Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29316 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 14/11/2018), n.29316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21640/2013 R.G. proposto da:

DERA s.a.s. di D.L.A. e C. in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Oreste

Cantillo e dall’Avv. Guglielmo Cantillo, con domicilio eletto preso

lo studio del primo, in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 17, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 62/32/2013 depositata l’8 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate notificava avviso di accertamento alla DERA s.a.s., di D.L.A., esercente attività di intermediazione del commercio di prodotti particolari, con determinazione di un reddito ai fini Irap per Euro 481.993,00 a fronte di quello dichiarato pari ad Euro 154.118,00, oltre ad un maggiore volume di affari ai fini Iva per Euro 630.446,00, a fronte di Euro 302.591,00 dichiarati. Per l’Agenzia la società aveva acquistato, senza contabilizzazione, dalla Ceramica Euro s.p.a. della merce (piastrelle), poi rivenduta “in nero” a terzi, con l’applicazione della percentuale di ricarico del 25%. Inoltre, vi era stata indebita detrazione di n. 12 fatture di acquisto di carburante con schede prive di firma del gestore dell’impianto, nonchè 5 fatture relative a soggetti diversi.

2. La contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale evidenziando che l’avviso era carente di motivazione, in quanto formulato per relationem ad un processo verbale redatto nei confronti di un soggetto diverso (Ceramica Euro spa), mai portato a conoscenza della società, che questa peraltro non svolgeva attività di diretto commercio, ma solo attività di intermediazione, che la Ceramica Euro era solo una ditta mandante nei confronti della ricorrente e non una fornitrice, che gli assegni si riferivano proprio all’attività di intermediazione, che la Ceramica Euro aveva preteso una sorta di “cauzione” a garanzia del pagamento delle merci da parte dei clienti individuati dalla Dera, che quindi la Dera versava in anticipo il costo della merce al netto delle provvigioni pari all’11% nel 2004 ed al 13% nel 2005, che altra parte degli assegni era riconducibile al D.L. personalmente che aveva acquisito una quota azionaria presso la Ceramica Euro s.p.a..

3. La società depositava proposta di conciliazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, sicchè le parti chiedevano un rinvio. La Commissione tributaria provinciale, però, non concedeva il rinvio e depositava sentenza con cui rigettava il ricorso.

4. La Commissione tributaria regionale, con sentenza 62/32/2013, depositata l’8-3-3013 (avviso di accertamento (OMISSIS) Iva + Irap 2005), accoglieva il gravame proposto dalla società, ben potendo la Commissione provinciale concedere il chiesto rinvio, sussistendone tutti i presupposti, e, poichè l’Ufficio aveva ribadito la volontà di accogliere l’istanza di conciliazione, riduceva nel merito i maggiori ricavi accertati nella misura del 30%.

5. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione la società.

6. Resisteva l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, commi 4 e 5, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto la Commissione regionale, dopo avere annullato la sentenza della Commissione provinciale che non aveva concesso il termine per la definizione della conciliazione, non poteva decidere nel merito, ma avrebbe dovuto rimettere le parti dinanzi al primo Giudice per definire la conciliazione. In caso di mancato versamento delle somme, infatti, il giudizio deve proseguire, sicchè tale prosecuzione deve avvenire dinanzi al primo giudice, perdendo altrimenti le parti un grado di giudizio.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società deduce “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, commi 5 e 6, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto la Commissione regionale, dopo avere rilevato l’errore in cui era incorsa la Commissione provinciale, ha deciso il merito della controversia riducendo del 30% i maggiori ricavi accertati, con una determinazione del tutto arbitraria e disancorata dal contesto dell’accordo conciliativo. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, comma 6, prevedeva, invece, la riduzione del 40% delle sanzioni irrogabili alla stregua della nuova determinazione del tributo.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la società deduce “violazione dell’art. 112 c.p.c.: omessa pronuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, in quanto la Commissione regionale non ha esaminato i motivi specificatamente dedotti dalla società con l’atto di appello, e segnatamente: la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, u.p., e della L. n. 212 del 2000, art. 7, avendo l’Agenzia posto a base dell’avviso di accertamento le risultanze di un processo verbale di constatazione concernente la Ceramica Euro s.p.a., non allegato all’atto impositivo e mai portato a conoscenza della contribuente; la sostanziale mancanza di motivazione in ordine alle eccezioni formulate quanto agli assegni, analiticamente documentati, emessi in proprio da D.L.A., in realtà diretto all’acquisizione di una quota azionaria nella società suddetta.

3.1. Deve essere rilevato d’ufficio il difetto di contraddittorio necessario con i soci della società di persone che non hanno partecipato nè ai giudizi di merito nè al giudizio di legittimità.

Invero, per la Suprema Corte a Sezioni Unite, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass. Civ., Sez. Un., 4 giugno 2008, n. 14815; in tema di Irap cfr Cass. Civ., 20 giugno 2012, n. 10145). Nella specie, non hanno partecipato ai giudizi di merito di primo e secondo grado i soci della società, con conseguente nullità di tali giudizi, svoltisi senza la partecipazione necessaria dei soci.

Infatti, l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso d’impugnazione, la necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti dei soci, salvo che l’Ufficio abbia contestualmente proceduto, con un unico atto, ad accertamenti ai fini anche di altre imposte (nella specie, IRAP), fondati su elementi comuni, atteso che, in detta ipotesi, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA non si sottrae al vincolo necessario del “simultaneus processus” per l’inscindibilità delle due situazioni, in quanto insuscettibile di autonoma definizione (Cass.Civ., 14 marzo 2018, n. 63030).

Nella fattispecie in esame, la società ha impugnato l’avviso di accertamento anche ai fini Irap, oltre che per Iva.

3. Restano assorbiti i tre motivi di impugnazione.

4. Le spese di tutti i gradi di giudizio, di merito e di quelle di legittimità, interamente compensate tra le parti in quanto la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è consolidata solo a decorrere dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2008 suindicata.

P.Q.M.

Cassa la sentenza impugnata per difetto di contraddittorio e dichiara la nullità dell’intero giudizio, con rinvio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli in diversa composizione. Dichiara assorbiti i tre motivi di impugnazione. Compensa interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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