Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29299 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 14/11/2018), n.29299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13066/11 R.G. proposto da:

Dolce & Gabbana Trademarks s.r.l., con socio unico (già GADO

s.r.l. con socio unico), in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Eugenio Briguglio e

Gianluca Boccalatte del foro di Milano, elettivamente domiciliata in

Roma alla via Germanico n.146, presso l’avv. Ernesto Mocci;

-ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127/15/10 emessa dalla Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sezione 15, depositata in data 30/11/2010

e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16/10/2018 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’avv. Eugenio Briguglio per la società ricorrente e

l’Avvocato dello Stato D.B. per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Dolce & Gabbana Trademarks s.r.l. con socio unico (già GADO s.r.l. con socio unico) ricorre con cinque motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 127/15/10 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione 15, depositata in data 30/11/2010 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’atto di contestazione delle sanzioni per ritardato pagamento dell’I.v.a. pari ad Euro 4.736.657,70 per il periodo d’imposta 2006 e di recupero degli interessi moratori per Euro 450.264,85, ha accolto l’appello dell’Ufficio, confermando l’atto di contestazione, previa deduzione dall’importo dovuto di quanto già versato dalla società contribuente (Euro 947.331,50) a titolo di ravvedimento operoso ed a titolo di interessi moratori (Euro 215.204,30).

2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. della Lombardia sosteneva che, avendo la società riconosciuto la debenza dell’I.v.a. ed avendo presentato nei termini la dichiarazione annuale, si sarebbero realizzati i presupposti per l’applicazione della sanzione per tardivo versamento, D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13, comma 1. Inoltre, la C.T.R. rilevava che la stessa società aveva riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione, poichè, nel momento cui versava l’intero importo dovuto per l’I.v.a., aveva provveduto al pagamento delle sanzioni per tardivo pagamento, avvalendosi del ravvedimento operoso. Essendo incontestato il fatto che il pagamento fosse avvenuto dopo la notifica del P.V.C. della G.d.F., il ravvedimento operoso pacificamente non era applicabile nel caso di specie; di conseguenza, secondo la C.T.R., legittimamente l’Amministrazione aveva emesso l’atto di contestazione delle sanzioni, senza inviare alcuna comunicazione preventiva alla società, che non era necessaria, perchè l’Ufficio non aveva contestato un risultato diverso da quello esposto in dichiarazione. Per tali motivi, la C.T.R. respingeva anche la richiesta di rideterminare la sanzione in misura pari all’importo che la società avrebbe dovuto versare, se avesse ricevuto la comunicazione di irregolarità prima dell’atto di contestazione delle sanzioni. Inoltre la C.T.R. sosteneva che gli interessi moratori andassero computati dal momento in cui la contribuente avrebbe dovuto effettuare i versamenti periodici. Riteneva, infine, che quanto versato dalla società contribuente (Euro 947.331,50) a titolo di ravvedimento operoso ed a titolo di interessi moratori (Euro 215.204,30) dovesse essere scomputato da quanto ancora complessivamente dovuto a titolo di sanzioni ed interessi per il pagamento tardivo dell’I.v.a..

3. La società ricorrente censura la sentenza della C.T.R. lamentando plurime violazioni di legge. In particolare, in tema di sanzioni, la ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 1, della L. n. 212 del 2000, art. 10 e art. 25 Cost., comma 2, perchè la società, non avendo adempiuto all’obbligo di fatturazione, non poteva essere sanzionata per il ritardato pagamento dell’I.v.a., che presuppone la regolare fatturazione, nonchè la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, commi 2 bis e 3, D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 60, comma 6, art. 2, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, perchè i giudici d’appello avevano ritenuto non necessaria la previa comunicazione e non avevano rideterminato la sanzione nella misura di un terzo di quella irrogata, ossia nella misura pari all’importo che il contribuente è ammesso a pagare quando riceve la comunicazione preventiva.

Per quanto riguarda, invece, gli interessi moratori, la società sostiene che l’atto di contestazione non sarebbe lo strumento idoneo al recupero degli interessi moratori in caso di omesso o tardivo versamento degli interessi dovuti e che, comunque, gli interessi decorrono dalla data di scadenza annuale del saldo I.v.a. e non dai termini della liquidazione periodica.

4. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 1, della L. n. 212 del 2000, art. 10 e art. 25 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la società, non avendo adempiuto all’obbligo di fatturazione, non poteva essere sanzionata per il ritardato pagamento dell’I.v.a., che presuppone la regolare fatturazione.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. La fattispecie in esame ha origine dal p.v.c. del 5/9/2007, con cui la G.d.F. ha accertato che la GADO s.r.l., costituita in Lussemburgo, aveva la residenza fiscale in Italia; di conseguenza la società si è dichiarata fiscalmente residente in Italia ed ha presentato il 31/7/2008 la dichiarazione IVA, pagando imposta ed interessi, nonchè definendo la sanzione per tardivo versamento con il cd. “ravvedimento operoso”.

A norma del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, vigente ratione temporis, il ricorso al ravvedimento operoso era possibile solo se non fossero iniziati accessi, ispezioni e verifiche nei confronti del contribuente, per cui l’Amministrazione ha legittimamente emesso l’atto di contestazione delle sanzioni, con cui ha irrogato le sanzioni per infedele fatturazione di operazioni imponibili, per tardivo versamento dell’imposta e per mancata tenuta dei registri contabili.

La società ha provveduto a definire la sanzione per infedele dichiarazione ed omessa tenuta delle scritture contabili, mentre ha impugnato l’avviso di contestazione nella parte relativa alla sanzione per tardivo versamento, successivamente presentando l’istanza di rimborso dell’importo versato a titolo di ravvedimento operoso.

Con la decisione impugnata (sent. n. 127/15/10), la C.T.R. della Lombardia ha ritenuto che l’appello dell’Ufficio fosse fondato, stante la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della sanzione, per altro riconosciuti dalla stessa società, che aveva provveduto al pagamento delle sanzioni per tardivo pagamento, avvalendosi del ravvedimento operoso.

La decisione è condivisibile, poichè nel caso di specie, all’omessa tenuta delle scritture contabili ed all’infedele fatturazione, si aggiunge il ritardo nel pagamento, che è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento (vedi Sez. 5 -, Sentenza n. 1540 del 20/01/2017); il ritardo nel versamento del tributo, infatti, ha una propria configurazione autonoma, integra una violazione sostanziale e non formale ed è sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, del in quanto incide sul versamento del tributo ed arreca pregiudizio all’incasso erariale (Sez. 5 -, Sentenza n. 4960 del 27/02/2017).

Il fatto di non aver fatturato e contabilizzato regolarmente alle scadenze periodiche non esclude, quindi, l’applicabilità della sanzione per il ritardato pagamento, una volta che il contribuente abbia effettuato la dichiarazione di quanto dovuto e non versato per il passato.

Inoltre, come rilevato dalla C.T.R., la società contribuente, avendo pagato a titolo di ravvedimento oneroso la sanzione dovuta per il ritardato pagamento del tributo in misura ridotta, sia pure al di fuori dei casi consentiti dalla legge dell’epoca, ha implicitamente riconosciuto la sussistenza della violazione e l’applicabilità dei presupposti della sanzione; non può, quindi, chiedere il rimborso di quanto versato, che costituisce un importo minore di quello che effettivamente ha riconosciuto come dovuto.

Invero, una recente pronuncia di questa Corte, nel negare il diritto del contribuente al rimborso di quanto corrisposto, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, o ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, ha precisato che l’istituto del ravvedimento operoso, introdotto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, implica il riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della sanzione (Sez. 5, Sentenza n. 6108 del 30/03/2016).

Il ravvedimento operoso, implicando il riconoscimento della violazione e della sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione, è incompatibile con la successiva istanza di rimborso della sanzione versata, ponendosi, una siffatta istanza, in palese contraddizione con la scelta effettuata dal contribuente. Da qui, la logica conseguenza di negare il rimborso della sanzione versata al contribuente che, avvalendosi dell’istituto, abbia implicitamente riconosciuto la violazione e la sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione.

2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 bis, commi 2 bis e 3, art. 60, comma 6, del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè i giudici d’appello avevano ritenuto non necessaria, ai fini della legittimità dell’atto di contestazione delle sanzioni, la previa comunicazione, in quanto l’Ufficio non aveva contestato un risultato diverso da quello esposto in dichiarazione.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, commi 2 bis e 3, del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, ed art. 3 Cost., perchè i giudici di appello non avevano rideterminato la sanzione nella misura di un terzo di quella irrogata, ossia nella misura pari all’importo che il contribuente è ammesso a pagare quando riceve la comunicazione preventiva.

2.2. I motivi sono connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.

2.3. Invero, secondo un orientamento ormai consolidato di questa Corte, “in materia di riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2” (Sez. 5, Sentenza n. 13759 del 06/07/2016).

Nel caso di specie, avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto di contestazione delle sanzioni irrogate per ritardato pagamento degli importi indicati in dichiarazione, non vi era alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo; di conseguenza la sentenza impugnata (n. 126/15/10) appare conforme ai principi sopra citati e non incorre nelle denunciate violazioni di legge.

3.1. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, e del D.P.R. n. 633 del 72, art. 60, comma 6, nonchè dell’art. 97 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè l’atto di contestazione non sarebbe lo strumento idoneo al recupero degli interessi moratori in caso di omesso o tardivo versamento degli interessi dovuti.

La ricorrente deduce di aver dedotto l’inidoneità dell’atto di contestazione al recupero degli interessi con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, questione rimasta assorbita nella pronuncia di primo grado, richiamata nell’atto di controdeduzioni depositato dalla società nel giudizio di appello ed implicitamente rigettata dalla C.T.R. della Lombardia.

Chiede, quindi, dichiararsi l’illegittimità dell’atto di contestazione in relazione al recupero degli interessi, che non poteva essere ricompreso nel contenuto tipico dell’atto suddetto e doveva essere direttamente iscritto a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.3. Invero, il motivo difetta di specificità, poichè la società, pur richiamando gli atti cui fa riferimento (ricorso di primo grado e atto di controdeduzioni in appello, allegati al ricorso in Cassazione), non riporta, neppure sinteticamente, il tenore delle deduzioni nel contesto degli atti suddetti, non consentendo di comprendere, con la mera lettura del ricorso, se la contestazione abbia costituito un motivo di impugnazione dell’atto e in che termini sia stata richiamata nelle controdeduzioni depositate dalla società nel giudizio di appello.

4.1. Con il quinto motivo, la ricorrente censura la violazione del D.P.R. n. 100 del 1998, art. 1, del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 6, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè gli interessi moratori per il ritardato pagamento dell’i.v.a. decorrerebbero dalla data di scadenza annuale del saldo e non dai termini per la liquidazione periodica.

La ricorrente deduce che non aveva alcun obbligo di versamento periodico dell’I.v.a. fatturata, poichè non aveva proceduto alla relativa fatturazione e non disponeva dei dati necessari alla liquidazione del tributo.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. Invero, come rilevato dai giudici di appello, la ricorrente avrebbe dovuto effettuare i versamenti periodici, come ammesso dalla stessa società, che ha riconosciuto di essere fiscalmente residente in Italia ed ha presentato il 31/7/2008 la dichiarazione IVA, pagando l’imposta ed una parte degli interessi.

Gli interessi moratori, come ogni interesse, decorrono dal mancato pagamento dell’imposta alla scadenza prevista, mentre la dichiarazione annuale fissa l’importo dell’intera imposta dovuta nell’anno; la determinazione di tale importo non esclude la decorrenza degli interessi sull’imposta avuto riguardo alla scadenza del termine di pagamento. Nella misura in cui è dovuta l’imposta, così come risultante dalla dichiarazione, lo sono anche gli interessi, accessorio del relativo credito (vedi Cass. sent. n. 8832/16, n. 20158/16).

5.1. Il ricorso va, quindi, complessivamente rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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