Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 293 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 293 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 26659-2008 proposto da:
BERNABEI ASCANIO C.F. BRNSCN69B277614K, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 34, presso lo
studio dell’avvocato AGOSTINO ROCCO, rappresentato e
difeso dall’avvocato CALORE MAURO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
3124

contro

SOC. SIRIO S.N.C., DI SILVANO SALVATORE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 50, presso lo studio

Data pubblicazione: 09/01/2014

dell’avvocato NAPOLITANO LUIGI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GIANPIERO PROFETA,
giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso

la

sentenza n.

1123/2007

della CORTE

R.G.N. 882/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato CALORE MAURO;
udito l’Avvocato NAPOLETANO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 02/11/2007

R.G. n. 26659/08
Ud. 6 nov. 2013

Il Tribunale di Sulmona, con sentenza n. 142/06, ha accolto
la domanda proposta nei confronti della s.n.c. SIRIO di Silvano
Salvatore da Ascanio Bernabei, il quale, inquadrato nel IV livello
CCNL Aziende del Terziario, aveva dedotto di avere svolto mansioni
riconducibili al II livello, quale consegnatario responsabile del
magazzino sito all’interno della Casa Circondariale di Sulmona e di
avere svolto lavoro straordinario.
Ha condannato quindi la società al pagamento della somma
di E 16.288 a titolo di differenze retributive nonché al pagamento
della somma di € 27.954 a titolo di lavoro straordinario.
Proponeva impugnazione la società e la Corte d’appello di
L’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado rigettava la
domanda del lavoratore, rilevando, in sintesi, che le mansioni
svolte dal Bernabei erano riconducibili al IV livello e che non era
stata fornita la prova del lavoro straordinario.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il
lavoratore sulla base di due motivi. La società ha resistito con
controricorso, illustrato da successiva memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia omessa o
insufficiente motivazione in ordine al mancato riconoscimento del
superiore inquadramento.
Deduce che la Corte di merito ha fondato la propria decisione
su un duplice ordine di considerazioni: la prima incentrata sulla
tardività ed inutilizzabilità dei documenti prodotti dal ricorrente
con la memoria di costituzione in replica alla riconvenzionale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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proposta dalla società; la seconda sulla mancata prova dello
svolgimento delle mansioni superiori.
Sotto il primo profilo, la Corte territoriale, ad avviso del
ricorrente, non ha considerato che il rigoroso sistema di
preclusioni del rito del lavoro trova un contemperamento, ispirato

del giudice in materia di ammissione dei mezzi di prova, ove essi
siano indispensabili ai fini della decisione della causa.
Nella specie, pur avendo il giudice di primo grado ritenuto
utilizzabile tale documentazione, il giudice d’appello è stato di
contrario avviso, ritenendo che essa non potesse avere ingresso nel
giudizio.
Quanto alla ritenuta mancanza di prova in ordine allo
svolgimento di mansioni superiori, la sentenza impugnata, secondo
il ricorrente, ha valutato erroneamente le risultanze documentali e
la prova testimoniale, dalle quali era emerso che le mansioni svolte
dal lavoratore erano ascrivibili al II livello del CCNL. In particolare
non ha tenuto conto il giudice d’appello che il ricorrente era il
rappresentante della società all’interno del carcere, agiva anche
come suo procuratore, gestiva la cassa, rispondeva in nome e per
conto della ditta a qualsiasi comunicazione di tipo gestionale
effettuata dalla direzione del carcere, firmava le tabelle del vitto,
effettuava gli ordinativi della merce, deteneva le chiavi del
magazzino.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia omessa o
insufficiente motivazione con riguardo al mancato riconoscimento
del lavoro straordinario.
Lamenta che non è stata riconosciuta piena valenza
probatoria ai fogli di presenza redatti e sottoscritti dalle guardie di
turno presenti all’ingresso del carcere nonché alle dichiarazioni
rese dalle stesse guardie, da cui era emerso che il ricorrente si
intratteneva all’interno dell’istituto di pena ben oltre l’orario di
lavoro. Il lavoro straordinario peraltro era stato autorizzato dallo

alla esigenza della ricerca della verità materiale, nei poteri d’ufficio

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stesso titolare della società, il quale era solito fermarsi all’interno
del carcere negli stessi orari in cui era presente il ricorrente, come
risultava dalla documentazione prodotta.
3. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione, non è fondato.

dei documenti prodotti dall’odierno ricorrente con la memoria di
costituzione in replica alla riconvenzionale proposta dalla società,
che l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio nell’ambito del
contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca
della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un
apprezzamento meramente discrezionale del giudice di merito, che
può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto qualora la
sentenza di merito non adduca una adeguata spiegazione in ordine
alla decisione adottata.
Nella specie la Corte di merito ha chiarito che quei documenti
erano del tutto avulsi dalle contestazioni di cui alla citata
riconvenzionale, sicché gli stessi non potevano essere utilizzati nel
processo, non ricorrendo neppure i presupposti per l’esercizio del
potere ufficioso del giudice di acquisirli ai fini della ricerca della
verità per essere gli stessi relativi a fatti mai dedotti in precedenza.
La censura in esame è dunque priva di fondamento.
5. La denuncia di un vizio di motivazione non conferisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il
merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte
dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse
sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei

4. Deve premettersi, con riguardo alla mancata ammissione

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mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il
profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della
medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero
quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione
del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (cfr.,
tra le altre, Cass. n. 9716/2000; Cass. n. 2399/04; Cass. n.
18214/06; Cass. n. 9368/06).
In altre parole, il ricorso per cassazione non introduce un
terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera
ingiustizia della sentenza impugnata né il vizio di motivazione può
consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso
difforme da quello auspicato dalle parti, posto che, diversamente, i
motivi del ricorso si risolverebbero in una inammissibile istanza di
revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito
e, perciò, in una richiesta volta ad ottenere una nuova pronuncia
sul fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di
cassazione, nel cui ambito, come sopra osservato, è consentito solo
il controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di
merito.
Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, dopo aver
esaminato le declaratorie dei lavoratori inquadrati nel quarto e nel
secondo livello del CCNL delle aziende del terziario all’epoca
vigente, ha rilevato che le mansioni svolte dal ricorrente,
consistenti sostanzialmente nell’apertura e chiusura del
magazzino, nella custodia delle merci ivi conservate, nella
tempestiva comunicazione dell’esaurimento delle scorte, nel
controllo delle priorità del consumo dei prodotti, nel contattare i

del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della

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fornitori individuati dalla società datrice di lavoro, erano
riconducibili a quelle relative ai “magazzinieri”, inquadrati nel
quarto livello, trattandosi di “compiti operativi anche di vendita e
relative operazioni complementari” nonché di “lavori che richiedono
specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-

Era invece da escludere che le mansioni in questione fossero
connotate dai requisiti della “autonomia operativa” e/o “creatività”,
richiesti per i lavoratori di secondo livello, tenuto conto che si
trattava di mansioni semplici e ripetitive.
Quanto al lavoro straordinario, la Corte di merito ha rilevato
che la mera presenza del ricorrente nell’area interna del carcere
oltre il normale orario di lavoro, non era idonea a provare lo
svolgimento di siffatto lavoro, tanto più che esso non risultava
essere stato autorizzato dal datore di lavoro.
Peraltro, gli orari di entrata e di uscita dal carcere erano in
buona parte scollegati con gli orari propri dell’attività lavorativa di
un magazziniere.
La presenza, poi, di uno dei soci all’interno del carcere non
poteva considerarsi autorizzazione tacita allo svolgimento del
lavoro straordinario né provava che essa fosse collegata al lavoro
straordinario.
Infine, la prestazione lavorativa di chi aveva sostituito il
ricorrente era stata sempre limitata all’orario di lavoro mattutino, e
così quella di chi gli era stato affiancato nel magazzino.
Orbene, nella motivazione sopra indicata non si ravvisano
carenze, insufficienze, contraddizioni logiche né tanto meno si
riscontra l’omesso esame di elementi che avrebbero potuto
condurre a una diversa decisione
Ed infatti, la Corte territoriale, sulla scorta della prova
testimoniale e della documentazione prodotta, ha dato
sufficientemente conto delle ragioni della decisione con una
motivazione che si sottrae alle critiche che le vengono mosse, le

pratiche”, come previsti dallo stesso livello.

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quali sostanzialmente tendono a contrapporre alla valutazione dei
fatti e delle prove operata dal giudice di merito una diversa
valutazione favorevole al ricorrente.
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese di questo giudizio, che liquida in C 100,00 per esborsi
ed 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 6 novembre 2013.

dispositivo.

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