Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29324 del 21/10/2021

Cassazione civile sez. II, 21/10/2021, (ud. 24/06/2021, dep. 21/10/2021), n.29324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26774/2016) proposto da:

A.P., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Angelo

Vallefuoco, e Antonio Chianese, ed elettivamente domiciliato presso

lo studio legale Vallefuoco & Associati s.t.p., in Roma, viale

Regina Margherita, n. 294;

– ricorrente –

contro

M.D.C., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso,

dall’Avv. Massimo Pozzo, ed elettivamente domiciliata presso il suo

studio, in Roma, v. G. Antonelli, n. 50;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5389/2016

(pubblicata il 13 settembre 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 giugno 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria della difesa del ricorrente depositata ai sensi

dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Ar.Pa., dopo aver ottenuto in sequestro conservativo “ante causam”, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il figlio P. chiedendo che fosse condannato a restituire l’importo di Euro 500.000,00, ritenuto indebitamente prelevato dallo stesso il 2 novembre 2006 dal conto corrente n. (OMISSIS) in corso presso il Banco di Napoli – filiale di (OMISSIS), cointestato, dopo la morte della prima moglie, al citato figlio, e che era stato alimentato con versamenti effettuati esclusivamente da esso attore con gli stipendi conseguiti per effetto del suo stato di dipendente della Camera dei deputati, con i successivi ratei di pensione e con l’accreditamento del suo TFR (per Lire 191.000.000).

Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale, oltre a resistere, formulava domanda riconvenzionale diretta ad accertate che le somme versate sul citato conto corrente erano integralmente di sua proprietà, deducendo, in subordine, che le stesse dovessero essere considerate di proprietà comune con il genitore, e che, pertanto, avrebbe dovuto comunque trovare applicazione l’art. 1298 c.c., comma 2.

All’esito dell’esperita istruzione probatoria, l’adito Tribunale, con sentenza n. 3418/2009, accoglieva integralmente la domanda attorea, rigettando quelle riconvenzionali formulate dal convenuto, ritenendo che era stata superata la presunzione di cui al menzionato art. 1298 c.c., comma 2, nel senso che era stata dimostrata l’integrale riconducibilità all’attore delle somme versate sul conto corrente, nonostante la formale cointestazione dello stesso al figlio P..

2. Decidendo sull’appello proposto dal convenuto soccombente e nella costituzione dell’appellato, al quale succedeva a seguito del suo sopravvenuto decesso M.D.C., ultimo suo coniuge, che si costituiva ritualmente in giudizio (riportandosi alle difese del defunto marito), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5389/2016, respingeva il gravame, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata pronuncia, la Corte laziale rilevava che non era emersa alcuna prova circa la titolarità esclusiva sulle somme depositate sul conto corrente in capo all’ A.P., il quale, anzi, con lettera del 1 dicembre 2006, acquisita in giudizio, aveva riconosciuto, a fronte delle rimostranze del padre per il compiuto illegittimo prelevamento dell’importo di Euro 500.000,00, che i soldi di sua competenza erano a sua disposizione e servivano per curare lo stesso e sua moglie ma non per dissiparli.

Aggiungeva la Corte di appello – nel confermare anche sul punto la statuizione del giudice di prime cure – che, a fronte del riscontro che il padre dell’appellante aveva dato prova dell’afflusso di tutte le sue entrate sul conto corrente, l’ A.P. non aveva né allegato né offerto alcun riscontro circa la riconducibilità di parte delle somme ivi depositate alla sua sfera personale.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, l’ A.P., resistito con controricorso dall’intimata M.D.C..

La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 132 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte di appello qualificato erroneamente l’oggetto del giudizio come “ripetizione di indebito” invece che come azione di rivendica della proprietà di un bene mobile, quale è il denaro, in base alle domande delle parti e delle loro eccezioni, con la conseguenza di aver applicato erroneamente i criteri in tema di prove.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (nella versione antecedente alla sua novellazione del 2012) e dell’art. 115 c.p.c., per aver il giudice di appello ritenuto inammissibili determinati documenti che, invece, erano indispensabili perché dotati di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già ritenute rilevanti sulla decisione finale della causa. In ogni caso, ha censurato l’omessa valutazione che la tardiva produzione della documentazione non era imputabile ad esso ricorrente quale appellante, avendo egli addotto e comprovato che i documenti prodotti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, non erano disponibili precedentemente perché era stato possibile rinvenirli solo dopo la morte del padre, avvenuta nel dicembre 2014, allorquando gli era stato possibile accedere nel suo appartamento.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1298 e 2729 c.c., per aver la Corte di appello ritenuto che, per il superamento della presunzione di cui del citato art. 1298 c.c., comma 2, erano da considerarsi elementi di prova contraria non quelli che avrebbe dovuto allegare l’attore Ar.Pa. bensì quelli che non sarebbe riuscito a dimostrare esso A.P. a conforto della sua domanda riconvenzionale. Regolandosi in tal modo la Corte di secondo grado non aveva – secondo la prospettazione del ricorrente – rispettato il principio dell’inversione dell’onere della prova di cui allo stesso art. 1298 c.c., avendo in sostanza onerato esso ricorrente anche di una prova che era a carico del padre (circa il superamento della presunzione di contitolarità), asserendo la violazione e falsa applicazione del medesimo art. 1298: ciò anche in considerazione del fatto che risultava allegato e dedotto che il controverso conto corrente, prima che venisse cointestato ad esso A.P., era stato cointestato alla prima moglie del padre, il quale aveva rinunciato all’eredità di quest’ultima.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato la nullità dell’impugnata sentenza per la mancata indicazione delle parti e per aver omesso di stabilire quali conseguenze aveva avuto il decesso dell’originario attore rispetto alla titolarità dell’importo di Euro 500.000,00 oggetto di causa, limitandosi solo con la motivazione ed il dispositivo a confermare la sentenza di primo grado della sua condanna alla restituzione di tale importo in favore del padre, considerando del tutto irrilevante che l’intervenuto decesso del genitore avrebbe potuto influire, in ipotesi, solo sulla determinazione della misura dell’attuale credito della coerede M. in seguito alla confusione della qualità di debitore e creditore in capo ad esso ricorrente (già appellante).

5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, infatti, non è affatto sostenibile che la domanda così come originariamente proposta dall’ Ar.Pa. fosse stata propriamente qualificata come un’azione di ripetizione di indebito, essendo stata, invero, correttamente ricondotta ad un’azione di rivendica, posto che il “petitum” dedotto con l’atto di citazione era diretto ad ottenere l’accertamento dell’esclusiva titolarità delle somme affluite sul controverso conto corrente in capo ad esso attore, per effetto del quale era stata richiesta la condanna del figlio (oggi ricorrente) alla restituzione dell’importo indebitamente (nel senso, proprio, di illegittimamente) prelevato.

6. Anche la seconda censura è priva di fondamento e va disattesa.

Osserva, invero, il collegio che la Corte di appello ha adeguatamente motivato sull’irrilevanza dei documenti e dei capitoli di prova orale articolati dalla difesa dell’odierno ricorrente (già appellante), e quindi sul rigetto delle relative istanze, in quanto attinenti o a circostanze pacifiche o a fatti non decisivi, anche al cospetto dell’acquisizione della dichiarazione confessoria stragiudiziale resa dall’ A.P. nella lettera in atti del l dicembre 2006 e di quella confessoria giudiziale resa a seguito di interrogatorio formale ritualmente deferitogli, per effetto della quale egli aveva ammesso di non aver versato alcuna somma di sua diretta provenienza sul conto corrente dedotto in giudizio.

7. Pure la terza doglianza non coglie nel segno e va respinta.

Il collegio ritiene che la Corte di appello ha correttamente applicato il principio del riparto dell’onere probatorio con riferimento all’azione intrapresa, avendo appurato che l’ Ar.Pa. lo aveva assolto con il riscontro dei suoi versamenti sul conto corrente (il cui saldo alla data del 2 novembre 2006 risultava del tutto coerente ed adeguato con la misura corrispondente a tali versamenti ricollegabili esclusivamente ad entrate patrimoniali riconducibili in via esclusiva allo stesso attore), nel mentre il figlio non aveva offerto alcuna prova che sul conto fosse-estati fatti affluire anche importi a lui direttamente e personalmente riconducibili, in tal modo ritenendo che l’attore-appellato aveva idoneamente superato la presunzione stabilita dell’art. 1298 c.c., comma 2.

A tal proposito la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 4066/2009, Cass. n. 4496/2010 e Cass. n. 18777/2015) ha chiarito che, nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì del citato art. 1298 c.c., comma 2, in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente (con applicabilità, eventualmente, anche di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, tuttavia insussistenti nella fattispecie), con la conseguenza che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti (come accertato puntualmente in fatto dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza), si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo.

Ne’ la Corte di appello è incorsa nella denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c., dal momento che essa ha motivato sull’irrilevanza dei medesimi documenti prodotti solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, diventando, perciò, ultronea la valutazione sull’ammissibilità o meno dei relativi mezzi di prova e la verifica della circostanza sulla possibile inimputabilità della mancata produzione precedente in capo all’odierno ricorrente (che, oltretutto, avrebbe potuto farli acquisire tramite la richiesta di ordine di esibizione delle necessarie scritture contabili diretto alla banca presso la quale era stato accesso il conto corrente).

8. Il quarto e ultimo motivo è del tutto infondato e ciò, in primo luogo, perché la qualità delle parti risulta specificamente indicata (sotto il profilo della loro posizione processuale) nell’impugnata sentenza e, in secondo luogo, per la corretta ritenuta irrilevanza della sopravvenuta circostanza del decesso dell’originario attore (poi appellato), siccome essa avrebbe potuto influire, in via potenziale, solo per la determinazione della misura dell’attuale credito della coerede M. (ultimo coniuge dell’ Ar.Pa.), per effetto della confusione della qualità di debitore e creditore in capo all’ A.P. (al quale non è rimasto, perciò, precluso l’esercizio del suo diritto al riconoscimento dell’eventuale quota spettantegli quale coerede, da far valere, eventualmente, con autonoma azione, e non determinabile con la sentenza di appello da riferirsi, quale oggetto, alla sola domanda iniziale introdotta dallo stesso Ar.Pa.), con ciò, perciò, non risultando disconosciuta – da parte della Corte di appello – la possibile qualità di coerede dell’odierno ricorrente (e, quindi, non omettendo di considerare la sua nuova posizione), rimanendo oltretutto salva l’eventuale apertura di una successione testamentaria.

9. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i corrispondenti ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021

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