Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29290 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/11/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 12/11/2019), n.29290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18535/2015 proposto da:

CORANI & PARTNERS S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1,

presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO FERRARESE;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 63,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO TERRIGNO, rappresentato

e difeso – dall’avvocato MAURIZIO FALCONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 599/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/05/2015 r.g.n. 158/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per: rigetto primi due motivi,

rigetto nel resto;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO TERRIGNO per delega Avvocato MAURIZIO

FALCONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 14 maggio 2015, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello proposto da Corani & Partners s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata, in accoglimento parziale delle domande di P.S. e sul previo accertamento della giusta causa del suo recesso dal contratto di agenzia 2 gennaio 1999 tra le parti, al pagamento in suo favore, delle somme di Euro 30.914,13 per indennità di cessazione del rapporto, di Euro 16.000,00 a titolo di indennità per il patto di non concorrenza post-contrattuale, di Euro 6.258,17 per provvigioni non pagate nell’anno 2006, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione dei singoli importi e di Euro 6.000,00 a titolo risarcitorio oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza.

Preliminarmente ritenuta l’ammissibilità del gravame per la sua conformità al paradigma legale, la Corte territoriale riteneva corretto il computo delle provvigioni liquidate dal Tribunale all’agente sul “fatturato” (ossia sulle fatture emesse dai clienti) anzichè sul “pagato” (ossia sulle fatture pagate dai clienti), senza alcun suo onere del buon fine degli affari conclusi, in linea con la previsione del novellato testo dell’art. 1746 c.c., in assenza dell’ipotesi derogatoria della garanzia stabilita dal comma 3, per singoli specifici affari, individualmente determinati, nè difforme dalla disciplina del novellato art. 1748 c.c..

Essa escludeva poi il vizio di ultrapetizione in ordine alla condanna risarcitoria per discredito professionale, in quanto oggetto di puntuale allegazione e domanda nel ricorso introduttivo dell’agente, pure accertando la condotta diffamatoria nei suoi confronti degli ispettori della preponente R. e T., comprovata dalle dichiarazioni testimoniali assunte dal primo giudice e dalla loro condanna irrevocabile nel giudizio penale per il reato di diffamazione, in relazione di occasionalità necessaria con il rapporto lavorativo con la società.

La Corte aquilana riteneva poi la spettanza a P.S. dell’indennità di cessazione del rapporto, ai sensi dell’art. 1751 c.c., avendo egli receduto per giusta causa (consistente: nell’illegittimo calcolo delle provvigioni maturate, con rifiuto della preponente di fornirgli la documentazione necessaria per operarne il controllo, a norma dell’art. 1749 c.c., comma 3 e art. 6, comma 4 AEC 2002, nonostante le sue reiterate richieste; nei comportamenti diffamatori subiti riconducibili alla preponente; nella violazione della esclusiva di zona riconosciuta dall’art. 10 del contratto di agenzia, pure considerato elemento naturale del contratto ai sensi dell’art. 1743 c.c.) e sussistendone i presupposti di legge.

Infine, la Corte territoriale attribuiva all’agente anche l’indennità per il patto di non concorrenza post-contrattuale, nella ricorrenza dei presupposti stabiliti dall’art. 1751 bis c.c. e correttamente computata alla luce del comma 2 della citata norma e dell’art. 7 AEC.

Con atto notificato il 27 (30) luglio 2015, Corani & Partners s.p.a. ricorreva per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva P.S. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 1746 c.c. e violazione dell’art. 1748 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto illegittima la clausola n. 15) del contratto d’agenzia tra le parti per contrasto con la previsione della seconda norma denunciata, di obbligo del preponente di corresponsione all’agente della provvigione indipendentemente dal pagamento del terzo “salvo che sia diversamente pattuito”, come appunto nel caso di specie con la suddetta clausola, per la confusione del momento di addebito delle provvigioni (poi riaccreditate) con lo storno definitivo, conseguente agli insoluti del terzo.

2. Con il secondo, essa deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quale l’individuazione nella clausola n. 15) del contratto di agenzia del patto in deroga all’obbligo di corresponsione all’agente della provvigione indipendentemente dal pagamento del terzo, con le conseguenze di ingiusta condanna della preponente alla restituzione della somma di Euro 6.258,17 e di valutazione della circostanza quale presupposto di giusta causa del recesso dell’agente.

3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 2049 c.c., per la non riconducibilità alla società preponente, in assenza di un nesso di occasionalità necessaria con le mansioni svolte, del comportamento, autonomo ed estemporaneo, degli ispettori inviati dalla stessa all’agente per comprendere le ragioni del grave calo degli affari conclusi nella sua zona.

4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione degli artt. 1750,2119 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quale l’ampio intervallo temporale tra la gravità dei fatti alla base del recesso per giusta causa (in particolare, consapevolezza dell’agente della revoca dell’anticipazione delle provvigioni sul fatturato quanto meno dal 25 gennaio 2006) e la sua comunicazione con lettera del 18 dicembre 2006, tale da escludere l’improseguibilità del rapporto.

5. I primi due motivi, relativi ai vizi denunciati in ordine all’inadempimento della preponente all’obbligo di corresponsione all’agente delle provvigioni maturate senza attendere il buon fine delle operazioni relative, sono congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione.

5.1. Essi sono fondati.

5.2. In riferimento all’art. 1746 c.c., ricorre il vizio di falsa applicazione, esso consistendo o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addica, perchè la fattispecie astratta da essa prevista (pur rettamente individuata e interpretata) non sia idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (Cass. 14 gennaio 2019, n. 640).

Ed infatti, sebbene l’art. 1746 c.c. e in particolare il suo comma 3 (nella novellazione introdotta dalla L. n. 65 del 1999, art. 28, comma 2, che vieta il patto che ponga a carico dell’agente una responsabilità, anche solo parziale, per l’inadempimento del terzo, consentendo, eccezionalmente e a precise condizioni, la concessione di apposita garanzia da parte dell’agente per singoli affari), sia in linea teorica applicabile, in assenza di una norma transitoria che ne preveda la retroattività, unicamente ai patti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore o, tutt’al più, alle obbligazioni nate successivamente a tale data (Cass. 6 giugno 2008, n. 15062; Cass. 16 maggio 2012, n. 7644), e quindi anche al caso di specie, esso tuttavia riguarda un obbligo di garanzia dell’agente estraneo all’oggetto della controversia devoluta, che invece attiene al suo diritto alla provvigione, a norma dell’art. 1748 c.c..

5.3. Anch’esso è stato novellato, sempre per effetto della L. n. 65 del 1999, di attuazione della Direttiva comunitaria 13 dicembre 1986, n. 635, nel senso del riconoscimento all’agente, per tutti gli affari conclusi durante il contratto, del diritto alla provvigione quando l’operazione sia stata conclusa per effetto del suo intervento (art. 3 della legge di modifica dell’art. 1748 c.c., comma 1). La nuova formulazione del testo ribalta la precedente, tradizionalmente interpretata da giurisprudenza e dottrina nel senso dell’acquisto dall’agente del diritto alla provvigione non nel momento di svolgimento dell’attività di promozione del contratto, ma solo quando questo fosse andato a buon fine (in tale prospettiva, anteriore alla novellazione, anche: Cass. 12 ottobre 2018, n. 25544, secondo cui, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti, il diritto alla provvigione sorge allorquando l’affare sia andato a buon fine o la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente), dovendosi ora intendere che la provvigione spetti all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente abbia eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo, qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico; o, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo abbia eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito quella a suo carico (e pertanto divenuta ora regola di disciplina quella che in precedenza costituiva eccezione); ma sempre “salvo che sia diversamente pattuito” (Cass. 16 febbraio 2011, n. 9539).

Ciò comporta la conseguenza di escludere l’illegittimità tout court della previsione della clausola n. 15 del contratto di agenzia del 2 gennaio 1999 (di corresponsione della provvigione sugli affari andati a buon fine), erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte dal primo periodo di pg. 4 al secondo di pg. 5 della sentenza): anzi legittima, ben potendo il diritto alle provvigioni venire a maturazione al “buon fine” dell’affare (Cass. 30 luglio 2014, n. 17302).

6. Il terzo motivo, relativo a violazione di legge per non essere il comportamento gravemente offensivo degli ispettori nei confronti dell’agente riconducibile alla società preponente in assenza di un nesso di occasionalità necessaria con le mansioni svolte, è infondato.

6.1. La Corte territoriale ha, infatti, esattamente applicato il consolidato principio di diritto, secondo cui, in tema di fatto illecito, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente, a norma dell’art. 2049 c.c., non richiede che tra le mansioni affidate all’autore dell’illecito e l’evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo (Cass. 25 marzo 2013, n. 7403; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20924; Cass. 22 settembre 2017, n. 22058). E la stessa ha poi proceduto ad un accertamento in fatto, congruamente argomentato sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, anche di provenienza dal giudizio penale (agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità.

7. Il quarto motivo, relativo ai vizi di error in iudicando suindicati per insussistenza di una giusta causa di recesso per l’intervallo temporale decorso tra i fatti alla base del recesso e la sua comunicazione, è infondato.

7.1. Ed infatti nel rapporto di agenzia, la regola dettata dall’art. 2119 c.c., deve essere applicata tenendo conto della diversa natura del rapporto rispetto a quello di lavoro subordinato nonchè della diversa capacità di resistenza che le parti possono avere nell’economia complessiva dello stesso; in tale ambito, il giudizio circa la sussistenza, nel caso concreto, di una giusta causa di recesso deve essere compiuto dal giudice di merito, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto e dell’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale, assumendo rilievo, in proposito, solo la sussistenza di un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza che leda in misura considerevole l’interesse dell’agente, tanto da non consentire la prosecuzione, “anche provvisoria”, del rapporto (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1376). Giova poi ribadire che l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119 c.c., comma 1, in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia – in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali – assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato: con la conseguenza che, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata (Cass. 4 giugno 2008, n. 14771; Cass. 26 maggio 2014, n. 11728).

7.2. Ebbene, la Corte territoriale ha accertato in fatto, con argomentazione congrua anche (soltanto) sulla base dei comportamenti ingiustificatamente diffamatori subiti dall’agente e dalla violazione della esclusiva di zona riconosciuta dall’art. 10 del contratto di agenzia (per quanto esposto al secondo capoverso di pg. 8 e a pg. 9 della sentenza), l’esistenza di ragioni tali da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto.

8. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento dei primi due motivi di” ricorso, con rigetto degli altri, la cassazione della sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.

PQM

La Corte

accoglie i primi due motivi di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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