Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29318 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 26/10/2020, dep. 22/12/2020), n.29318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10240/2015 proposto da:

Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.a. in Amministrazione

Straordinaria, in persona dei commissari straordinari pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via L.G. Faravelli n. 22, presso

lo studio dell’avvocato Maresca Arturo, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Chinotto n. 1, presso lo studio dell’avvocato Minucci Stefano, che

lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 238/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

13/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2020 dal cons. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.M. domandava di essere ammesso, in prededuzione, allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria di Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. per l’importo di Euro 70.833,00: il titolo della domanda era costituito dall’indennità supplementare prevista dall’accordo sindacale del 27 aprile 1995.

La domanda era respinta dal giudice delegato, il quale rilevava anzitutto non essere stato dedotto in ricorso che l’istante fosse rimasto privo del posto di lavoro: circostanza che, a suo avviso, assumeva rilievo in considerazione del fatto che la detta indennità trovava applicazione nei soli casi in cui il rapporto di lavoro si fosse risolto per licenziamento per giustificato motivo oggettivo; lo stesso giudice delegato osservava, inoltre, che in forza del disposto della L. n. 570 del 1999, artt. 20 e 52 il rango della prededuzione doveva essere riconosciuto a quei soli crediti che avevano una funzione tipicamente retributiva, laddove il credito in questione aveva natura indennitaria.

2. – C. proponeva opposizione che il Tribunale di Roma, con decreto pubblicato il 25 febbraio 2015, accoglieva: era così accertato il diritto del ricorrente ad essere inserito nello stato passivo per l’importo sopra indicato, in prededuzione. Il Tribunale osservava che l’opponente aveva provato, nel giudizio di opposizione, il proprio stato di disoccupazione. Rilevava, poi, che allorquando la società in amministrazione straordinaria decide di non licenziare un dirigente, tutti i crediti maturati da quest’ultimo risultano “sorti in funzione della continuità aziendale, e (sono) dunque da collocarsi in prededuzione, senza che sia dato distinguere tra quelli aventi maggiore o minore funzione retributiva, piuttosto che indennitaria”; sempre con riferimento al rango del credito, precisava che l’indennità in questione sorgeva solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, onde escludere che la stessa fosse prededucibile equivaleva “a negare la possibilità di regolarla in sede concorsuale”.

3. – La pronuncia del Tribunale è stata impugnata dall’amministrazione straordinaria con un ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Resiste con controricorso C.M. che ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sulla propria eccezione relativa alla non riferibilità del motivo di licenziamento alla procedura di amministrazione straordinaria. Assume l’istante che nella propria memoria di costituzione aveva eccepito che il licenziamento non era stato motivato “con riferimento alla procedura”, quanto piuttosto dalla chiusura dell’azienda.

Col secondo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale del 27 aprile 1995, allegato I al CCNL dirigenti aziende industriali. Rileva il ricorrente che nel verbale di accordo del 27 aprile 1995 si prevedeva che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto risultava dovuta ove l’azienda avesse risolto il rapporto di lavoro a tempo indeterminato motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni in esso indicate, tra cui era compresa l’amministrazione straordinaria attuata ai sensi della L. n. 95 del 1979; osserva, al riguardo, che il licenziamento non era stato di contro direttamente determinato dall’ammissione alla procedura, bensì dalla autonoma determinazione del commissario di far cessare l’attività di impresa.

Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi che dimostrerebbero la prosecuzione dell’attività aziendale successivamente all’ammissione della procedura di amministrazione straordinaria e la riconducibilità del recesso alla determinazione del commissario avente ad oggetto la chiusura dell’attività produttiva aziendale. Si tratta di una censura che declina sul versante dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la questione relativa alla motivazione del recesso dal rapporto di lavoro da parte del commissario.

Il quarto motivo oppone la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per omissione o illogicità della motivazione in ordine alla spettanza dell’indennità supplementare a fronte di un recesso motivato con la cessazione dell’attività produttiva e la nullità della sentenza, per mancanza di motivazione sul punto. I temi oggetto dei precedenti motivi vengono qui prospettati avendo riguardo alle lacune e aporie del percorso argomentativo che, secondo l’istante, presenterebbe la pronuncia impugnata.

1.1. – I quattro motivi non meritano accoglimento.

Viene in questione la previsione del verbale di accordo del 27 aprile 1995, allegato I al CCNL Dirigenti aziende industriali, che recita: “In presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di cui alla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 1, comma 3, nonchè delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi della L. 19 dicembre 1984, n. 863, art. 1 l’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”. Precisa lo stesso accordo che tale disciplina “trova applicazione, con pari decorrenza, anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria (gestione commissariale) attuata ai sensi e con la procedura della L. 3 aprile 1979, n. 95, sempre che l’azienda motivi il recesso con riferimento alla situazione di cui alla legge medesima”.

Il primo e il quarto motivo di ricorso come detto – prospettano il vizio di omessa pronuncia sulla questione della non riferibilità del motivo di licenziamento alla procedura di amministrazione straordinaria e quello di omessa o illogica motivazione sulla medesima questione. In realtà, il Tribunale mostra di conferire rilievo dirimente, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità, alla circostanza per cui il rapporto di lavoro era stato unilateralmente risolto dal commissario straordinario a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria (pag. 4 del decreto impugnato): in tal modo, l’eccezione dell’odierna ricorrente, fondata sulla assenza di una motivazione del licenziamento specificamente riferita alla procedura di amministrazione straordinaria risulta essere stata oggetto di un assorbimento. Ora, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33764; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663).

L’eccezione svolta dalla ricorrente è peraltro infondata, e tanto giustifica il rigetto del secondo e del terzo mezzo di censura. In proposito è da osservare che questa Corte, in passato, con riferimento all’accordo collettivo del 16 maggio 1985 (pienamente sovrapponibile a quello del 7 aprile 1995, per quanto qui interessa), ha osservato che la disposizione che attribuisce l’indennità prescinde dall’epoca in cui interviene il recesso del dirigente, ma “la ricollega ad una situazione in itinere, insorta con intenzione conservativa, il rischio del cui esito negativo non può trasferirsi sul dirigente esclusivamente in base al dato temporale offerto dall’epoca del recesso, pur sempre giustificato in attuazione della pattuizione collettiva di riferimento” (Cass. 13 luglio 2005, n. 14769, in motivazione) e ha inoltre evidenziato che “il riferimento alle situazioni specificamente previste non deve necessariamente aver luogo con l’uso di formule sacramentali ma può sussistere nel caso in cui la soppressione del posto di lavoro rappresenti la naturale e diretta conseguenza della cessazione di ogni attività produttiva dovuta alla riconosciuta crisi aziendale” (Cass. 23 settembre 2000, n. 12628, in motivazione). Sulla stessa linea, più di recente la Corte, prendendo in esame l’accordo collettivo del 7 aprile 1995, che ha trovato applicazione nella presente vicenda, ha osservato che “l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto ivi prevista per i dirigenti di azienda deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro” (Cass. 4 gennaio 2019, n. 86).

2. – Col quinto mezzo si deduce la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 111, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 20 nonchè del verbale di accordo del 27 aprile 1999 in ordine alla affermata prededucibilità del credito. Il ricorrente assume che l’identità supplementare avrebbe natura di “penale forfettaria” prevista per specifiche ipotesi di licenziamento oggettivo e che essa non potrebbe costituire oggetto di un “credito sorto per la gestione del patrimonio aziendale”.

Il sesto motivo censura il decreto impugnato per violazione di legge in riferimento all’art. 111 Cost., comma 6, all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. e nullità della sentenza. L’istante deduce come le argomentazioni svolte, da parte del giudice dell’opposizione, con riguardo al tema della prededuzione, fossero connotate da grave illogicità.

2.1. – I due motivi vanno disattesi alla luce del seguente principio, affermato dalla S.C.: “L’indennità supplementare prevista dall’accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale” allegato al CCNL dei dirigenti aziendali, costituisce – a prescindere dalla sua natura retributiva o indennitaria – un credito da ammettere al passivo in prededuzione L. Fall., ex art. 111, per i dirigenti di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria che siano cessati dal rapporto di lavoro solo successivamente al provvedimento di ammissione alla procedura, essendo la sua prosecuzione indubitabilmente funzionale alle esigenze di continuazione dell’attività di impresa” (Cass. 19 novembre 2018, n. 29735).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 26 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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