Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29325 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26070/2016 proposto da:

C.I.G.A. Hotel S.r.l., già Eurotel Group S.r.l., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Tacito n. 90, presso lo studio dell’avvocato Piana

Alessandra, rappresentata e difesa dall’avvocato Troiani Luca,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., C.M.R., elettivamente

domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato Antonini

Giorgio, rappresentati e difesi dall’avvocato Consorti Ermanno,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

Ci.Gi., D.G.O., R.M.A.,

V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1000/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

pubblicata il 19/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.M. ed i signori F. e C.M.R. introdussero, innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, due distinti giudizi, volti ad impugnare le deliberazioni assunte dall’assemblea della Eurotel Group s.r.l., poi C.I.G.A. Hotels s.r.l., il 28 luglio 2000 (delibera impugnata solo dai secondi) ed il 29 luglio 2000, aventi ad oggetto, l’una, l’approvazione del bilancio dell’esercizio 1999 e, l’altra, l’azzeramento del capitale sociale di Lire 480.000.000, l’aumento del medesimo a Lire 1.770.499.588, l’abbattimento a copertura della perdita residua, sino alla misura finale di Lire 20.000.000, minimo di legge.

Il Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 22 aprile 2010, dopo avere ordinato l’integrazione del contraddittorio con riguardo a tutti i soci risultanti dopo l’operazione sul capitale sociale e riunito i due giudizi, dichiarò la nullità di entrambe le deliberazioni assembleari.

Con sentenza del 19 agosto 2016, la Corte d’appello di Ancona ha respinto l’impugnazione, proposta dalla società.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la C.I.G.A. Hotels s.r.l., affidato a dieci motivi.

Si difendono con controricorso i signori C., depositando, altresì, la memoria; mentre le altre parti non svolgono difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso vanno come di seguito riassunti:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 2377 c.c., comma 1, art. 2378 c.c., comma 4, e art. 2909 c.c., per avere la corte d’appello omesso di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i soci anteriori alle deliberazioni impugnate, dal momento che il giudicato ha in tal modo effetto solo per le parti, eredi ed aventi causa;

2) nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 102 e 274 c.p.c., in quanto essa resta inutiliter data, in mancanza del contraddittorio di tutti i soci, non potendo la carenza essere superata neanche dalla riunione delle due cause, che restano autonome;

3) nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per non avere la corte del merito considerato l’eccezione di decadenza dall’impugnazione della deliberazione per inosservanza del termine di tre mesi, proposta dalla società sin dal primo grado, nella causa intrapresa da R.M., e non solo nella comparsa conclusionale di appello, come erroneamente affermato dalla sentenza impugnata, che, dunque, ha errato nel ritenere l’eccezione non proposta o tardivamente proposta;

4) violazione o falsa applicazione dell’art. 2479-ter c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto la sentenza impugnata ha, dapprima, ritenuto tardiva l’eccezione di decadenza dall’impugnazione della deliberazione, e, poi, ad abundantiam, ha affermato che l’eccezione era comunque infondata, in quanto l’atto di citazione è stato proposto entro tre mesi dalla pubblicazione della deliberazione nel registro delle imprese: laddove, tuttavia la norma invocata non legittima il socio assente ad impugnare una deliberazione assembleare, riservando tale facoltà al solo socio dissenziente; inoltre, il termine di tre mesi decorre sin dalla trascrizione della deliberazione sul libro delle adunanze assembleari e non dall’iscrizione nel registro delle imprese, adempimento previsto unicamente per le società azionarie;

5) violazione o falsa applicazione degli artt. 1420,1446 c.c., art. 2377, penultimo comma, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto in assemblea legittimamente votò il socio Ci., sebbene la sua quota fosse sottoposta a sequestro, posto che con sentenza del 29 marzo 2001 il Tribunale dichiarò inefficace il provvedimento cautelare, in quanto non eseguito; mentre con decreto del 5 novembre 2001 la Corte d’appello, accogliendo il reclamo avverso il rifiuto di omologazione, ha ordinato, infine, l’iscrizione della deliberazione del 29 luglio 2000 nel registro delle imprese; ne deriva che, operando l’inefficacia ex tunc, deve considerarsi sin dall’inizio legittimato a partecipare all’assemblea il socio titolare della quota;

6) ripete la censura sub 1), con riguardo al giudizio introdotto dai signori C.;

7) ripete la censura sub 2), con riguardo al giudizio introdotto dai signori C.;

8) omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione ad impugnare la deliberazione da parte di C.F., nonchè della sorella M.R., in quanto il primo, come componente del c.d.a., aveva redatto il bilancio 1999, onde egli non avrebbe potuto venire contra factum proprium: ma la corte territoriale ha omesso la pronuncia, essendosi limitata ad affermare trattarsi di impugnazione per nullità della deliberazione, donde la facoltà di impugnarla anche da parte dell’amministratore;

9) violazione o falsa applicazione degli artt. 1175,1374,1375 c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto è contrario a buona fede impugnare un bilancio che si sia concorso a formare;

10) violazione o falsa applicazione degli artt. 2423,2423-bis e 2447 c.c., in quanto fu del tutto legittima l’imputazione a finanziamento soci, nel bilancio dell’esercizio 1999, della riserva di Euro 2.270.670.587, nel bilancio precedente qualificata come “versamenti in conto futuro aumento capitale sociale”: infatti, è vero che con la Delib. 1 settembre 1997 i soci decisero l’esecuzione di tali versamenti; tuttavia, una volta non operato nessun aumento – in quanto la società era in crisi sin dal 1999 e, pertanto, i soci decisero di provvedere a ridurre il capitale ex art. 2447 c.c. – si era verificata la condizione risolutiva del versamento, onde il passaggio alla voce “debiti verso soci” fu legittimo, con il conseguente obbligo di restituzione ai soci stessi e la validità del bilancio.

2. – La sentenza impugnata, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:

i) va condivisa la decisione del primo giudice, il quale – peraltro solo a titolo prudenziale e di opportunità – ordinò l’integrazione del contraddittorio unicamente nei confronti dei soci aventi tale veste successivamente alla deliberazione sul capitale, e non anche di quelli che erano tali prima di essa: ciò, sia perchè l’art. 2377 c.c. prevede che l’impugnazione proposta da un socio conduca all’annullamento della deliberazione con effetto nei confronti di tutti i soci; sia in quanto l’art. 2378 c.c., comma 5, impone soltanto la riunione delle cause, proposte avverso l’unica deliberazione, e non il litisconsorzio con tutti i soci; sia, infine, perchè la riunione dei giudizi ha comunque reso superfluo l’adempimento, essendo, a quel punto, tutti i soci presenti in causa;

il voto espresso da Ci.Gi. nell’assemblea del 29 luglio 2000 è invalido, essendo la quota nella titolarità di Servizi Italia s.p.a. e sottoposta a sequestro, con la conseguente titolarità del diritto di voto in capo al custode giudiziario; nè rileva che la deliberazione sia stata in seguito omologata dalla corte d’appello, non avendo l’avvenuta omologa effetti impeditivi nell’ambito del giudizio contenzioso di impugnazione della deliberazione; ne deriva che tale quota, pari al 32% del capitale sociale, va scomputata dal calcolo dei voti validi di approvazione della deliberazione, pari al 71%, con il conseguente mancato raggiungimento del quorum deliberativo dei due terzi del capitale sociale, previsto dall’art. 12 dello statuto;

iii) l’eccezione di tardività dell’impugnazione proposta da R.M., avanzata dalla società solo nella comparsa conclusionale in appello, è inammissibile; per completezza, l’atto di citazione fu notificato, comunque, entro tre mesi dalla pubblicazione della deliberazione di riduzione del capitale nel registro delle imprese, e, dunque, l’eccezione è pure infondata;

iv) è infondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva o carenza di interesse di F. e C.M.R., il primo perchè componente del c.d.a. che predispose il bilancio ed entrambi perchè lo approvarono nell’assemblea del 27 luglio 2000, votando poi anche a favore della Delib. sul capitale 29 luglio 2000: non opera, infatti, il termine di decadenza previsto dall’art. 2377 c.c., trattandosi di azione di nullità ex art. 2379 c.c., proponibile da ogni interessato, ai sensi dell’art. 1421 c.c.;

v) il bilancio del 1999 viola i precetti di veridicità e di chiarezza, in quanto la somma di Lire 2.270.670.587, già iscritta nel bilancio 1998 alla voce “altre riserve” e costituita dal versamento in conto aumento capitale sociale, è stata, invece, iscritta nel bilancio 1999 alla voce “debito verso soci”: dai documenti in atti, fra cui la Delib. societaria 1 settembre 1997, si trae che si trattava di versamenti in conto futuro aumento del capitale sociale, non restituibili ai soci fino alla liquidazione della società; pertanto, fu illecito il passaggio contabile della riserva a debito, e la restituzione delle somme ai soci, senza nessuna adeguata spiegazione, inoltre, nella nota integrativa; ne è derivata, pertanto, la nullità della Delib. approvazione del bilancio adottata il 28 luglio 2000 per illiceità dell’oggetto, in ragione della violazione sia dell’art. 2423-bis c.c., attesa l’illegittima appostazione della voce detta, sia dell’art. 2423 c.c., per la mancanza di chiarezza e precisione;

vi) dalla nullità della delibera di approvazione del bilancio deriva anche la nullità della seconda deliberazione, assunta dall’assemblea straordinaria del 29 luglio 2000 ai sensi dell’art. 2447 c.c., perchè la società non sarebbe stata nelle condizioni di azzerare il capitale, ove il bilancio fosse stato veritiero.

3. – Il primo, il secondo, il sesto ed il settimo motivo – che, pretendendo di affermare la tesi del litisconsorzio dei soci nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni sociali, possono trattarsi congiuntamente – sono manifestamente infondati.

Ai sensi dell’art. 2377 c.c., comma 7, la caducazione della deliberazione – perchè annullata o dichiarata nulla – ha effetto nei confronti di tutti i soci, in quanto partecipi all’ente societario, la cui deliberazione viene meno con effetto assoluto.

E’, infatti, una ipotesi nella quale è riconosciuta a più soggetti la legittimazione disgiuntiva ad agire per rimuovere una situazione giuridica, ma in cui, del pari, il legislatore ha espressamente previsto che l’accoglimento della domanda determina che la sentenza fa stato nei confronti di tutti i soci e di qualsiasi altro colegittimato all’impugnazione (si pensi: agli amministratori, ai sindaci, al titolare di un diritto minore, al titolare di uno strumento partecipativo a norma dell’art. 2346 o dell’art. 2349 cui sia stato attribuito il diritto di voto ex art. 2351, all’amministratore giudiziario nominato nel procedimento di controllo ex art. 2409 c.c., alle autorità indipendenti nelle società quotate).

Ulteriore conseguenza è che la sentenza di accoglimento dell’impugnazione (non così la pronuncia di rigetto, che non impedisce agli altri legittimati di proporre l’azione, ove non decaduti) “consuma” l’interesse ad agire dei colegittimati non partecipanti al giudizio, essendo ormai soddisfatto lo scopo cui tende la legittimazione concorrente, impedendo una successiva azione di impugnazione (cfr. Cass. 2 maggio 2007, n. 10139; v. pure Cass. 22 settembre 2014, n. 19914, in tema di consorzi).

Si tratta, dunque, di uno di quei casi, in cui l’ordinamento riconosce a più soggetti la legittimazione disgiuntiva ad agire per rimuovere una certa situazione giuridica ed espressamente dispone, inoltre, la soggezione al giudicato di chi non abbia agito, quale eccezione alla regola limitativa dell’art. 2909 c.c. (cfr., per tali concetti, anche Cass. 3 ottobre 2005, n. 19293).

A norma del medesimo art. 2377 c.c., comma 7, la pronuncia di annullamento impone agli amministratori di trarne le dovute conseguenze; invero, il giudice dapprima accerta la causa di illegittimità, e poi annulla la deliberazione, in tal modo imponendo all’organo gestorio l’adeguamento della vita societaria alla diversa situazione sopravvenuta, e salvi gli effetti della deliberazione per i terzi in buona fede.

Tali regole si applicano anche alla pronuncia di nullità, per l’espresso disposto dell’art. 2379 c.c., comma 4.

Ne deriva che detti motivi vanno tutti respinti.

4. – Il terzo ed il quarto motivo intendono entrambi censurare la sentenza impugnata, laddove ha disatteso l’eccezione, proposta dalla società, di decadenza dall’impugnazione.

La corte territoriale, sul punto, ha reso una duplice motivazione: essa ha ritenuto, dapprima, l’inammissibilità dell’eccezione, in quanto proposta solo nella comparsa conclusionale del giudizio d’appello; in secondo luogo, “per completezza”, ha osservato che l’azione è tempestiva, perchè proposta entro tre mesi dalla pubblicazione della deliberazione di riduzione del capitale nel registro delle imprese.

Ciò posto, è anzitutto infondato il terzo motivo: la sentenza, infatti, ha considerato l’eccezione e l’ha decisa, non incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.

In secondo luogo, occorre osservare che la prima motivazione esposta dalla sentenza impugnata non è validamente censurata dalla ricorrente: la deduzione di erronea declaratoria di inammissibilità dell’eccezione, invero, viola l’art. 366 c.p.c., non indicando la ricorrente il luogo ed il tempo della relativa tempestiva proposizione, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., nè riportando le parti della comparsa di risposta in cui l’eccezione sarebbe stata sollevata.

Invero, la parte, contravvenendo al principio di specificità, non indica il contenuto degli specifici atti dei giudizi di merito, da cui desumere la fondatezza della doglianza: pertanto, deve farsi applicazione del consolidato principio (e plurimis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; 29 settembre 2017, n. 22880; 20 luglio 2012, n. 12664; 20 settembre 2006, n. 20405) secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di error in procedendo, in relazione al quale la corte è anche giudice del fatto potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, esige che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo.

Il quarto motivo è poi inammissibile, laddove vorrebbe censurare la motivazione resa solo ad abundantiam dalla sentenza impugnata, essendo la prima pronuncia di inammissibilità dell’eccezione da sola idonea a sorreggere la decisione.

E ciò esime dal disattendere le altre gravi inesattezze giuridiche contenute nel motivo.

5. – L’ottavo ed il nono motivo – la cui trattazione, per ragioni di priorità logica, va anteposta rispetto al quinto – mirano a censurare la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva dei due attori della causa riunita ad impugnare le deliberazioni assunte dalla società.

Essi sono infondati.

La sentenza impugnata ha ritenuto che il componente del consiglio di amministrazione sia legittimato ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio, sebbene egli abbia contribuito alla redazione ed approvazione del progetto di bilancio e lo abbia approvato in assemblea; ha ritenuto, del pari, la legittimazione, quanto alla deliberazione di riduzione del capitale sociale, in capo alla socia, che pure aveva votato favorevolmente l’approvazione del bilancio nella prima deliberazione.

Se l’ottavo motivo si palesa inconsistente, attesa la pronuncia espressamente adottata sul capo de quo dalla decisione impugnata, il nono motivo – di pari consistenza quanto alla censura di omesso esame di fatto decisivo, invece pienamente esaminato dal giudice di merito e neppure avente tale connotazione di decisività – non tiene conto del principio consolidato, da tempo enunciato da questa Corte, secondo cui non è privo di legittimazione ad impugnare, nè abusa del diritto di impugnativa il socio-amministratore, che impugna la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio dopo aver in precedenza approvato il progetto di bilancio in qualità di componente del consiglio di amministrazione, per la mancanza di qualsiasi restrizione all’esercizio del diritto di impugnazione delle delibere difformi dalla legge o dall’atto costitutivo, e per avere in tal modo il soggetto esercitato funzioni e ruoli distinti, quello di amministratore e quello di socio, onde è ben possibile che abbia espresso due diverse valutazioni, senza che sia per ciò solo configurabile una violazione del divieto di venire contra factum proprium (Cass. 11 dicembre 2000, n. 15592; Cass. 24 luglio 2007, n. 16388).

A ciò si aggiunga che l’azione di nullità, qual è tipicamente quella di chi impugna un bilancio nullo od un’operazione sul capitale sociale sul primo fondata, è attribuita a chiunque vi abbia interesse, in quanto il legislatore ha preventivamente valutato la coesistenza di un interesse superindividuale (anzitutto, della società, accanto a quello dell’attore) alla caducazione di una deliberazione così gravemente viziata, tanto che l’azione, a differenza di quella di annullabilità, è data indipendentemente dalla posizione assunta circa l’approvazione della proposta in assemblea: e proprio questo esclude qualsiasi violazione dei precetti di correttezza e buona fede in capo a chi ritenga, re melius perpensa, di votare contro una deliberazione di approvazione del bilancio, che pure abbia condiviso nell’ambito del consiglio di amministrazione chiamato ad approvarne il progetto, oppure in sede dell’assemblea ex art. 2364 c.c., comma 1, n. 1, (per le s.r.l., dopo il 1 gennaio 2004, cfr. art. 2479 c.c., comma 2, n. 1) tenutasi separatamente da quella chiamata poi a deliberare la riduzione del capitale per perdite ex art. 2447 c.c.

6. – Il decimo motivo, che precede anch’esso il quinto seguendo un ordine di priorità logico-giuridica, è infondato.

6.1. – Esso censura la sentenza impugnata, laddove la corte d’appello, confermando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto nulle le due deliberazioni assembleari, in quanto aventi ad oggetto l’approvazione di un bilancio falso e la riduzione del capitale per perdite, fondata sul presupposto di un bilancio redatto in violazione dei criteri che ne regolano la redazione.

La corte, in particolare, ha reputato illegittima la traslazione di un importo, già iscritto come versamento soci nell’ambito delle “riserve” societarie, nella voce del passivo dedicata ai “debiti verso i soci” per finanziamenti da restituire.

Tale conclusione non merita censure.

6.2. – è noto che varie sono le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società, ciascuna munita di una propria causa concreta, onde dalla relativa qualificazione discendono conseguenze eterogenee rilevanti ed il giudice del merito deve verificarne la natura, attraverso un’analisi volta ad individuare la causa del negozio intervenuto fra socio e società.

Questa Corte ha già precisato i confini tra le diverse modalità di apporto dei soci in favore della società, eseguiti a vario titolo, nell’ambito di una prassi diffusa specialmente nelle società a più ristretta base personale (Cass. 29 luglio 2015, n. 16049, la quale cita Cass. 13 luglio 2012, n. 12003; 23 febbraio 2012, n. 2758; 13 agosto 2008, n. 21563; 24 luglio 2007, n. 16393; 30 marzo 2007, n. 7980, ed altre; più di recente, si veda Cass. 19 febbraio 2020, n. 4261, non massimata, ma edita; Cass. 20 aprile 2020, n. 7919; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31186; Cass. 8 giugno 2018, n. 15035; Cass. 23 marzo 2017, n. 7471).

Sono state, così, individuate le diverse figure in cui la “dazione” del socio – così genericamente indicata, prima che ad essa sia attribuita una qualificazione – va inquadrata, vale a dire: a) i conferimenti; b) i finanziamenti dei soci; c) i versamenti a fondo perduto o in conto capitale; d) i versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale.

a) I primi sono apporti di capitale di rischio, che entrano a comporre il capitale sociale nominale, esattamente ad essi corrispondente; possono essere, pertanto, restituiti ai soci in forma di residui post liquidazione, quando siano stati previamente soddisfatti tutti i debiti sociali (artt. 2350,2492 c.c.), oppure nel corso della vita della società, in presenza di una riduzione del capitale reale cd. per esuberanza, ove ne ricorrano i presupposti (art. 2445 c.c.).

Come si è chiarito (Cass., sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22659), in nessun modo può dirsi che, con il contratto di società o con i successivi conferimenti in sede di aumento del capitale, sorga un diritto soggettivo di credito del socio alla restituzione del conferimento: si tratta invece di partecipazione al rischio d’impresa, cui è esposto il capitale versato dal socio (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758).

b) I secondi sono mutui ex artt. 1813 c.c. e ss., derivanti da un contratto a forma libera tra il socio e la società, che vanno iscritti al passivo dello stato patrimoniale tra i debiti verso soci, i quali hanno diritto alla restituzione nei termini convenuti.

Il regime dei finanziamenti dei soci, previsto dagli art. 2467 c.c. e 2497-quinquies c.c., secondo cui essi sono postergati ove concessi in una situazione di squilibrio patrimoniale, non ne muta la natura di finanziamenti e non li trasforma in apporti assimilati al capitale di rischio (crediti sottochirografari, in quanto da rimborsare dopo gli altri creditori, ma prima dei soci). I finanzia menti cd. anomali restano prestiti e non divengono apporti di capitale, i quali ultimi verranno rimborsati solo all’esito della liquidazione, quindi dopo la restituzione anche dei prestiti anomali; il finanziamento è solo subordinatamente restituibile, onde la causa resta quella di finanziamento (tanto è vero che apposita disciplina di legge, quale la L. Fall., art. 182-quater, ed ora D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 102 ha potuto sottrarre alla regola della postergazione, ed anzi rendere prededucibili, i finanziamenti effettuati dai soci in vista di un concordato preventivo o di un piano di ristrutturazione dei debiti, così come per i finanziamenti di coloro che, dapprima terzi, siano diventati soci in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione) (cfr. Cass. 29 luglio 2015, n. 16049).

Si è precisato (Cass. 15 maggio 2019, n. 12994) che il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale: la quale, però, non opera una “riqualificazione” del prestito, da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti: “Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso invero la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo (art. 1813 c.c.) e non diventa causa di conferimento (art. 2343 c.c.)”.

c) I versamenti del terzo tipo sono privi della natura del mutuo, in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso; vanno, quindi, iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, che l’assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale (senza che occorra obbligatoriamente tener conto del soggetto che abbia operato il versamento, proprio in ragione dell’inesistenza vuoi di un credito alla restituzione delle somme, vuoi di una anticipata dazione a titolo di conferimento).

L’apporto del socio produce l’acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparate agli effetti sostanziali; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma una eventuale distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio.

d) Nell’ultima categoria, la dazione del denaro è finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione.

Si è parlato di una riserva “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che abbiano effettuato il versamento in relazione all’entità delle somme da ciascuno erogate (Cass. 24 luglio 2007, n. 16393; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314).

Ove l’aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell’indebito.

In sostanza, una funzione oggettiva di credito è da escludere dinanzi a versamenti in conto di un futuro aumento di capitale, visto che essi, ove l’aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre, ove l’aumento non intervenga, vanno sì restituiti, ma non perchè eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perchè la fattispecie programmata l’aumento di capitale – non si è perfezionata (così Cass. 3 dicembre 2018, n. 31186).

Dunque, va precisato che, perchè la “dazione” del socio sia ricondotta a tale categoria, è necessario che la subordinazione ad un aumento di capitale sia chiara ed inequivoca, mediante l’indicazione ex ante di elementi sufficientemente specifici e dettagliati, i quali inducano a ritenere effettivamente convenuta tra i soci l’effettuazione non di un versamento tout court a favore delle casse sociali, ma di un versamento avente titolo e causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale mediante un futuro conferimento, che, sebbene meramente rinviato rispetto al momento della dazione materiale della somma, sia nondimeno sin dall’inizio volto, secondo la complessiva operazione programmata dai soci, ad aumentare la rispettiva quota di partecipazione sociale, in termini assoluti.

Ciò, per il principio generale di determinatezza o determinabilità ex art. 1346 c.c., secondo cui deve essere sempre individuabile con sufficiente certezza l’oggetto del contenuto precettivo di un accordo negoziale.

Le sole parole usate non sono, dunque, di per sè esaustive, ben potendo un versamento essere denominato, nei documenti societari e contabili, come eseguito “in conto futuro aumento del capitale sociale”, ma non essere affatto, nel contempo, accompagnato da quegli indici di dettaglio (ad es., il termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, ma anche altre caratteristiche dello stesso), che soli qualificano la dazione come da ricondurre alla categoria in esame.

In tal caso, pertanto, l’iscrizione in bilancio avviene sempre come riserva, e non come finanziamento soci; ma, perchè sorga pure l’obbligo restitutorio condizionato, dovrà, altresì, essere evidenziato che l’apporto è suscettibile di restituzione ai soci in virtù dell’effetto risolutorio riconnesso a tale tipo di apporto, per tale profilo dunque avvenuto in modo non definitivo (a differenza degli altri versamenti).

6.3. – Decisiva nella qualificazione della dazione è l’interpretazione della volontà delle parti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito.

Occorre, in particolare, da parte di questi accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo o di un contratto atipico di conferimento, ed, in quest’ultimo caso, se esso sia stato – in modo inequivoco – condizionato o no, nella restituzione, ad un futuro aumento del capitale nominale della società.

L’indagine sul punto può tener conto di ogni elemento, quali le clausole statutarie che tali versamenti prevedano, il comportamento delle parti, i fini perseguiti, le scritture contabili, i bilanci e qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti.

6.4. – Ne deriva il principio di diritto, che va ora affermato, secondo cui non è arbitro l’organo amministrativo di appostare in bilancio le dazioni di denaro dei soci in favore della società, nè di mutare la voce relativa, successivamente alla iscrizione originaria, dovendo essa rigorosamente rispecchiare la effettiva natura e causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nella interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

6.5. – Nella specie, la corte del merito ha accertato, sulla base dei documenti in atti e della espletata c.t.u., trattarsi di “versamenti genericamente effettuati in conto futuro aumento capitale sociale”, quali “apporti di patrimonio”, secondo gli accertamenti operati dal giudice del merito “non restituibili ai soci fino alla liquidazione della società stessa”: come essa ha desunto, in particolare, dalla deliberazione assembleare in cui i soci concordarono tali versamenti, assunta in data 1 settembre 1997.

La contabilizzazione della posta era, dunque, avvenuta correttamente tra le semplici riserve.

Nè, pertanto, ne era legittima un’arbitraria diversa appostazione tra i debiti sociali, ad opera del c.d.a., senza che venisse neppure giustificata la scelta sulla base delle norme di redazione del bilancio: le quali, al contrario, esigono continuità di redazione, ai sensi dell’art. 2423-bis c.c., comma 1, n. 6, secondo cui – anche nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alla riforma del diritto societario – i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.

Pertanto, non possono ad libitum mutare i criteri di redazione da un esercizio sociale all’altro, posto che deroghe al principio enunciato sono consentite “in casi eccezionali”; mentre la nota integrativa deve, in ogni caso, esaurientemente motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico, come dispone l’art. 2423-bis c.c., comma 2, del pari già nel testo applicabile al bilancio per cui è causa.

7. – La corretta conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata in ordine alla nullità delle due deliberazioni per falsità del bilancio è idonea ad assorbire il quinto motivo proposto, vertente sul dedotto voto in assemblea di soggetto non legittimato: invero, la caducazione delle deliberazioni per tale radicale ragione rende superfluo l’esame delle censure afferenti gli altri vizi di legittimità delle deliberazioni stesse, pur ravvisati in via concorrente dai giudici del merito.

8. – In conclusione, il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore solidale dei controricorrenti, liquidate in Euro 10.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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