Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29306 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 22/12/2020), n.29306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 617-2020 proposto da:

O.H., O.R., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO TACCHI VENTURI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 26/11/2019

R.G.N. 4891/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto n. 10135/2019 il Tribunale di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta da O.R. e da O.H., cittadini della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente C.T. aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, sussidiaria e umanitaria;

2. i ricorrenti hanno così motivato la necessità di allontanamento dal paese di origine: O.H. ha fatto riferimento alla minaccia di essere ucciso, proveniente da un gruppo dal quale era stato reclutato con l’inganno, e del quale non voleva fare più parte perchè aveva scoperto che si dedicava a rapine, sequestri ed omicidi ed altre azioni delittuose; al suo rifiuto di coinvolgimento era stato picchiato dai componenti del gruppo e quindi abbandonato perchè creduto morto; O.R., che assume essere fratello di H., ha fatto riferimento alla minaccia proveniente dal gruppo al quale apparteneva il quale aveva come obiettivo quello di boicottare la campagna elettorale dei gruppi di opposizione attraverso una serie di azioni delittuose; quando si era iscritto non conosceva i veri scopi del gruppo e per circa un anno ne aveva fatto parte perchè comunque veniva pagato; quando aveva maturato la decisione di abbandonare il gruppo era stato avvertito che ciò non era possibile e quindi minacciato di morte, per cui si era rifugiato in Libia e di qui imbarcato per l’Italia; in occasione dell’imbarco aveva ritrovato il fratello H., ignorando che anche questi aveva lasciato la (OMISSIS);

3. il Tribunale ha dichiarato di condividere la valutazione amministrativa di non credibilità delle versioni rese dai ricorrenti sia in ordine alla esistenza fra gli stessi di un rapporto di fratellanza sia in ordine alle ragioni dell’allontanamento, stante la genericità dei fatti narrati e gli elementi di contraddizione tra i racconti effettuati in sede amministrativa e giudiziale e con le stesse indicazioni riportate nel modello C 3 compilato; la mancanza di credibilità del racconto non consentiva di ravvisare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato che presuppone l’allegazione e dimostrazione di un fondato timore di persecuzione; neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in assenza di credibilità del racconto effettuato e non avendo i ricorrenti prospettato il rischio di subire una condanna a morte o l’esecuzione della medesima; quanto alla verifica del ricorrere dell’ipotesi di cui all’art. 14 cit., lett. c, le informazioni disponibili attestavano una situazione di conflitto armato in alcuni stati della (OMISSIS) ma tale dato non era in sè sufficiente per il riconoscimento della protezione sussidiaria occorrendo la dimostrazione di una situazione di conflitto armato che esponeva personalmente il richiedente protezione al rischio per la vita e l’incolumità personale in ragione della sua situazione individuale oppure che il conflitto armato avesse raggiunto un tale livello di intensità da comportare il rischio per la persona per il solo fatto di trovarsi in loco; tale situazione, secondo le fonti consultate, non era riferibile a nessuno stato della (OMISSIS), pur in presenza della esistenza di conflitti armati; in particolare, non era riferibile allo stato dell'(OMISSIS) di provenienza dei ricorrenti, dovendo ulteriormente rilevarsi che alla luce del racconto dei ricorrenti le ragioni della fuga si configuravano come del tutto estranee alla situazione di conflitto armato; in merito alla protezione umanitaria, rilevato che la mancanza di credibilità del racconto dei ricorrenti induceva ad escludere che specifici profili di vulnerabilità potessero essere tratti dalla vicenda personale narrata dagli stessi, ha osservato che in relazione alla posizione di O.R. gli elementi offerti non consentivano di ritenere raggiunto un elevato livello di integrazione in Italia; diversamente per H. O. che aveva prodotto copiosa documentazione relativa all’attività lavorativa ma tale dato era di per sè insufficiente a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria mancando elementi di comparazione tra la situazione in Italia e quella in caso di rientro in patria, non ricostruibile per la mancanza di credibilità del racconto dello stesso;

4. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso O.R. e da O.H., sulla base di quattro motivi;

5. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva;

6. O.H. ha depositato atto di rinunzia al ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) censurando il provvedimento impugnato in quanto fondato su fonti informative che descrivevano la situazione generale del paese ma erano prive di indicazioni circa le condizioni di vita della regione di provenienza ed in particolare trascuravano di approfondire la questione della presenza di sette nell’area meridionale della (OMISSIS) e della esigenza di tutela dei diritti di coloro che scelgono di lasciare i gruppi organizzati ai quali avevano in precedenza aderito;

2. con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, costituito dalla prigionia in Libia e dalla sottoposizione a maltrattamenti e vessazioni molto pesanti in quel paese, elementi destinati ad assumere rilievo ai fini della protezione umanitaria;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; assume che la valutazione di non credibilità era frutto di affermazione apodittica non supportata dal riferimento ai parametri legali di cui all’art. 3, comma 5 D.Lgs. cit.;

4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente – in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, agli art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.P.R. n. 294 del 1999, artt. 11 e 29 – del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis. Si duole in particolare del fatto che il Tribunale non era entrato nel merito della posizione dei due fratelli e non aveva considerato tutte le allegazioni in fatto sotto il profilo del percorso scolastico portato avanti e sotto il profilo della mancata comparazione tra la situazione del paese di provenienza e quella raggiunta nel paese di accoglienza; vi era stato, infatti, solo un riferimento, incompleto, alle condizioni in Italia; era stato trascurato il percorso scolastico seguito, la conoscenza della lingua italiana e la possibilità di vivere, grazie all’attività svolta, in modo indipendente;

5. preliminarmente occorre dare atto, della estinzione del processo in relazione al ricorso di O.H. il quale ha fatto pervenire rinunzia al ricorso ai sensi dell’art. 390, c.p.c. sottoscritta dal difensore munito di procura speciale, e notificata tramite PEC al Ministero dell’Interno;

6. stante l’esito del giudizio instaurato dal ricorrente O.H. non è dovuto il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass. n. 19560/2015);

7. il ricorso proposto da O.R. è inammissibile alla luce delle considerazioni che seguono:

7.1. in relazione al primo motivo occorre premettere che, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 13449/2019 ed inoltre Cass. n. 13450/2019, Cass. n. 13451/2019 e Cass. n. 13452/2019, in motivazione), il giudice di merito, nel fare riferimento alle c.d. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, cfr. anche Cass. n. 11312/2019). Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzate (v. pag. 14 e sg.) e consente in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione le quali vengono contrastate dall’odierna parte ricorrente in termini del tutto generici ed apodittici. Parimenti generica è la censura che investe il mancato approfondimento istruttorio relativo alle sette operanti nel territorio (OMISSIS) il quale non viene contrastato con il riferimento ad altre fonti destinate, in tesi, a dimostrare la esistenza e modalità operative di tali sette al fine di corroborare il racconto dell’ O.;

8. la deduzione di omesso esame della circostanza costituita dalla detezione e dai maltrattamenti sofferti in Libia, formulata con il secondo motivo, non è coerente con l’attuale configurazione del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che esige che tale deduzione concerna un fatto un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), evocato nel rispetto de gli oneri di allegazione e produzione posti a carico del ricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014); parte ricorrente si è sottratta a tali oneri in quanto non ha specificato se ed in quale atto la circostanza della prigionia in Libia e dei maltrattamenti ivi subiti era stata allegata e quale era la risultanza dalla quale essa emergeva;

9. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le censure formulate si limitano alla evocazione, in termini generali, di principi acquisiti in tema di valutazione di credibilità delle dichiarazioni dell’aspirante alla protezione, ma non evidenziano, con riferimento al concreto percorso argomentativo del giudice di merito, l’errore a questi in tesi ascrivibile nel ritenere complessivamente inattendibile il racconto del ricorrente;

9.1. tale valutazione è frutto della considerazione di una serie di elementi quali le significative contraddizioni emerse tra le versioni offerte dal richiedente in sede amministrativa, in sede giudiziale ed anche in sede di compilazione del modello C 3, nonchè dell’assenza, nelle fonti consultate, di riscontri e informazioni circa la esistenza di un gruppo organizzato corrispondente al nome di ” B.”, come indicato dal ricorrente alla C.T. e nell’atto introduttivo, mentre risultava poco credibile la successiva modifica di tale nome in ” B.” effettuata in sede di audizione giudiziale;

9.2. il giudizio di credibilità risulta, quindi, conforme alle indicazioni di questa Corte la quale ha puntualizzato che la relativa valutazione non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 cit. articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. n. 14674/2020);

10. il quarto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile; parte ricorrente, pur formalmente denunziando il vizio di motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella concreta illustrazione del motivo ascrive al giudice di merito la omessa considerazione della concreta situazione dei richiedenti, in particolare con riguardo al livello di integrazione raggiunto in Italia, doglianza che integra un tipico vizio di motivazione denunziabile con il mezzo di cui all’art. 390 c.p.c., comma 1, n. 5;

10.1. le deduzioni formulate tuttavia non sono conformi all’attuale configurazione del vizio in oggetto per l’assorbente considerazione che le circostanze delle quali si denunzia omesso esame non sono evocate nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5;

6. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

7. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente O.R. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di O.R.; dichiara estinto il processo con riferimento al ricorso di O.H.. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente O.R. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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