Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29298 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 14/11/2018), n.29298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D�ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13065/11 R.G. proposto da

D. & G. Trademarks s.r.l. con socio unico (già GADO

s.r.l. con socio unico), in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Eugenio Briguglio e

Gianluca Boccalatte del foro di Milano, elettivamente domiciliata in

Roma alla via Germanico n.146, presso l’avv. Ernesto Mocci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/15/10 emessa dalla Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sezione 15, depositata in data 30/11/2010

e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16/10/2018 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Rita Sanlorenzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Eugenio Briguglio per la società ricorrente e

l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società D. & G. Trademarks s.r.l. con socio unico (già GADO s.r.l. con socio unico) ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 126/15/10 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione 15, depositata in data 30/11/2010 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’atto di contestazione delle sanzioni per ritardato pagamento dell’I.v.a. per il periodo d’imposta 2007, ha accolto l’appello dell’Ufficio, confermando l’atto di contestazione, previa deduzione dall’importo dovuto di quanto già versato dalla società contribuente (Euro 372.587,16) a titolo di ravvedimento operoso.

2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. della Lombardia sosteneva che, avendo la società riconosciuto la debenza dell’I.v.a. ed avendo presentato nei termini la dichiarazione annuale, si sarebbero realizzati i presupposti per l’applicazione della sanzione per tardivo versamento, del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13, comma 1. Inoltre, la C.T.R. rilevava che la stessa società aveva riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione, poichè, nel momento cui versava l’intero importo dovuto per l’I.v.a., aveva provveduto al pagamento delle sanzioni per tardivo pagamento, avvalendosi del ravvedimento operoso. Essendo incontestato il fatto che il pagamento fosse avvenuto dopo la notifica del P.V.C. della G.d.F., il ravvedimento operoso pacificamente non era applicabile nel caso di specie; di conseguenza, secondo la C.T.R., legittimamente l’Amministrazione aveva emesso l’atto di contestazione delle sanzioni, senza inviare alcuna comunicazione preventiva alla società, che non era necessaria, perchè l’Ufficio non aveva contestato un risultato diverso da quello esposto in dichiarazione. Per tali motivi, la C.T.R. respingeva anche la richiesta di rideterminare la sanzione in misura pari all’importo che la società avrebbe dovuto versare, se avesse ricevuto la comunicazione di irregolarità prima dell’atto di contestazione delle sanzioni. Riteneva, infine, la C.T.R. che quanto versato dalla società contribuente (Euro 372.587,16) a titolo di ravvedimento operoso dovesse essere scomputato da quanto ancora complessivamente dovuto a titolo di sanzioni per il pagamento tardivo dell’I.v.a..

3. La società ricorrente censura la sentenza della C.T.R. lamentando plurime violazioni di legge. In particolare la ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, perchè la società, non avendo adempiuto all’obbligo di fatturazione, non poteva essere sanzionata per il ritardato pagamento dell’I.v.a., che presuppone la regolare fatturazione, nonchè la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, commi 2 bis e 3 art. 60, comma 6, D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 e L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, perchè i giudici d’appello avevano ritenuto non necessaria la previa comunicazione e non avevano rideterminato la sanzione nella misura di un terzo di quella irrogata, ossia nella misura pari all’importo che il contribuente è ammesso a pagare quando riceve la comunicazione preventiva.

4. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la società, non avendo adempiuto all’obbligo di fatturazione, non poteva essere sanzionata per il ritardato pagamento dell’I.v.a., che presuppone la regolare fatturazione.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. La fattispecie in esame ha origine dal p.v.c. del 5/9/2007, con cui la G.d.F. ha accertato che la GADO s.r.l., costituita in (OMISSIS), aveva la residenza fiscale in (OMISSIS); di conseguenza la società si è dichiarata fiscalmente residente in Italia ed ha presentato il 31/7/2008 la dichiarazione IVA, pagando imposta ed interessi, nonchè definendo la sanzione per tardivo versamento con il cd. “ravvedimento operoso”.

A norma del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, vigente ratione temporis, il ricorso al ravvedimento operoso era possibile solo se non fossero iniziati accessi, ispezioni e verifiche nei confronti del contribuente, per cui l’Amministrazione ha legittimamente emesso l’atto di contestazione delle sanzioni, con cui ha irrogato le sanzioni per infedele fatturazione di operazioni imponibili, per tardivo versamento dell’imposta e per mancata tenuta dei registri contabili.

La società ha provveduto a definire la sanzione per infedele dichiarazione ed omessa tenuta delle scritture contabili, mentre ha impugnato l’avviso di contestazione nella parte relativa alla sanzione per tardivo versamento, successivamente presentando l’istanza di rimborso dell’importo versato a titolo di ravvedimento operoso.

Con la decisione impugnata (sent. n. 126/15/10), la C.T.R. della Lombardia ha ritenuto che l’appello dell’Ufficio fosse fondato, stante la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della sanzione, per altro riconosciuti dalla stessa società, che aveva provveduto al pagamento delle sanzioni per tardivo pagamento, avvalendosi del ravvedimento operoso.

La decisione è condivisibile, poichè nel caso di specie, all’omessa tenuta delle scritture contabili ed all’infedele fatturazione, si aggiunge il ritardo nel pagamento, che è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento (vedi Sez. 5 -, Sentenza n. 1540 del 20/01/2017); il ritardo nel versamento del tributo, infatti, ha una propria configurazione autonoma, integra una violazione sostanziale e non formale ed è sanzionato del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in quanto incide sul versamento del tributo ed arreca pregiudizio all’incasso erariale (Sez. 5 -, Sentenza n. 4960 del 27/02/2017).

Il fatto di non aver fatturato e contabilizzato regolarmente alle scadenze periodiche non esclude, quindi, l’applicabilità della sanzione per il ritardato pagamento, una volta che il contribuente abbia effettuato la dichiarazione di quanto dovuto e non versato per il passato.

Inoltre, come rilevato dalla C.T.R., la società contribuente, avendo pagato a titolo di ravvedimento oneroso la sanzione dovuta per il ritardato pagamento del tributo in misura ridotta, sia pure al di fuori dei casi consentiti dalla legge dell’epoca, ha implicitamente riconosciuto la sussistenza della violazione e l’applicabilità dei presupposti della sanzione; non può, quindi, chiedere il rimborso di quanto versato, che costituisce un importo minore di quello che effettivamente ha riconosciuto come dovuto.

Invero, una recente pronuncia di questa Corte, nel negare il diritto al rimborso di quanto corrisposto, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, o ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, ha precisato che l’istituto del ravvedimento operoso, introdotto dal D.Lgs n. 472 del 1997, art. 13, implica il riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della sanzione (Sez. 5, Sentenza n. 6108 del 30/03/2016).

Il ravvedimento operoso, implicando il riconoscimento della violazione e della sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione, è incompatibile con la successiva istanza di rimborso della sanzione versata, ponendosi, una siffatta istanza, in palese contraddizione con la scelta effettuata dal contribuente. Da qui, la logica conseguenza di negare il rimborso della sanzione versata al contribuente che, avvalendosi dell’istituto, abbia implicitamente riconosciuto la violazione e la sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione.

2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, commi 2 bis e 3, art. 60, comma 6, D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 e L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè i giudici d’appello avevano ritenuto non necessaria, ai fini della legittimità dell’atto di contestazione delle sanzioni, la previa comunicazione, in quanto l’Ufficio non aveva contestato un risultato diverso da quello esposto in dichiarazione.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, commi 2 bis e 3, D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, ed art. 3 Cost., perchè i giudici di appello non avevano rideterminato la sanzione nella misura di un terzo di quella irrogata, ossia nella misura pari all’importo che il contribuente è ammesso a pagare quando riceve la comunicazione preventiva.

2.2. I motivi sono connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.

2.3. Invero, secondo un orientamento ormai consolidato di questa Corte, “in materia di riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2,” (Sez. 5, Sentenza n. 13759 del 06/07/2016).

Nel caso di specie, avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto di contestazione delle sanzioni irrogate per ritardato pagamento degli importi indicati in dichiarazione, non vi era alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo; di conseguenza la sentenza impugnata (n. 126/15/10) appare conforme ai principi sopra citati e non incorre nelle denunciate violazioni di legge.

3.1. Il ricorso va, quindi, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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