Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29305 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 16/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA (OMISSIS), in persona del

Presidente Commissario, elettivamente domiciliato in ROMA, V. S.

CROCE IN GERUSALEMME 55, presso lo studio dell’avvocato MARINUZZI

DARIO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESTER CARLO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

3.03.09 depositata il 10/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2011 dal Consigliere Relator Dott. MAURA LA TERZA;

è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La sentenza della Corte d’appello di Venezia, di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello dell’Inpdap e conferma (parzialmente) la decisione del Tribunale di Padova con la quale, in accoglimento della domanda di Z.U., l’Istituto era stata condannato a pagare la differenza rispetto all’importo dell’indennità premio di fine servizio già liquidata. La differenza era stata rivendicata sulla premessa che lo Z., lavoratore dipendente dell’Azienda sanitaria locale di Este, era stato collocato in aspettativa senza assegni a seguito della nomina a direttore amministrativo della stessa azienda e che aveva diritto alla liquidazione dell’indennità premio di fine servizio sulla base dei compensi ricevuti per tale carica, nei limiti dei massimali di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7. Il ricorso dell’Inpdap si articola in un motivo unico con cui si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 3 – bis e della L. n. 152 del 1968. Si sostiene che l’indennità premio di fine servizio non è menzionata tra i trattamenti di previdenza e di quiescenza spettanti ai dipendenti collocati in aspettativa per assumere l’incarico di direttore di azienda sanitaria; che l’incarico in questione si consegue mediante un contratto di diritto privato, di lavoro autonomo, cosicchè i relativi compensi non potrebbero essere utili ai fini dell’i.p.s.;

che la lettura delle norme accolta dalla sentenza impugnata conduce a risultati irragionevoli e perciò non conformi alla Costituzione, atteso che il meccanismo di calcolo di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 4 comporterebbe la liquidazione di una maggiore indennità soltanto per i dipendenti che hanno ricevuto i maggiori compensi negli ultimi dodici mesi di servizio, senza alcuna proporzione con i compensi ricevuti negli altri anni; Lo Z. resiste con controricorso;

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso; Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perchè è già stato affermato da questa Corte con la sentenza n. n. 11925 del 13/05/2008 che “Il servizio prestato da un dipendente di un ente locale a seguito di nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario, è utile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 bis come aggiunto dal D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 3 e per esso le amministrazioni di appartenenza effettuano il versamento dei contributi previdenziali commisurati al trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito. Ne consegue che la misura dell’indennità premio di fine servizio, dovuta al dipendente, si determina in relazione al trattamento retributivo di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 4 fruito dal dipendente in relazione all’incarico, nei limiti del massimale di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7″.

Le argomentazioni, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, nonostante le contrarie argomentazioni del ricorrente, sono le seguenti: ” La misura dell’indennità premio di fine servizio, dovuta ai dipendenti degli enti locali, è determinata dalla L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 4 in un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi in ragione dell’80 per cento per ogni anno di iscrizione all’Istituto.

La norma specifica, da applicare alla controversia, è rappresentata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, aggiunto dal D.Lgs. 16 giugno 1999, n. 229, che all’art. 3 Cost., comma 11 così dispone: La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L’aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente, calcolati sul trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito nei limiti dei massimali di cui al D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 7, e a richiedere il rimborso di tutto l’onere da esse complessivamente sostenuto all’unità sanitaria locale o all’azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell’interessato.

Sono certamente destituiti di fondamento gli argomenti che l’Istituto ricorrente vorrebbe desumere dall’assenza nella norma di riferimenti specifici all’indennità premio di fine servizio. L’espressione “trattamento di quiescenza e di previdenza” è tale da comprendere la totalità dei diritti spettanti al lavoratore dipendente in derivazione dalla cessazione del rapporto di lavoro; d’altra parte, la natura previdenziale dell’indennità di fine di servizio è affermata dalle Sezioni unite della Corte (vedi sentenza 13 maggio 2005, n. 11329).

Nessuna rilevanza, inoltre, è possibile attribuire alla natura del rapporto di lavoro che si instaura con l’azienda sanitaria a seguito del conferimento della nomina a direttore generale (ovvero amministrativo o sanitario), qualificato esplicitamente dal legislatore come autonomo e di diritto privato, atteso che la disciplina speciale stabilisce la permanenza del rapporto di lavoro dipendente (a mezzo dell’istituto dell’aspettativa senza assegni) e obbliga il datore di lavoro al pagamento dei contributi da calcolare sul trattamento economico che il dipendente riceve in conseguenza dell’incarico di direttore. I contributi, dunque, sono pagati in relazione al rapporto di lavoro subordinato e si considera retribuzione figurativa quella parametrata al compenso collegato alla carica, mentre il debitore è identificato nel datore di lavoro, ancorchè gli venga attribuito il diritto al rimborso nei confronti nel soggetto che utilizza la prestazione durante il periodo di aspettativa.

Neppure è possibile condividere la tesi della non compatibilità costituzionale dell’interpretazione accolta dalla sentenza impugnata, atteso che il riferimento della L. n. 152 del 1968 alla retribuzione dell’ultimo anno di servizio ben consente, in generale, il computo di aumenti retributivi conseguiti in prossimità della cessazione del rapporto di lavoro, mentre l’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 421 del 1991) ha riguardato la diversa e particolare ipotesi della diminuzione retribuiva cagionata dal passaggio dal tempo pieno al tempo parziale, introducendo nell’ordinamento la regola del proporzionamento dell’ammontare dell’indennità ai periodi pregressi di servizio a tempo pieno o, rispettivamente, ai periodi di servizio a tempo parziale.” Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta/00 per esborsi e duemila/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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