Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29313 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 12/11/2019), n.29313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6240-2019 proposto da:

D.C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO

FALA’ DI BRUNO, 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimati –

avverso il decreto n. 31301/201S R.G. del TRIBUNALE di ROMA,

depositato 1/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 11/1/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma in ordine alle istanze avanzate da D.C.B. nato in Nigeria il 5/12/1990, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma di essere fuggito dal proprio paese per cercare un lavoro per mantenere la famiglia nonchè per motivi politici in quanto perseguitato dal partito che aveva vinto le elezioni. Avverso il decreto del Tribunale di Roma il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, non meglio precisate, sul dovere di cooperazione istruttoria officiosa (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3.

Con il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in ragione del mancato assolvimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria a cui il giudice era tenuto, in forza del quale avrebbe dovuto controllare l’attendibilità del racconto applicando i criteri di tipo presuntivo favorevoli al richiedente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

I motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè in sostanza tutti volti a contestare il corretto assolvimento degli obblighi di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito – sono infondati.

Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

La valutazione di affidabilità delle dichiarazioni del dichiarante alla luce del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, è vincolata ai criteri ivi indicati e deve essere compiuta in modo unitario, tenendo conto dei riscontri oggettivi e del rispetto delle condizioni soggettive di credibilità contenute nella norma (Cass. 8282/2013); il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’interno del provvedimento impugnato, ha ritenuto inattendibile la versione dei fatti perchè oltremodo generica con particolare riguardo alla persecuzione per ragioni politiche, evocata peraltro solo in sede giudiziale. Pertanto, una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che questo apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, mentre si deve escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C), il Giudice di merito ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine, ed in particolare nella zona di provenienza del ricorrente/escluda il diritto alla protezione sussidiaria. Nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo comunque verificato, sulla base dei rapporti internazionali puntualmente indicati in motivazione/che la situazione della zona di provenienza del ricorrente non comporta il rischio di un danno grave derivante da violenza indiscriminata.

Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla spese.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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