Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29305 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 22/12/2020), n.29305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 405-2020 proposto da:

K.E., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI NATALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 09/12/2019

R.G.N. 12583/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto n. 9374/2019 il Tribunale di Napoli ha respinto l’impugnazione proposta da K.E., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la CT aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione; il K. aveva motivata la necessità di allontanamento dal proprio Paese con le minacce di morte provenienti da alcuni soggetti che pretendevano da lui la restituzione del denaro investito presso un istituto di credito che prometteva forti tassi di interesse sulle somme depositate; tali somme ed i relativi interessi per vicende connesse alla chiusura dell’istituto ed al vano trasferimento presso un altro istituto di credito avvenuto su indicazione dei funzionati della prima banca era no state definitivamente perse;

2. ha premesso il Tribunale, che sulla vicenda la difesa del ricorrente non aveva offerto elementi di riscontro al dichiarato e che la mancata comparizione in udienza del ricorrente onde chiarire le criticità evidenziate dalla CT integrava inosservanza all’obbligo di cooperazione sancito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che già in astratto, attesa la carente allegazione di fatti o atti riconducibili ai motivi persecutorii di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 la situazione dedotta non appariva annoverabile tra quelle meritevoli del riconoscimento dello status di rifugiato; neppure erano stati offerti elementi per l’accoglimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. cit. in relazione al rischio di subire un danno grave nelle forme della pena di morte o di un trattamento inumano e degradante; infine, era da escludere il ricorrere della ipotesi residuale di cui all’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit. posto che dalle informazioni disponibili tratte da fonti internazionali non risultavano nel paese di provenienza situazioni di particolare violenza indiscriminata da conflitto armato, interno o internazionale, come ricostruibile alle luce degli indicazioni fornite dalla giurisprudenza Europea, emergendo, al contrario, che il (OMISSIS) era uno tra i paesi dell’Africa occidentale con maggiore stabilità e maggiore tasso di democrazia; non sussistevano, infine, specifici motivi di vulnerabilità, neppure dedotti dal ricorrente, per cui era da escludere il ricorrere di serie ragioni di carattere umanitario per il rilascio del permesso di soggiorno; il riconoscimento di tale misura non poteva prescindere dall’adeguatezza delle allegazioni dell’interessato nell’illustrazione delle specifiche ragioni soggettive destinate a conferire concretezza alle esigenze di carattere umanitario e ad impedire l’espulsione; l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo determinato della durata di quattro mesi non consentiva di ritenere la sussistenza di un’integrazione in Italia, da valutare ai fini della protezione umanitaria;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso K.E. sulla base di tre motivi; l’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita ai soli fini della discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce motivazione apparente e perplessa censurando il provvedimento impugnato in quanto fondato sulla sola ritenuta scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, e quindi adottato in violazione del principio, ripetutamente affermato dal giudice di legittimità, secondo il quale il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento dell’onere di provare la sussistenza del “fumus persecutionis” a suo danno nel paese d’origine essendo, invece, tenuto a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza, mentre solo la riferibilità specifica al richiedente del “fumus persecutionis” può essere fondata anche su elementi di valutazione personale, tra i quali, la credibilità delle dichiarazioni dell’interessato; ciò in coerenza con il ruolo attivo nella istruzione della domanda riservato sia all’autorità amministrativa che a quella giurisdizionale; il giudice non aveva dato conto in maniera esauriente e congruente delle ragioni del proprio convincimento; in particolare l’assunto del Tribunale in ordine al fatto che la vicenda narrata in ordine alla truffa posta in essere dall’istituto di credito non era emersa nonostante la consultazione di ufficio di specifici motori di ricerca risultava smentita da quanto rilevato in sede amministrativa in ordine alla reperibilità su internet di elementi riferiti alla vicenda in questione;

2. con il secondo motivo parte ricorrente deduce motivazione apparente e perplessa in riferimento alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria; sostiene che il Tribunale aveva errato nel negare che in (OMISSIS) vi fosse una situazione di violenza indiscriminata senza acquisire le necessarie informazioni sulla situazione sociopolitica del paese e senza approfondimenti istruttori relativi all’attualità; assume che da fonti reperibili su siti affidabili emergeva che il (OMISSIS) è attraversato da una situazione i conflitti interni ed esposto a continui episodi di violenza da parte di gruppi armati e tanto integrava la nozione di conflitto armato quale precisata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, sufficiente al riconoscimento della tutela sussidiaria, senza necessità di prova dell’esposizione a rischio del singolo; osserva che onde ritenere integrata la ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non è necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo ma è sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa ed indiscriminata non sia contrapposto alcun concreto anticorpo dalle autorità statuali;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; censura la sentenza impugnata in relazione al mancato riconoscimento della tutela umanitaria della quale assume ricorrere i presupposti in relazione alla giovane età, della esistenza di figli minori, e del buon livello di integrazione sociale raggiunto in Italia;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v., tra le altre, Cass. n. 3340/2019). Nel caso in esame, il Tribunale ha argomentato in modo puntuale il giudizio di inattendibilità del racconto del ricorrente (v. le pp. 5-6 del provvedimento impugnato), con motivazione che pertanto risponde al canone di cui all’art. 111 Cost.; la valutazione espressa dal Tribunale non è inficiata dalle generiche argomentazioni della parte ricorrente che si limitano ad evocare i principi giurisprudenziali in tema di protezione internazionale ed alla mera contrapposizione della propria valutazione a quella espressa dal giudice di merito in ordine alla veridicità, coerenza e plausibilità del racconto del K., ma nulla chiariscono in ordine agli specifici rilievi del provvedimento impugnato circa la mancata allegazione di atti o fatti riconducibili ai motivi persecutori di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8; tanto rende irrilevante la deduzione del ricorrente circa la possibilità, consultando vari motori di ricerca, di acquisire informazioni in relazione alla vicenda dell’istituto di credito alla base del racconto dell’odierno ricorrente;

5. il secondo motivo è infondato;

5.1. il Tribunale ha escluso la esistenza nel paese di provenienza dell’aspirante alla protezione di una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, facendo riferimento al rapporto di Amnesty international 2017/2018 nonchè ad altre fonti, anche successive, puntualmente citate (v. decreto, pag.6); tale accertamento non è contrastato dal contenuto dei brani trascritti in ricorso tratti dal solo rapporto di Amnesty International il quale non dà contezza dell’errore in tesi attribuito al giudice di merito nella ricostruzione della situazione del paese di origine dell’aspirante alla protezione, in termini tali da escludere i presupposti della protezione sussidiaria;

5.2. come chiarito da questa Corte (Cass. n. 13449/2019 ed inoltre Cass. n. 13450/2019, Cass. n. 13451/ 2019 e Cass. n. 13452/ 2019,in motivazione), il giudice di merito, nel fare riferimento alle c.d. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, cfr. anche Cass. n. 11312/ 2019). Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito (v. pag. 6, terzo e quinto capoverso) e consente in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione. Quanto poi alla doglianza che le informazioni sulla base delle quali il giudice di merito ha deciso non troverebbero riscontro in una delle fonti citate e nello specifico il rapporto di Amnesty International sul (OMISSIS), aggiornato all’anno 2017/2018, si osserva che dal contenuto dei brani di detto rapporto riportati in ricorso non si evincono elementi che smentiscano l’assunto dell’assenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato e comunque questa Corte non può spingersi sino alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito, laddove nel motivo di censura non vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il giudice territoriale ha deciso siano state superate da altre e più aggiornate fonti qualificate (Cass. n. 26728/2019);

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. la denunzia di plurime violazioni di norme di diritto non risulta incentrata sul significato e sulla portata applicativa delle norme evocate in rubrica, come prescritto in caso di vizio astrattamente riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 287/2016, Cass. n 635/2015, Cass. n. 25419/2014, Cass. n. 16083/2013, n. 3010/2012); la denunzia di motivazione apparente, la quale sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum, è frutto di mera affermazione in alcun modo argomentata in ricorso; in ogni caso, dalle argomentazioni esibite dal giudice di merito a sostegno del rigetto della domanda di protezione umanitaria, sono evincibili i passaggi logico – giuridici che ne sono alla base, passaggi riassumibili nella carenza di allegazione da parte del ricorrente di specifici motivi di vulnerabilità non potendo il riconoscimento della prestazione umanitaria prescindere da un concreto confronto tra la situazione che aveva determinato l’espatrio da un lato e la prospettata integrazione dall’altro, integrazione nel caso concreto non evincibile dalla esistenza di un solo contratto a tempo determinato della durata di quattro mesi;

5.2. parimenti inammissibili le ulteriori deduzioni formulate in ricorso le quali si risolvono nella mera prospettazione di una diversa valutazione della situazione concreta del ricorrente, affidata peraltro anche ad elementi fattuali (es. esistenza di figli minori) dei quali, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non è chiarito se ed in che termini e da quale risultanza istruttoria, potessero ritenersi acquisiti al giudizio;

6. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

7. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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