Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29287 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 14/11/2018), n.29287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina M – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 18113 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

F.V., rappresentato e difeso, giusta procura autenticata

per notar Attilio Schiavetti di Como in data 15/06/11 rep. n.

(OMISSIS), dall’avv.to Leone Pontecorvo e dall’avv.to Armando

Pontecorvo, elettivamente domiciliato presso lo studio dei

difensori, in Roma Via Francesco Crispi n. 89;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 128/43/2010, depositata in data 15

novembre 2010, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

settembre 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Zeno Immacolata che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per il contribuente Armando Pontecorvo e per l’Agenzia delle

entrate l’avv.to dello Stato l’avv.to Gentili Paolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 128/43/2010, depositata in data 15 novembre 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di F.V. avverso la sentenza n. 97/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Como che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dal contribuente avverso tre avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, per gli anni 2003-2005, aveva rettificato, ai fini Irpef, Irap e Iva, gli imponibili dichiarati dal contribuente, per pretesa omessa dichiarazione e registrazione di “compensi percepiti come mediatore immobiliare”.

1.1. Il giudice di appello, in punto di fatto, ha premesso che: 1) a seguito di p.v.c. della G.d.F. del 7 luglio 2006, l’Agenzia delle entrate aveva notificato a F.V. tre avvisi di accertamento ai fini Irpef, Irap e Iva, per gli anni 2003-2005, con i quali aveva contestato al contribuente la mancata dichiarazione e registrazione di provvigioni per assunta attività di intermediazione svolta per la vendita e/o locazione di unità immobiliari della Fabran s.r.l. e della Eliolub s.a.s., entrambe rappresentate da B.S.; 2) avverso i suddetti atti impositivi, il F. aveva proposto separati ricorsi alla CTP di Como che, previa riunione, li aveva accolti; 3) avverso la sentenza della CTP aveva proposto appello l’Agenzia e aveva controdedotto il contribuente.

1.2. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’Ufficio aveva provato lo svolgimento da parte di F.V., negli anni in questione, dell’attività di intermediazione per la vendita e/o locazione di immobili della Fabran s.r.l. e della Eliolub s.a.s. ed, in particolare, elementi indiziari seri, precisi e concordanti erano stati tratti dalla indicazione del numero telefonico del contribuente nei cartelloni pubblicitari dei complessi residenziali delle dette società, dall’agevolazione, con la propria attività, della conclusione degli affari del rappresentante di queste ultime, dall’incasso di assegni bancari emessi, a titolo di provvigione, da vari acquirenti di immobili delle dette società, come da dichiarazioni rese da questi ultimi alla G.d.F.; 2) quanto alla ricostruzione dei ricavi in base alla metodologia induttiva, era corretto il calcolo del reddito anche avuto riguardo al valore reale degli immobili tratto dal Borsino immobiliare, nel caso in cui non vi fosse stato un diverso riscontro in base alle dichiarazioni degli acquirenti.

2.Avverso la sentenza della CTR, F.V. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Agenzia delle entrate.

3. Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. insistendo nell’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1754 c.c.e dei principi di diritto in tema di mediazione di cui alla L. n. 39 del 1989 nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR, nell’accogliere l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ritenuto erroneamente provata l’attività di mediazione del F. per la vendita e/o locazione di unità immobiliari della Fabran s.r.l. e della Eliolub s.a.s., ancorchè difettasse il requisito essenziale della indipendenza o imparzialità del mediatore, stante la qualità di socio della Fabran s.r.l. in capo al contribuente e l’unilateralità dell’incarico conferitogli, avuto riguardo all’inserzione del numero telefonico del medesimo nei cartelloni pubblicitari per la vendita e/o locazione degli immobili di proprietà delle dette società nonchè allo svolgimento della sua attività per “agevolare la conclusione degli affari del sig. B.”, rappresentante di entrambe le società; tutto ciò, senza considerare che, ai sensi della L. n. 39 del 1989, applicabile alla fattispecie ratione temporis, il diritto alla provvigione era subordinato alla iscrizione del mediatore nel Ruolo per agenti di affari in mediazione previsto a pena nullità del contratto di intermediazione.

1.1. Il motivo è, in parte infondato e, in parte, inammissibile.

1.2. Va premesso che, secondo la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte, è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma quarto, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare (cfr. Cass. n. 19066/06, che da tale premessa ha tratto la conseguenza che anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2; in senso conforme, v. Cass. n. 16147/10; da ultimo Cass., sez. un., n. 19161 del 2017).

In altre e più risalenti pronunce è ancor più nitida l’affermata insensibilità, ai fini qualificatori, dell’origine negoziale o meno della mediazione, allorchè si è affermato che non contrasta con la natura giuridica della mediazione nè con la funzione di imparziale intermediario fra i contraenti, la circostanza che il mediatore si faccia, come nuncius, portatore della proposta dell’uno all’altro: anzi, quest’attività di riferire le reciproche richieste cercando di portarle al punto di convergenza e adoperandosi per favorire l’incontro dei consensi, è tipica della mediazione; ed è indifferente che l’iniziativa dell’affare parta dallo stesso mediatore o da una delle parti, e che, nell’un caso e nell’altro, sia il mediatore a sollecitare la proposta, o a ricevere l’incarico di riferirla, o a mettere in contatto i possibili contraenti prima che alcuna proposta concreta sia stata formulata (Cass. nn. 3668/71, 1917/70 e 2720/51).

1.3. A sua volta la mediazione va tenuta distinta dal conferimento di un mandato poichè essa dà diritto al compenso (id est, alla provvigione), giusta il disposto dell’art. 1755 c.c., solo se “l’affare si è concluso”, mentre il mandato è semplice attività (negoziale o prenegoziale) nell’interesse del mandante (cfr. Cass. n. 5952/05). La differenza che ne deriva è che mentre il mandatario ha l’obbligo di eseguire l’incarico ricevuto ed ha diritto a ricevere il compenso pattuito indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti ed ha diritto alla provvigione solo se provoca la conclusione dell’affare (Cass. n.n. 24333/08, 7251/05, 9380/02, 1719/98 e 11389/97).

La distinzione concettuale tra mandato e mediazione non esclude l’oggettiva prossimità pratica delle due situazioni per la confluenza su di un medesimo piano di due rapporti, l’uno interno e l’altro esterno, sicchè s’impone un chiarimento.

La circostanza che colui il quale si assuma mediatore non si sia interposto autonomamente tra le parti, ma abbia ricevuto da una sola di esse l’incarico di reperire un contraente per un determinato affare, non muta la natura mediatoria dell’attività svolta ove riconosciuta od oggettivamente riconoscibile come tale dall’altra parte. La mediazione, infatti, non dipende dalla perfetta equidistanza, sia originaria che successiva, del mediatore da entrambe le parti, nè il requisito di terzietà del mediatore è frutto d’un giudizio di valore formulabile ex post sulla condotta da lui tenuta (giudizio, del resto, non compatibile con la tecnica qualificatorio-sussuntiva della fattispecie).

Invero, il mandato a reperire possibili contraenti può coordinarsi con il fenomeno mediatorio senza per questo escluderlo. Già l’art. 1762 c.c., nel prevedere che il mediatore il quale non manifesti a un contraente il nome dell’altro risponde dell’esecuzione del contratto, ammette implicitamente che il mediatore stesso, pur mantenendo la suddetta qualità, vi aggiunga quella di nuncius o di mandatario del contraente non nominato.

1.4. La circostanza che la mediazione sia stata innescata non da un’iniziativa ingerente ma dall’incarico di uno dei soggetti interessati a negoziare non ha rilievo di per sè. L’incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d’iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l’attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell’affare. Dunque, ciò che è decisivo non è tanto l’imparzialità del suo operare quanto la riconoscibilità esterna della posizione “terza” che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti, posizione che gli deriva, appunto, dall’assenza di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una sola di esse. Vuoi che si ricostruisca in termini contrattuali vuoi che s’intenda come situazione giuridica derivante da contatto sociale, la mediazione non è incompatibile – come in effetti la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in altre occasioni – con la sussistenza di un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come accade allorchè al mediatore sia affidato l’incarico unilaterale di attivarsi per la ricerca del partner commerciale (Cass. n. 24333/08). Non senza aggiungere, infine, che neppure può affermarsi che un tale incarico assuma necessariamente i connotati del mandato. Ciò che lo qualifica come tale è soltanto la comune volontà delle parti di dar vita ad un rapporto obbligatorio che, in relazione ad un dato oggetto, imponga un agere necesse consistente nel ricercare un possibile contraente. E, dunque, ben può essere che anche tale incarico (ex uno latere, se rapportato all’angolo visuale dell’operazione complessiva) sia esclusivamente mediatorio e dunque libero, senza l’assunzione di reciproche obbligazioni tra il richiedente e l’incaricato (Cass. n. 24950/2016).

Quanto alla prova presuntiva, va ricordato che, al fine di valutare la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c., occorre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi offerti in giudizio, posto che la scorretta valutazione di essi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità, anche in esito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 9760 del 2015, e n.19894 del 2005; conf. Cass., sez. un., n.8054 del 2014). Infatti, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art.2729 c.c., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n. 17535 del 2008). Se è sicuramente devoluto al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità – ai sensi dell’invocato art. 360 c.p.c., n. 3 – se, violando i succitati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice di merito abbia conferito valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso (Cass. n. 23831 del 2016; n. 17183 del 2015).

1.5. Nel caso di specie, la CTR, ha fatto buon governo dei suddetti principi, in quanto, essendo configurabile come mediazione anche quella c.d. unilaterale o atipica, e non essendo inciso il carattere di terzietà del mediatore da un eventuale rapporto interno di mandato tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto- per rilevare la riconoscibilità esterna della posizione “terza” del mediatore nel rapporto con entrambe le parti poste in relazione ai fini della conclusione dell’affare -, non risulta indice dell’assenza del requisito della indipendenza proprio della mediazione, nella specie, l’inserzione del numero telefonico del F. nei cartelloni pubblicitari delle due società proprietarie degli immobili da vendere o locare, nè tantomeno lo svolgimento dell’attività di quest’ultimo “per agevolare la conclusione degli affari del sig. B.”, rappresentante delle dette società ovvero la qualità di socio della Fabran s.r.l. in capo al medesimo contribuente; tutto ciò, considerando, peraltro, che CTR ha desunto lo svolgimento dell’attività di mediazione immobiliare da parte del F., anche avuto riguardo alla percezione da parte di quest’ultimo delle somme versategli, a titolo di provvigione, dagli acquirenti delle dette società, a seguito della conclusione dei rispettivi affari.

1.6. Per quanto concerne l’assunta violazione della L. n. 39 del 1989, per non essere stato il F. iscritto nel Ruolo per agenti di affari in mediazione, la censura non coglie la ratio decidendi, in quanto, lungi dal venire in rilievo gli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale fonte del diritto alla provvigione – tra cui la necessaria iscrizione all’albo previsto dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, anche per la mediazione atipica o unilaterale (v. Cass., sez. un., n. 19161 del 2017) -, la CTR, con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, ha accertato il presupposto – ovvero lo svolgimento dell’attività di mediazione immobiliare da parte del F. – della contestata mancata dichiarazione dei compensi percepiti dallo stesso, a tale titolo, negli anni in questione; ciò a prescindere dalla “abusitivà” o meno dello svolgimento della detta attività e dunque dalla sussistenza dei presupposti del diritto alla provvigione.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per non avere la CTR – nel ritenere l’attività di mediazione del F. presuntivamente estesa a tutte le vendite e locazioni immobiliari concluse dalla Fabran s.r.l. e dalla Eliolub s.a.s. negli anni 2003-2005- argomentato in ordine alle risultanze – prospettate nei gradi merito – delle dichiarazioni rese alla G.d.F. dagli altri acquirenti e locatari dei detti immobili, nelle quali alcun riferimento era stato fatto al pagamento di provvigioni al F., peraltro, non risultante iscritto nel Ruolo degli Agenti per affari in mediazione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. In primo luogo, il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere le deduzioni asseritamente svolte nell’atto di appello in ordine alla mancata valutazione da parte del giudice di merito delle altre risultanze processuali, non consentendo alla Corte di valutare, sulla base degli atti, la fondatezza della censura proposta.

2.3. In secondo luogo, il contribuente, nel denunciare l’insufficienza dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto provata la continuativa (nell’arco triennale in questione) attività di mediazione immobiliare del F. sulla base delle dichiarazioni (di versamento di somme a titolo di provvigione) di soli tre (su dodici) acquirenti, tende a rimettere inammissibilmente in discussione circostanze di fatto come accertate dal giudice di merito, con motivazione, di per sè esauriente, basata anche su altri elementi presuntivi (quali lo svolgimento da parte del F. di attività “in proprio” per agevolare la conclusione degli affari del rappresentante delle società Fabran s.r.l. e Eliolub s.a.s., l’inserimento del numero telefonico dello stesso nei cartelloni pubblicitari degli immobili in questione allo scopo di instaurare contatti con potenziali clienti delle dette società), immune da lacune o vizi logici e, dunque, sottratta al giudizio di questa corte di legittimità.

Infatti, il ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, avendo questi “solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”. (Cass. sez. 5, 16/12/2011, n. 27197).

Da ciò consegue che è del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, non potendo il motivo di ricorso risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1755,2697,2727 e 2729 c.c., per avere la CTR, nel ritenere legittimi gli avvisi di accertamento, presunto che il F. avesse percepito la provvigione

da entrambe le parti contraenti per tutte le vendite e le locazioni di unità immobiliari della Fabran s.r.l. e della Eliolub s.a.s. negli anni 2003-2005, ancorchè il versamento di somme di danaro al F. fosse stato oggetto di dichiarazione da parte di tre soli acquirenti e la G.d.F. non avesse eseguito nei confronti del contribuente alcuna indagine bancaria.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Nella specie, la CTR, facendo corretta applicazione dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica sopra evocati con riferimento al primo motivo di censura, ha desunto lo svolgimento da parte del F. di un’attività di mediazione da una serie di elementi indiziari valutati non solo analiticamente ma anche complessivamente, quali l’inserzione del numero telefonico del F. nei cartelloni pubblicitari degli immobili della Fabran s.r.l. e della Eliolub s.a.s., lo svolgimento da parte del F. di attività in proprio per agevolare la conclusione di affari da parte del rappresentante delle dette società nonchè l’incasso da parte del contribuente di assegni bancari emessi, a titolo di provvigione, da alcuni acquirenti delle medesime società e da altri soggetti aventi rapporti di affari con esse. Tanto più che se il giudice tributario ha il potere di controllare l’operato della P.A. e di verificare se gli effetti che l’ufficio ha ritenuto di desumere dai fatti utilizzati come indizi siano o meno compatibili con il criterio della normalità, nondimeno gli elementi assunti a fonte di presunzione che legittimano l’accertamento analitico-induttivo della condizione reddituale del contribuente “non debbono essere necessariamente plurimi potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria” (Cass. 6689/16; 403/16; 25706/15; 656/14).

4. Con il quarto motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. nonchè del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 2, convertito dalla L. n. 248 del 2006, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 13 e 54, comma 3, in combinato la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 307, (L.F.2007) e L. n. 88 del 2009, art. 24 (L.C. 2008), per avere la CTR ritenuto corretta la commisurazione da parte dell’Ufficio delle provvigioni non già ai prezzi di compravendita indicati negli atti pubblici notarili, ma al “valore commerciale” (c.d. valore normale del D.L. n. 223 del 2006, ex art. 35) desunto dal Borsino immobiliare della città di Como (richiamato solo per relationem negli avvisi di accertamento in questione), ancorchè tale criterio non fosse applicabile, in forza della L.F.2007, art. 1, agli anni 2003-2005 e fosse stato, peraltro, abrogato, con effetto sui giudizi in corso, al momento della sentenza di appello, della L. n. 88 del 2009, art. 24.

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. Le presunzioni legali relative previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, secondo cui, in caso di cessioni aventi ad oggetto beni immobili, l’importo dei ricavi ai fini delle imposte dirette, o l’ammontare delle operazioni imponibili ai fini Iva, si presumono corrispondenti al valore normale del bene immobile ceduto, determinato, rispettivamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 14, sono state soppresse dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24 (L.C. 2008): ciò a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità – in relazione, specificamente, all’IVA, ma ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – di tali disposizioni con il diritto comunitario.

Inoltre le predette presunzioni legali relative, introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, non hanno mai avuto efficacia per gli anni pregressi in forza della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 265, che ha delimitato temporalmente l’ambito applicativo delle presunzioni legali in oggetto, stabilendo che, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006, esse non hanno valore presuntivo legale, ma valgono quali presunzioni semplici a norma dell’art. 2729 c.c..

Nel caso in esame è pacifico che gli atti di intermediazione immobiliare oggetto di accertamento sono stati effettuati negli anni di imposta 2003-2005.

In materia, questa Corte ha affermato il condivisibile principio secondo cui “In tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. 9474 del 2017; v. anche Cass. n. 31027 del 2017; Cass. n. 1539 del 2017; Cass. n. 23485 del 2016; Cass. n. 20429 del 2014).

A tale regola probatoria il giudice di appello non si è attenuto, posto che, con riguardo alla base di commisurazione delle assunte provvigioni, ha ritenuto legittimo il ricorso operato dall’Ufficio al Borsino immobiliare per l’accertamento del valore reale degli immobili, nei casi non vi fosse stato un diverso riscontro in base alle dichiarazioni degli acquirenti, ovvero nel caso di rilevata sottostima del corrispettivo dichiarato rispetto ai valori venali in comune commercio desunti, nella specie, dal Borsino immobiliare, senza verificare ulteriori specifici dati fattuali aventi valenza presuntiva circa l’esistenza di un maggior corrispettivo.

5. In conclusione, va accolto il quarto motivo del ricorso, respinti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinchè decida il merito della vicenda.

P.Q.M.

la Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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