Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29312 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 22/12/2020), n.29312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 804-2020 proposto da:

A.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO FERRANTE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CATANIA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2464/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 11/11/2019 R.G.N. 2008/20017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 11 novembre 2019, la Corte d’appello di Catania rigettava l’appello proposto da A.G., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione della sua domanda di protezione sussidiaria e umanitaria;

2. pur ritenendo, a differenza del Tribunale, la credibilità della vicenda narrata dal richiedente (di essersi allontanato, attraverso la Libia, dalla capitale di (OMISSIS), dove viveva con il padre e la sua nuova moglie, a seguito del gravissimo attentato del (OMISSIS) alla stazione di (OMISSIS) ad opera di (OMISSIS), nel quale i suoi familiari erano rimasti vittime, seguito da un altro grave attentato terroristico), la Corte etnea escludeva il rischio di un grave danno, integrante requisito per la protezione sussidiaria a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c). E ciò per l’assenza nella sua zona di provenienza di una situazione di instabilità tale da costituire un rischio per la vita la sola presenza ivi, siccome non interessata dai conflitti di origine religiosa oggetto di principale criticità attuale della (OMISSIS), invece esistenti, in base alle fonti d’informazione ufficiale più aggiornate, nelle zone settentrionali del Paese ((OMISSIS));

3. essa negava al richiedente anche la protezione umanitaria, pure in applicazione dell’istituto secondo la disciplina anteriore alla sua modifica per effetto del D.L. n. 113 del 2008 (in vigore dal 5 ottobre 2008), secondo il principio di irretroattività della legge sostanziale stabilito dall’art. 11 preleggi, comma 1: con la conseguente possibilità di rilascio da parte del Questore, in caso di positivo accertamento, di un permesso di soggiorno per “casi speciali” soggetto a disciplina e durata prevista dall’art. 1, comma 9 D.L. cit. La Corte territoriale escludeva, infatti, che il predetto versasse nella concreta condizione di vulnerabilità per fruirne, in esito alla comparazione del suo livello di inserimento e di integrazione in Italia (non provati dalla frequentazione di un corso di alfabetizzazione e di un laboratorio del gusto) con la situazione oggettiva del suo Paese di origine, correlata alla condizione personale a giustificazione della partenza;

4. in tale prospettiva, essa riteneva infine irrilevante il transito in Libia, non avendo A.G. allegato situazioni di vulnerabilità specifiche al riguardo;

5. con atto notificato il 6 dicembre 2019, egli ricorreva per cassazione con due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, L. n. 848 del 1955, art. 3 CEDU, per erronea interpretazione, in riferimento alla protezione sussidiaria, del requisito di elevato rischio per l’incolumità del richiedente, anche a prescindere dalla prova di una minaccia personale nei suoi, confronti, da accertare in esito ad una comparazione del livello minimo di garanzia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali assicurato dalla (OMISSIS), non per zone ma nel suo complesso e l’Italia (primo motivo);

2. il motivo è infondato;

3. la Corte territoriale ha fornito una corretta interpretazione del requisito di “persona ammissibile alla protezione sussidiaria”, quale “cittadino straniero che non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto” (a norma dell’art. 14: a) condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo Paese di origine; c) minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale) “e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g); esso evidenzia la necessaria individualizzazione della minaccia sulla base del chiaro dettato della norma, in termini di fondatezza dei motivi e di effettività del rischio di subire un grave danno, allegato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

3.1. l’interpretazione della Corte etnea del requisito di individualità della minaccia grave alla vita o alla persona (al primo capoverso di pg. 4 della sentenza), corrisponde all’accezione lata, conforme alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, per la quale esso non è subordinato alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza possa desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Cass. 30 luglio 2015, n. 16202; Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 2 aprile 2019, n. 9090);

3.2. essa ha peraltro accertato, in modo adeguato e congruamente argomentato, neppure contestato e con puntuale indicazione delle fonti (al primo capoverso di pg. 4 della sentenza) conformi all’esigenza di aggiornamento dell’accertamento al momento della decisione (Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819), come nella regione della (OMISSIS) interessante il ricorrente la situazione di ordine pubblico non sia quella prospettata di “violenza generalizzata all’interno del proprio paese” (così al primo periodo di pg. 4 della sentenza): con difetto pertanto di quel nesso di causalità, che necessariamente deve essere istituito, tra l’allegazione della condizione di rischio personale e la situazione oggettiva (Cass. 16 luglio 2015, n. 14998; Cass. 7 luglio 2014, n. 15466, con specifico riferimento all’esigenza di effettiva individuazione, tra le diverse aree e regioni della (OMISSIS) interessate da una situazione di violenza indiscriminata, della zona di provenienza del ricorrente e di un esame rigoroso dell’intervento delle autorità statuali in (OMISSIS) sulle situazioni di violenza diffusa);

3.3. è infine irrilevante la denunciata mancata comparazione del livello minimo di garanzia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali, in quanto estranea all’ambito della protezione sussidiaria, appartenendo invece a quello della protezione umanitaria (Cass. s.u. 13 novembre 2019, n. 29459);

4. il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione dell’art. 3 CEDU, della L. 4 agosto 1955, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per esclusione, sull’erroneo presupposto dell’individualizzazione del grave danno in caso di rimpatrio con speciale riferimento alla storia personale del richiedente, della propria condizione di vulnerabilità, individuabile nel livello minimo di garanzia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali assicurato dall’Italia ma non dalla (OMISSIS), considerata nel suo complesso di nazione e non per zone (secondo motivo);

5. esso è inammissibile;

6. Va ribadito, in merito al riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, il principio che esso deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4445; Cass. s.u. 13 novembre 2019, n. 29459; Cass. 21 aprile 2020, n. 8020), la censura si risolve in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria della Corte;

6.1. è infatti evidente la sollecitazione ad un riesame dell’accertamento in fatto della concreta situazione del richiedente, di spettanza esclusiva del giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, laddove, come nel caso di specie, esso l’abbia congruamente argomentato (per le ragioni esposte ai primi due capoversi di pg. 7 della sentenza), in esatta applicazione dei principi di diritto regolanti la materia (agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza):

7. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto alcuna difesa e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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