Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29301 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 22/12/2020), n.29301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 443/2020 proposto da:

U.T., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso LA PREFETTURA,

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CROTONE, in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12, ope legis;

– resistente con mndato –

avverso la sentenza n. 1735/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/09/2019 r.g.n. 245/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 11 settembre 2019 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato le domande avanzate da U.T. per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero, in subordine, l’accertamento del diritto alla protezione sussidiaria o alla protezione umanitaria. Questi, proveniente dal Pakistan, aveva adito senza esito la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale riferendo di essere espatriato per il timore di essere ucciso e/o arrestato per via di false accuse mosse nei suoi confronti.

2. La Corte territoriale ha escluso di dover procedere ad una nuova audizione del ricorrente, già sentito dalla Commissione territoriale, ed ha del pari escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello stato di rifugiato avendo ritenuto inattendibili le dichiarazioni prive di riferimenti circostanziati, non supportate da documenti, delle quali non era possibile verificare l’effettività e risultandone, del pari, la scarsa credibilità. Il giudice di appello ha escluso inoltre la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), osservando: che i fatti descritti dal ricorrente erano circoscritti alla sfera del diritto penale ordinario (si era trattato di un’aggressione legata a motivi privati); che non era risultata l’esistenza di persecuzioni di carattere religioso o sociale nè una situazione generale di elevato rischio per la vita e l’incolumità del ricorrente tenuto conto che episodi terroristici, pur allarmanti erano riferiti ad un contesto territoriale assai esteso e che comunque non interessava il Guyrat, zona di provenienza del ricorrente.

Con riguardo alla protezione umanitaria, richiesta in via subordinata, la Corte ha poi chiarito che alla fattispecie non trova applicazione, ratione temporis, il D.Lgs. 5 ottobre 2018, n. 113, che introduce rilevanti restrizioni alla concessione del permesso di soggiorno ma ha escluso comunque che ricorrano “i gravi motivi di carattere umanitario” che ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 5 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, autorizzano la concessione della tutela richiesta, mancando ogni allegazione circa una specifica situazione di vulnerabilità e tenuto conto della lacunosità ed inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente sia con riferimento al godimento dei diritti fondamentali sia con riguardo alla compromissione della possibilità di soddisfare bisogni primari. Infine la Corte territoriale ha ritenuto escluso che sussista un autonomo diritto di asilo sganciato dallo status di rifugiato politico e dunque le domande proponibili confluiscono nel riconoscimento dello status di rifugiato e nella richiesta di conseguimento della protezione internazionale sussidiaria o umanitaria.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso U.T. affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Il primo motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e dell’art. 46 comma 3 della Direttiva 2013/32, per essere stata omessa dalla Corte di merito l’audizione personale dell’interessato sollecitata dal ricorrente per fornire un quadro circostanziato delle ragioni che lo avevano spinto all’espatrio, è infondato.

4.1. Nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame, come è avvenuto nel caso in esame, respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (cfr. Cass. 14/05/2020 n. 8931 e già Cass. n. 3308 del 2018). In tale contesto allora è necessario che l’interessato deduca, e nella specie non lo ha fatto, l’esistenza di elementi nuovi di valutazione che giustifichino la reiterazione dell’incombente.

5. Il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce che la sentenza della corte territoriale, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, avrebbe omesso di valutare il livello di integrazione del ricorrente ed i documenti a tal fine prodotti nel giudizio di appello è generico e perciò inammissibile sotto più profili. Sia perchè il ricorrente trascura di chiarire come dove e quando la questione dell’integrazione, di cui la sentenza non tratta, sia stata posta nei gradi di merito ed in che termini. Si tratta di specificazione necessaria per consentire alla Corte di verificare, sin dalla lettura del ricorso, se sia o meno configurabile l’omessa pronuncia denunciata (cfr. Cass. 20/07/2012 n. 12664, 02/12/2014 n. 25482, 05/08/2019n. 20924). Sia perchè pur formulata come omessa pronuncia essa pare denunciare piuttosto un omesso esame di fatti decisivi, attestati dai documenti, censurabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e che richiede tuttavia una specificazione dei fatti ed una precisazione della loro decisività. Nulla di tutto questo è contenuto nel motivo di ricorso.

6. Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, 6 e 14 e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. da 8 a 27 e degli artt. 2 e 3 della CEDU.

6.1. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato la documentazione allegata dalla quale emergeva il pericolo di danno grave alla vita (essendo stato riferito che l’attacco terroristico di cui era rimasto vittima era legato ad una faida e che nessuna indagine era stata svolta dalla polizia che aveva raccolto la sua denuncia). Errerebbe inoltre nel valutare l’esistenza del pericolo di danno grave per ottenere la protezione sussidiaria tenuto conto di quanto riferito dal ricorrente sin dalle sue prime dichiarazioni alla commissione e dell’assenza di protezione da parte dello Stato risultante anche dai rapporti del dipartimento di stato USA – USDOS del 13.3.2019 (incapacità dello Stato di reprimere abusi e del clima di impunità presente nel paese) e di altri rapporti precedenti (Country report del 2014) oltre che dai rapporti dell’EASO del 2018.

6.2. Il motivo non può essere accolto. Esso si sostanzia nella pretesa di una diversa e più favorevole lettura delle emergenze istruttorie, puntualmente esaminate dalla Corte di appello, che non è consentita alla Corte di legittimità. Peraltro il ricorrente neppure denuncia, come sarebbe invece possibile, l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè non è ravvisabile alcun vizio nella ricostruzione dei fatti da parte della Corte di appello sulla complessiva situazione del sistema giudiziario e di polizia del Pakistan con riferimento alla specifica area geografica del paese che viene in considerazione.

7. Con il quarto motivo, infine, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e s.m.i. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione alla mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del ricorrente.

7.1 Si sostiene infatti che stanti le gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona segnalate la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere quanto meno la richiesta di protezione umanitaria tenuto conto del comprovato percorso di integrazione intrapreso dal ricorrente e dell’esistenza dei presupposti per la concessione del chiesto permesso di soggiorno (conoscenza della lingua italiana, situazione abitativa e lavorativa in Italia).

7.2. La censura, per la sua estrema genericità va dichiarata inammissibile. Il ricorrente riproduce le argomentazioni già svolte in appello e disattese dalla Corte di merito senza chiarire le ragioni per le quali tale ricostruzione non sarebbe corretta limitandosi a ribadire tautologicamente che sarebbero talmente gravi da giustificare la protezione chiesta. In definitiva, ed ancora una volta, la censura pretende dal Collegio un nuovo esame dei fatti già compiutamente valutati dal giudice di appello che ha escluso con ampia motivazione rimasta nella sostanza indenne da specifiche censure le ragioni che hanno determinato la conferma del diniego della protezione chiesta.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese dei giudizio in considerazione della mancata tempestiva costituzione della parte intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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