Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29304 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 14/11/2018), n.29304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12684/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla Via dei Portoghesi

n. 12

– ricorrente –

contro

Geta s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Frataccia e dall’Avv.

Giorgio D’Alessio, elettivamente domiciliata presso il loro studio,

in Roma, Via Cola di Rienzo n. 163, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 37/35/2011 depositata il 31 marzo 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 ottobre 2018

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

udito l’Avv. Bruno Dettori per l’Avvocatura Generale dello Stato e

l’Avv. Giorgio D’Alessio per la Geta s.p.a..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.La Geta s.p.a. ometteva di indicare nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2004 il proprio credito di imposta ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 11, per Euro 17.428,00, provvedendo a presentare dichiarazione integrativa il 30-7-2007 con indicazione di tale credito di imposta.

2.L’Agenzia delle entrate, a seguito di controllo automatico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, iscriveva a ruolo tale importo, a titolo di indebita compensazione di un credito di imposta, oltre interessi, sanzioni e compenso di riscossione, non ritenendo consentita una integrazione della dichiarazione a favore del contribuente ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ma solo ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della medesima disposizione, quindi entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

3.La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, trattandosi di mero errore formale, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale.

4.L’Agenzia delle entrate presentava ricorso per cassazione.

5.Resisteva con controricorso la contribuente, che depositava memoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, come modificato dal D.P.R. n. 435 del 2001, e dalla L. n. 449 del 1997, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, in quanto la dichiarazione integrativa di quella prodotta il 27-10-2005 è stata presentata il 30-7-2007, quindi oltre il termine previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, ossia oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

1.1.Tale motivo è fondato.

1.2.Invero, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha affermato che, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass. Civ., Sez.Un., 30 giugno 2016, n. 13378).

In motivazione, si è chiarito che “il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell’ipoteso prevista nel D.M. 22 luglio 1998, n. 275, art. 6, il quale, stabilisce che il credito di imposta è indicato a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso (Cass. Civ., 19868/2012)”.

1.3.Nella specie, si evidenzia che ai sensi della L. n. 2712 del 1997, n. 449, art. 11, comma 1, “Al fine di promuovere la riqualificazione delle rete distributiva…è concesso un credito di imposta alle piccole e medie imprese commerciali..di vendita al dettaglio e all’ingrosso…a quelle di somministrazione di alimenti e bevande…”.

Il comma 2 della medesima disposizione stabilisce che “Il credito di imposta di cui al comma 1 è concesso nei limiti dello stanziamento…Al credito d’imposta di applicano altresì…le disp. di cui alla citata L. n. 317 del 1991, artt. 11 e 13”.

La L. 397 del 1991, art. 11, comma 3, prevede, che “Il credito d’imposta…deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso il beneficio ai sensi della comunicazione di cui all’art. 10”.

1.4.Tale dichiarazione, da compiersi, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso il beneficio, ha natura negoziale e non di dichiarazione di scienza (per la possibilità di far valere in giudizio l’intervenuto lapsus calami per l’erronea voce di modello nel quale collocare i crediti di imposta Iva cfr. Cass. Civ., 2017 n. 29555; analogamente Cass. Civ., 2018 n. 2220 per un debito Iva realmente inesistente), sicchè l’indicazione nel quadro Ru della dichiarazione fiscale annuale del credito di imposta, deve essere compiuta entro il termine di decadenza normativamente previsto, essendo il contribuente arbitro di usufruire o meno di tale agevolazione (Cass. Civ., 30 maggio 2014, n. 12166; Cass. Civ., 610/2018; Cass. Civ., 30172 del 2017, quanto al credito di imposta di cui al D.L. 22 luglio 1998, n. 275, art. 6; Cass. Civ., 27 ottobre 2017, n. 2556 in materia di opzione riservata al contribuente di utilizzare le perdite di esercizio pregresse portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione oppure di non utilizzarle riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi). Il credito, del resto, origina da un beneficio appositamente accordato a fronte di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare un determinato settore. Pertanto, il legislatore è libero di orientarsi stabilendo le condizioni per la fruizione del beneficio, in rapporto alla correlata ratio di definire entro un tempo egualmente determinato l’onere finanziario relativo, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito (Cass. Civ., 610/2018).

Le manifestazione negoziali, peraltro, sono irretrattabili anche in caso di errore, salvo che il contribuente non ne dimostri, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 c.c., l’essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria (Cass. Civ., 8 ottobre 2015, n. 20208; Cass. Civ., 22 gennaio 2013, n. 1427; Cass. Civ., 11 maggio 2012, n. 7294).

1.5.La mancata indicazione del credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso, dunque, non determina una decadenza solo formale, come accade, invece, per le dichiarazioni di scienza, ma provoca l’irretrattabilità della scelta compiuta dì non beneficiare della suddetta agevolazione fiscale.

2.La sentenza della Commissione regionale è, quindi, errata laddove afferma che la mancata indicazione del credito di imposta in dichiarazione, a pena di decadenza, costituisce soltanto un “mero errore formale”, con possibilità per la contribuente di procedere alla correzione dell’errore attraverso la dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, quindi nei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Trattasi, invece, di scelta negoziale della contribuente, irretrattabile, e non emendabile nel termine di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8.

3.La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata e, non essendo necessari accertamenti di fatti, il giudizio va deciso nel merito, con il rigetto del ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

Il consolidamento recente della giurisprudenza di legittimità sul tema impone la compensazione integrale delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Compensa interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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