, pertanto, l’uso di una tecnica redazionale, che permetta di comprendere – senza necessità di rivolgersi ad altre fonti – i fatti della causa, non potendosi esso limitare a fare riferimento a tal fine alla sentenza impugnata, specialmente quando i fatti ivi esposti non risultino esaurienti per illustrare i motivi del ricorso per cassazione.

In particolare, il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), cui è soggetto a pena d’inammissibilità il ricorso, deve ritenersi soddisfatto solo se e quando l’atto esponga gli estremi della controversia, necessari per la definizione delle questioni poste: si tratta dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente, sia pure in modo sommario, con la conseguenza che la mancanza determina l’inammissibilità radicale del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi, nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte.

La mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti della causa, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, rende, quindi, inammissibile il ricorso, laddove il ricorrente si limiti alla mera trascrizione dell’esposizione contenuta in altri atti, di parte o giudiziali, e non sia possibile, nel contesto dell’impugnazione, rinvenire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti.

E questa Corte ha già chiarito da tempo che “il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservato tramite la mera riproduzione della sentenza impugnata, allorchè quest’ultima non contenga la descrizione dello svolgimento del processo, nè una chiara esposizione del fatto sostanziale e processuale” (Cass. 16 settembre 2013, n. 21137; nello stesso senso, Cass. 13 novembre 2018, n. 29093 e Cass. 24 aprile 2018, n. 10072).

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui il ricorrente, invece che assolvere all’onere di specifica esposizione dei fatti di causa rilevanti, enunciandoli in modo necessario e sufficiente, si è limitato a riportare il “virgolettato” della narrazione di cui alla sentenza impugnata, senza aggiungere neppure una parola propria, tale da rendere intelligibile il ricorso e le doglianze proposte.

Ne deriva l’inammissibilità radicale del ricorso.

3. – A ciò si aggiunga, ancora, che i due motivi sono affetti da ulteriori ragioni di inammissibilità.

Il primo motivo, che si duole del giudizio reso dalla corte territoriale circa la sufficiente specificità dell’atto di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., è dal suo canto inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., non avendo il ricorrente neppure indicato il contenuto dell’atto di appello, riportandone i brani rilevanti, tale da permettere a questa Corte la delibazione: ciò, per il consolidato principio (e plurimis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; 29 settembre 2017, n. 22880; 20 luglio 2012, n. 12664; 20 settembre 2006, n. 20405) secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di un error in procedendo esige che, preliminare ad ogni altro esame, sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, in quanto l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio presuppone l’ammissibilità del motivo di censura.

Del pari, il secondo motivo è inammissibile, per ulteriore vizio che lo affetta, intendendo censurare un passaggio non decisivo della sentenza impugnata, mentre essa ha esaminato i documenti ed ha così formato il proprio convincimento: onde il motivo mira, nella realtà, a riproporre inammissibilmente il giudizio di fatto in questa sede.

4. – Nulla sulle spese, non svolgendo difese l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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