Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29313 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 14/11/2018), n.29313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24783/2011 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Riccardo Vianello e

dall’Avv. Roberto Masiani, con domicilio eletto preso lo studio del

secondo, in Roma, Piazza Adriana n. 5, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 28 marzo 2011 depositata il 1^ marzo 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate, dopo aver ricevuto il questionario completato dal contribuente, emetteva due avvisi di accertamento nei confronti di M.D., quale titolare di attività di riparazione meccaniche di autoveicoli, per gli anni 2003 e 2004, ai fini Iva, Irpef ed Irap.

2. Proponeva ricorso il M., accolto in parte dalla Commissione tributaria provinciale.

3. Proponeva appello il contribuente, respinto dalla Commissione tributaria regionale, la quale evidenziava che il M. non aveva riproposto tempestivamente in appello la richiesta di nullità dell’avviso per il mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla chiusura della verifica fiscale, avendola richiamata solo nella successiva memoria illustrativa, che peraltro, nella specie non si era proceduto ad una verifica fiscale a carico del contribuente, con accesso sul luogo, ma solo ad una mera comunicazione di dati tramite questionario, che l’accertamento induttivo era giustificato dalla circostanza che i redditi dell’impresa erano inferiori ai compensi ai dipendenti, uno di essi peraltro assunto nel 2004.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente.

5. Resisteva l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione del procedimento – violazione dell’art. 346 c.p.c. – Il giudice ha erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione in punto contraddittorio accertativo”, in quanto la richiesta di nullità degli accertamenti è stata riproposta espressamente nell’atto di appello.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge. Violazione dell’obbligatorietà del contraddittorio accertativo”, in quanto lo svolgimento del contraddittorio con il contribuente è sempre obbligatorio prima dell’avviso di accertamento, anche in assenza di un accesso diretto sui luoghi, ma con risposta del contribuente ai questionari inviati dall’Amministrazione.

2.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, effettivamente il contribuente ha riproposto con l’atto di appello la richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento, in quanto non emesso dopo il decorso dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Pertanto, non vi è stata la ritenuta omessa riproposizione di domande non accolte dal giudice di prime cura ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56.

Tuttavia, si rileva che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale dì contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Civ., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823). Pertanto, con riferimento ai rilievi relativi all’Irpeg ed all’Irap non vi è alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.

Per quanto attiene all’iva, invece, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il contribuente in sede giudiziale deve dimostrare che se vi fosse stato il preventivo contraddittorio il risultato sarebbe stato diverso, nel senso che tale contraddittorio non si sarebbe risolto in un mero simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi (Cass. Civ., 24823/2015, in motivazione).

Nella specie, neppure con il ricorso per cassazione vengono allegati concreti elementi, che la parte avrebbe potuto e dovuto evidenziare sin dal ricorso introduttivo per evitare l’emissione dell’avviso di accertamento o per ridurre gli importi contestati.

Inoltre, di recente la Suprema Corte ha chiarito che il rispetto del principio del contraddittorio va assicurato anche per gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione della documentazione. Il termine dilatorio di 60 giorni per attivare il contraddittorio tra amministrazione e contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7), si applica anche per gli “accessi brevi” nel rispetto dei principi costituzionali di collaborazione e buona fede tra fisco e contribuente (Cass. Civ., 12 marzo 2018, n. 5999).

Tuttavia, nel caso che ci riguarda non v’è stato neppure un accesso breve, ma solo una richiesta di documenti alla società, tramite invio di libri contabili e di questionario.

Infatti, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti cd. “a tavolino”, senza che, peraltro, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, possa essere interpretato nel senso che la consegna della documentazione contabile spontaneamente effettuata dal contribuente presso gli uffici dove viene eseguita la verifica possa essere equiparata a quella compiuta presso la sede della società e successivamente proseguita, ai sensi del comma 3 di detta disposizione, negli uffici dell’amministrazione (Cass. Civ., 14 marzo 2018, n. 6219).

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Il Giudice ha omesso di valutare se l’accertamento induttivo sia o meno legittimo laddove il reddito del contribuente è congruo secondo gli studi di settore”. Per il ricorrente se i ricavi dell’impresa dichiarati dal contribuente sono in linea con i dati degli studi di settore, non ha alcun valore l’accertamento induttivo. La Commissione avrebbe utilizzato solo i dati risultanti dal questionario, senza tenere conto dei dati emergenti dagli studi di settore.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, si premette che, per giurisprudenza di legittimità, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza e del comune buon senso. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. Civ., 15 giugno 2009, n. 13915). Inoltre, si è affermato che la facoltà per l’Amministrazione Finanziaria di procedere ad accertamento induttivo, sussiste non solo quando la dichiarazione del contribuente non sia congrua con gli studi di settore, ma quando gli accertamenti possano essere fondati sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività, ed a ciò consegue, quindi, l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. Civ., 7 dicembre 2016, n. 25129).

Nella specie, la Commissione regionale, con motivazione completa, congrua e logica ha evidenziato che l’impresa, nelle due annualità considerate (2003 e 2004), ha utilizzato alcuni dipendenti, di cui uno assunto proprio nel 2004, con compensi ad essi pagati superiori al reddito di impresa, tale da non garantire “un ragionevole sostentamento”.

Pertanto, la Commissione ha sottolineato che “il presupposto che ha determinato, legittimandolo, l’avvio dell’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lettera d, ovvero l’evidente antieconomicità dell’attività artigianale svolta dal contribuente, non è stato assolutamente giustificato nè superato dalla difesa del contribuente”.

4. Le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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